All’Accademia Militare, il sergente maggiore Gattuso aspetta l’arrivo di un nuovo scaglione di reclute.
Il grosso cancello della scuola si apre e l’autobus di linea varca la caserma. Il sottufficiale prova un po’ di vergogna, una volta i ragazzi entravano con il pullman di Forza Armata, oggi si pagano il viaggio da soli. Ciò nonostante l’istruttore, da buon soldato, è consapevole che il mezzo è stato sacrificato esclusivamente per fini istituzionali, ovvero per finanziare le riunioni tecniche dell’Alto Comando, consumate a cena da Giannino.

Gli allievi scendono uno ad uno e cominciano a radunarsi al cospetto del sergente che li segue con lo sguardo, fulminandoli. Fra i cadetti regna un po’ di timore e nessuno ha il coraggio di fissarlo dritto negli occhi. Qualcuno prova ad alzare il capo ma lo scintillio del medagliere sul petto del sottufficiale è troppo forte anche solo per essere ammirato. Gattuso è un soldato pluridecorato, premiato sul campo per il coraggio e l’ardore dimostrato nelle numerose battaglie in cui si è reso protagonista, segnato da una cicatrice che ancora brucia, quella inflitta dagli inglesi in terra turca.

Le reclute abbozzano sugli attenti un’adunata e il sottufficiale vuol cominciare a conoscere il suo plotone: “Tu come ti chiami ragazzo?” “soldato Dollarumma, Signore” risponde il cadetto; “Perché sei qui?” continua Gattuso, “per i soldi Signore” replica sfacciato il soldato. Prova allora con un altro: “e tu?” “soldato Montolivo Signore”, “perché ti sei arruolato?” “per fare la doccia con i colleghi signore” risponde all’istruttore la recluta. Il sergente maggiore ha già la nausea, che diventa rabbia quando, con calma, il soldato Bakayoko si presenta in ritardo al primo giorno di addestramento. “Lo sgarro di uno, lo pagate tutti!” ringhia il sottufficiale furente; “qui ci vuole disciplina e bisogna onorare la divisa ogni maledetto giorno” mette subito le cose in chiaro il sergente, e ordina alle reclute 100 piegamenti sulle braccia. I soldati eseguono senza batter ciglio, dopodiché tutti a prendere posto nelle camerate per sistemare le brande assegnate, in attesa dell’addestramento.

L’Istruttore Gattuso decide per un’ispezione alle camerate e nota una soppressata fuoriuscire dal borsone di una recluta. “È un omaggio per lei Signore” ammette ruffiano il ragazzo. Il soldato si chiama Calabria e al sottufficiale piace, gli ricorda qualcosa che ha a che fare con le sue origini. Al contrario di quel Montolivo lì, che gli sta antipatico a pelle. Gattuso si avvicina dal giovane Piatek e gli assegna il posto che era, fino a qualche tempo fa, di “palla di lardo”. Mentre prosegue nell’ispezione si accorge di una vecchia conoscenza: Bertolacci. L’allievo si ostina ancora a voler superare il corso, che fallisce puntuale da anni. Gennaro gli suggerisce di mollare: “nonostante gli investimenti per formarti ogni stagione, hai dimostrato di non meritare questa divisa” ammette l’istruttore; “può essere Signore, ma vedo passarmi avanti tanti che non sono migliori di me” ribatte polemico l’eterna recluta. “Come osi parlarmi in questo modo?” ringhia il sergente maggiore, che poi aggiunge: “oggi pulirai i cessi, con Montolivo”.

Ultimate le operazioni di sistemazione negli alloggi, tutte i soldati si presentano sulla linea di tiro per l’inizio dell’addestramento. In piazzola il soldato Piatek non sbaglia un colpo, con una precisione da cecchino; l’allievo Suso si incaponisce a colpire il bersaglio con una strana parabola, sempre la stessa, e la recluta Calhanoglu continua a sparare agli uccelli. Anche il soldato Cutrone ha una discreta mira, tuttavia il colonnello Leonardo ha indicato in Piatek il tiratore scelto. Kessie, Bakayoko, Biglia e Paquetà si addestrano alle operazioni nelle retrovie, con il compito di sostenere l’attacco rifornendo la prima linea. Romagnoli, Zapata, Rodriguez e Musacchio lavorano per garantire la difesa del dispositivo, in maniera tutt’altro che efficace. A contribuire alla protezione della trincea presidiata da Dollarumma anche Caldara, appena uscito dall’infermeria. Conti invece fa ritorno sul lettino della sala medica: forse per lui è meglio un impiego da ragioniere dietro la scrivania.

L’addestramento continua incessante sotto gli ordini del sergente maggiore Gattuso e, giorno dopo giorno, diventa sempre più duro e intenso. Passano veloci le settimane, siamo quasi alla fine del corso. La qualità del gruppo non è granché: pochi si differenziano, la maggior parte vivacchia senza eccellere, qualcuno si è eclissato. Il colonnello Leonardo non è contento dei risultati delle reclute e convoca il sottufficiale nel suo ufficio. L’istruttore, prima di presentarsi dal colonnello, vede Montolivo sgattaiolare fuori dal comando: “che ci fai qui?” tuona Gattuso alla recluta; “ho pulito i bagni del comandante, Signore” ribatte malizioso il soldato. Contrariato solo alla vista da quel ragazzo, l'istruttore entra nell’ufficio del colonnello. Leonardo rimprovera al sottufficiale modi non ortodossi e poco produttivi, aggiunge che l’umore delle reclute è sotto i tacchi e che qualcuno, addirittura, si sente penalizzato dai suoi metodi. Prima di congedare Gattuso, il comandante si raccomanda per i soldati Piatek e Paquetà, suoi pupilli. Il sergente maggiore incassa il cazziatone e promette un occhio di riguardo per i due allievi, nonché un occhio nero per chi ha fatto la spia.

L’istruttore raduna le reclute e con un discorso accorato invita gli allievi ad impegnarsi di più, soprattutto ad essere uomini forti e fare gruppo, perché è importante navigare tutti nella stessa direzione. Il sottufficiale aggiunge che nel gruppo c’è un infame che rema contro, e indica un cappio legato ad un Olivo sul Monte come la soluzione ideale per il traditore. D’un tratto il fragore di un allarme richiama i soldati a presentarsi sul piazzale in armi: non è un’esercitazione.

Il comandante Leonardo comunica che gli Uomini Estremisti Francesi e Anti italiani (UEFA) hanno dichiarato guerra. Il sergente maggiore fa presente al comandante che le reclute non sono ancora pronte per andare in battaglia, ma il colonnello ribatte che sono ordini degli americani, e non si discutono. Aggiunge che ci hanno parato il culo 80 anni fa e da allora decidono loro cosa è meglio per noi, soprattutto ci mantengono ancora a galla grazie al generale Elliott.

È così che Gennaro e il suo manipolo di uomini, tra soldati non ancora addestrati e mercenari di ogni specie, si porta al fronte, ma colleziona solo sonore sconfitte. Il plotone va all’attacco con manovre spesso confuse e improvvisate, con un Piatek troppo isolato e poco servito dalle retrovie. Caparbio e coraggioso, forgiato dalla sua terra d’origine, il sottufficiale non lesina sforzi contro un nemico superiore di forze. Tuttavia non è l’iniziativa o lo slancio a farne di Gennaro un reduce, nonché un eroe di guerra. Il sergente maggiore non si è risparmiato nella difesa delle trincee in tutte le battaglie passate, respingendo con forza gli assalti nemici, ma ad attaccare ci pensavano altri. Per questo motivo, probabilmente, non gli riesce di guidare una manovra efficace.

Dopo l’ennesima sconfitta al fronte, il colonnello Leonardo ordina a Gennaro il ritiro. Rende comunque merito al suo sottufficiale, e gli propone di affiancare Maldini nella custodia del museo di Forza Armata, magari ritagliandosi il giusto spazio tra i numerosi trofei di guerra nelle speciali teche che celebrano la storia, gloriosa. La carriera del colonnello è stata messa a rischio dalle sue stesse decisioni, ad eccezione di Piatek e poco altro, ma non è compromessa del tutto. Il generale Elliott pretendeva una testa e Leonardo gliel’ha servita sul piatto d’argento. Ora il comandante non può più sbagliare, altrimenti sarà confinato altrove. Ma ha già un paio di soluzioni: il rivoluzionario Sarri o il condottiero Conte.


Un omaggio a Pipporossonero.