Freddy Adu, la rappresentazione dell’oblio nel qual può condurre il calcio moderno.
Proprio cosi, perché per descrivere il proclamato nuovo Pelè, ci vuole altro: la sua storia, come quelle di altri talenti mai esplosi, è segnata da un inizio promettente, salvo poi andare in calando.
Tuttavia, la sua carriera è diversa rispetto a quella dei coetanei, è ricca di sfaccettature e di momenti intriganti.
Andiamo alla scoperta del più grande talento degli ultimi trent’anni, uno dei più precoci della storia.

GLI INIZI
Freddy nasce in Ghana nel 1989 e sin da piccolissimo inizia a tirare calci al pallone, ha una passione sconsiderata per questo sport.
All’età di otto anni, ecco arrivare un colpo di fortuna che sembra aprirgli mille opportunità: la famiglia partecipa ad una lotteria per una Green Card e la vince, ottenendo la possibilità di trasferirsi negli Stati Uniti.
Stabilitosi a Washington continua a coltivare la sua vocazione, nel perfetto stile del sogno americano. Il giovanissimo ragazzo stupisce tutti, e quando entra nella Img soccer Academy inizia a mostrare le proprie capacità al mondo. In Florida ha la possibilità di allenarsi in un centro di spessore, uno dei migliori entro i confini nazionali. Gli osservatori lo notano, ed il suo nome inizia a circolare anche in Europa, quando nel 1999 prende parte ad un torneo in Italia: in quella circostanza, gli scout dell’Inter prendono nota del suo profilo.
Il club nerazzurro, folgorato dalle sue qualità, lo vuole portare nel Belpaese all’età di 11 anni, ma la famiglia si oppone, optando per una crescita in patria.
La sua ascesa è talmente rapida, che al compimento dei 14 anni, la Nike gli propone un contratto milionario.
Questa collaborazione è la testimonianza che a credere nelle sue doti sono in molti: la multinazionale riesce addirittura a metterlo in contatto con Pelè per organizzare alcune foto con la leggenda brasiliana.
Questi episodi fanno crescere il suo clamore mediatico, e Freddy, da quel giorno, prende l’appellativo di nuovo Pelè, una candidatura, che per un neo 14enne può diventare più un peso.
Tuttavia, i successi in ambito mediatico non si fermano qua, poiché diverse riviste assai note, lo mettono in prima pagina, parlandone come un fenomeno. Oltre al cartaceo, non tardano ad arrivare nemmeno le prime presenze in televisione: gli illustri programmi 60 minutes e David Letterman Show, invitano Adu nelle rispettive trasmissioni. Tutta questa attenzione, arrivata in cosi poco tempo, sarà presto la condanna dell’afro-americano, coinvolto in un vortice mediatico senza precedenti.
Ad arricchire l’interesse nei confronti di Freddy vi è anche il fatto che, secondo molti addetti ai lavori, possa diventare l’elemento di spicco del calcio a stelle e strisce, diventando il perno della nazionale nordamericana.

L’ESORDIO DA PROFESSIONISTA
Il giovanissimo, tesserato con il D.C. United, viene inserito in prima squadra ed esordisce all’età di 14 anni e 3 mesi, diventando il calciatore più giovane a debuttare in Mls. Le sue qualità continuano ad attirare club blasonati, come il Manchester United, che dopo averlo esaminato in un provino, sceglie di non acquistarlo.
Ciò nonostante, Ferguson ne parla benissimo, e si pensa che da li a poco, il suo approdo nel Vecchio Continente sia un fatto scontato.
Nel frattempo, negli Stati Uniti iniziano a circolare i primi dubbi sulla sua reale età anagrafica, poiché in Ghana non tutti i bambini vengono registrati all’anagrafe.
Nel 2006, Fifa lo sceglie come copertina dell’edizione Nordamericana, insieme a calciatori del calibro di Ronaldinho ed Omar Bravo.
Nel 2007, dopo due annate molto positive al Dc United, nelle quali realizza ben 87 presenze ed 11 reti, si trasferisce al Real Salt Lake.
Le sue prestazioni, però, paiono in calo rispetto ai gloriosi inizi, e nel club dell’ Utah trova meno spazio. Sul terreno di gioco incide meno, e la sua vena realizzativa diminuisce.
In Mls, Freddy gioca sia come esterno di centrocampo che trequartista, dimostrando grande duttilità, ma non trovando mai una reale collocazione in campo.

L’APPRODO IN EUROPA E LA DEFINITIVA DISCESA
Nel 2008 avviene l’ennesima svolta della sin qui giovane carriera: a credere nel suo talento è il Benfica, che lo porta in Europa al raggiungimento della maggiore età.
Sembra l’inizio di una serie di successi, ma la prima stagione in Lusitania è tutto fuorchè positiva: trova raramente la via del campo e sigla solamente due marcature.
Del talento prodigio visto negli States nemmeno l’ombra, e l’impressione agli occhi del pubblico è di aver ingigantito le sue doti. A detta di chi lo osservò da vicino al Dc United, le capacità erano enormi, ma a causa delle troppe pressioni ricevute in età adolescenziale, aveva patito troppo l’amplificazione della propria figura. Per ritrovarsi, Freddy prova a girare in molti campionati, alla ricerca di nuove avventure, e soprattutto stimoli in grado di riaccenderlo. Monaco, Belenenses, Aris Salonicco, Caykur Rizespor sono le sue esperienze tra il 2008 e il 2012, nelle quali realizza solamente 27 apparizioni.
E’ oramai chiaro che del prospetto paragonato a Pelè non vi è nemmeno l’ombra: nessun club punta su di lui, e ovunque vada non riesce minimamente ad incidere.
La sua carriera giunge ad un bivio quando nel 2013, dopo solamente due presenze con i brasiliani del Bahia, resta svincolato.
Freddy decide di persistere, nonostante non riesca più a rendere a livelli elevati: nel 2015 prova a rimettersi in gioco nel Vecchio Continente, ma riceve solamente delusioni.
Oramai ad un punto morto, ritorna negli Stati Uniti, dove dopo alcune esperienze incolori, decide di ripartire da 0: rientra nella città dove è cresciuto, Rockville, e incomincia ad allenare una squadra u13 di recente fondazione.

Ad oggi, la sua storia può essere di insegnamento a molti bambini, che come lui in passato, aspirano a diventare campioni.
Freddy, all’età di trent’anni da poco compiuti, non si dà per vinto e continua ad insistere sulla propria vocazione, il calcio, sport che gli ha regalato alti e bassi.
Insomma, del nuovo Pelè abbiamo visto ben poco, ma proprio riguardo a ciò vi è un aneddoto interessante: in un mondiale under 20 ha fronteggiato Lionel Messi, all’epoca poco considerato, ma che da lì a poco, proprio di pari passo con le esperienze europee di Freddy, sarebbe diventato uno dei più grandi calciatori di sempre.
Gli infortuni, insieme ai problemi caratteriali, sono stati gli artefici del calo drastico di un ragazzo, che troppo presto ha toccato il cielo, e che tra mille pressioni, è ricaduto, non trovando più la forza di rialzarsi.
Adu, nonostante la flessione sul campo, non ha mai smesso di credere nel proprio obiettivo, e continua ad alimentare la propria passione anche da allenatore. Insomma, sul classe 89’ verte la responsabilità di non aver capitalizzato un talento cristallino, ma va altrettanto rimarcato come alcune colpe siano provenenti dall’esterno e riguardino tutte quelle pressioni ricevute sin dalla tenera età.
Freddy Adu non si può definire un rimpianto, ma semplicemente un ragazzo normale che ha inseguito, e continuerà sempre a farlo, il proprio sogno.