«Fratelli d'Italia,                                                                 l'Italia s'è desta,                                                                 dell'elmo di Scipio                                                                 s'è cinta la testa.                                                                 Dov'è la vittoria?!                                                                 Le porga la chioma,                                                                 ché schiava di Roma                                                                 Iddio la creò.»

 

Da qualche tempo, i calciatori della Nazionale italiana sono molto apprezzati, anche all'estero, per l'intensità con la quale cantano l'inno di Mameli ma difficilmente ci si ricorda che le cose non sono andate sempre così. Fino a poco prima dei Mondiali di Germania 2006, nei quali l'Italia ha trionfato in finale con la Francia, quasi tutti i giocatori della Nazionale non cantavano l'inno.
Per diverso tempo la scelta degli azzurri è rimasta inosservata, finche' Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica dal 1999 al 2006, è stato il Capo dello Stato che più si è prodigato nel modificare questa tradizione
Già nel 2000, alla vigilia delle Olimpiadi di Sydney, Ciampi aveva suggerito intensamente agli atleti azzurri di cantare l'inno.
Emblematiche furono le sue parole:<<Questo simbolo ci vede tutti uniti. Entrerete nello stadio di Sydney dietro di esso e troverete un grande calore che vi stupirà. Vi accorgerete della forza del sentimento di italianità. Spero che sia suonato frequentemente a Sydney e spero anche che nel cantarlo abbiate maggiore consapevolezza di quei valori che nelle prime due strofe sono già sottolineati: unità e libertà>>

Tutto cambia nel 2006. Prima di Italia-Ghana, gara d'esordio degli azzurri ai Mondiali, gli italiani notano con grande sorpresa che tutti i giocatori, tranne uno, (Camoranesi) cantano l'inno a piena voce.
È una novità assoluta, che piace molto e rinnova un senso di patriottismo che era andato un po' perso fino a quel momento.
Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l'Austria.
L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. 
Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana.
C'è tanto di Genova  anche nello staff tecnico della nostra nazionale, dove il CT Mancini ha scelto come compagni di viaggio un gruppo di amici che sa di romanzo, di battaglie, litigate e vittorie.
L'allenatore azzurro si è circondato di ex giocatori della Sampdoria: una scelta vincente!
A partire da Gianluca Vialli, “gemello d’attacco” del Mancio, scelto come capodelegazione nella Nazionale ci sono altri vecchi compagni blucerchiati come gli assistenti allenatore Attilio Lombardo, Fausto Salsano, Alberico Evani e Giulio Nuciari.
Centimetro dopo centimetro siamo arrivati sul tetto d'Europa!
L'Italia è in estasi. La Nazionale di Roberto Mancini è campione d'Europa.

Gli azzurri hanno battuto nella finale di Wembley l'Inghilterra ai calci di rigore, trovando così il secondo successo continentale della propria storia dopo quello del 1968. Prova di carattere, ancora una volta dell'Italia che dopo il gol lampo dello svantaggio di Shaw, nella ripresa ha pareggiato i conti con Bonucci. Nella lotteria dei penalty decisivi gli errori di Rashford, Sancho e Saka, con le parate di un super Donnarumma che hanno reso più "dolci" i tentativi dal dischetto falliti da Belotti e Jorginho.
Wembley si colora d'azzurro proprio sotto gli occhi del presidente Sergio Matarella, che nella bolgia dei festeggiamenti sorride felice come un bambino cui hanno fatto un regalo speciale. Finalmente per una volta, dopo questi due terribili anni di pandemia, può tirare un respiro di sollievo.

È solo una vittoria calcistica, d'accordo. Ma a volte per rialzare la testa, e tornare a guardare il futuro con animo più leggero, si ha il bisogno di questi simboli, di queste imprese, di queste emozioni, di questi abbracci.
Come quello, fortissimo, che dopo l'ultimo rigore parato da Donnarumma, si sono dati Vialli e Mancini, gemelli e complici anche in questa nazionale. Piangono entrambi senza freni inibitori. Lacrime di felicità di due amici, che insieme ne hanno viste tante. E che insieme, dopo 53 anni, e dopo due finali perse nel 2000 e nel 2012, hanno riportato il titolo Europeo in Italia.

"L'Italia campione d'Europa è il simbolo di un Paese che rinasce, che ha saputo rialzarsi dopo un anno e mezzo terribile, e che oggi può celebrare uno straordinario gruppo di ragazzi che danno una speranza a tutti noi.1\"

A casa nostra, in questo strano Paese che, quando meno te l'aspetti, risorge dalle sue ceneri.
La paura, la responsabilità e la speranza. Ma anche la solitudine e l'incertezza le strade vuote e le file ai supermercati, la resistenza dalle finestre con canti e applausi e gli striscioni con gli arcobaleni ottimisti sui balconi.

Quasi 2 anni fa anno fa l'Italia piombava in uno dei momenti più tragici dal Dopoguerra, scoprendo per la prima volta quel termine inglese, lockdown, che svuotò vite e città. L'immagine-simbolo di quei mesi resterà per sempre il triste corteo di camion dell'esercito con il carico di bare lungo le strade di una buia e ferita Bergamo
Era l'inizio del silenzio e le vie della 'chiassosa' Italia si ritrovarono improvvisamente deserte.
Nel silenzio nacquero e si scoprirono rumori che disegnavano un'altra geografia ed umanità: lo scrosciare delle fontane, i versi più netti dei gabbiani o di altri uccelli, e lo scivolare sull'asfalto delle tante biciclette dei rider che, con i ristoranti chiusi al pubblico, garantirono e ancora garantiscono un minimo di sussistenza a queste attività.
I paesini sembravano abbandonati, le metropoli, invece, mostrarono tratti post-apocalittici consegnati ad un silenzio senza fine e privo di traccia umana se non le pattuglie delle forze dell'ordine o dell'esercito.

"Andrà tutto bene", si leggeva sui balconi dove al tramonto gli italiani si ritrovavano per lanciare un messaggio musicale di speranza. Prima l'Inno di Mameli, poi i brani più simbolici della musica del Paese. 
Il Paese nell'ora più tragica si riscopri' resistente, unito, solidale.
C'è chi, per esempio, improvvisò servizi di volontariato per consegnare la spesa alle persone più anziane e più sole. Mai come al tempo del lockdown le città senza uomini scoprirono un volto umano. I ragazzi, banditi dalla scuola e impegnati nella didattica a distanza, si affidarono alla tecnologia per sopperire alla mancanza di contatto con gli amici. Si iniziarono a festeggiare i compleanni rigorosamente da remoto. E anche le lauree.
Gli adulti scoprirono lo smart working. Si viveva e purtroppo si moriva da remoto. Perché negli ospedali e nelle Rsa, sigillati a causa del contagio, tanti, troppi anziani sopportarono la malattia da soli e da soli morirono.
Ma si andò avanti perché si doveva.
C'è chi organizzò anche estemporanei scambi tennistici da un balcone all'altro per mantenersi in allenamento. Chi si improvvisò pizzaiolo e fornaio, tanto che farina e lievito registrano il "tutto esaurito". Uniche evasioni concesse: le passeggiate con il cane, qualche corsetta e passeggiate in bicicletta.

L'Italia aveva bisogno di una speranza, aveva bisogno di rialzarsi, di credere in ideali e di tornare ad abbracciarsi tutti insieme... e scusate o perdonate chi forse ha esagerato ma davvero tutti noi ne avevamo bisogno.
Caroselli, fuochi d'artificio e cori in tutto il Paese per la vittoria dell'Italia agli Europei contro l'Inghilterra.
​Gioia grande da Nord a Sud e migliaia di persone si sono riversate nelle piazze italiane dopo i calci di rigore: chi in auto, chi in scooter e chi a piedi, tra trombette e bandiere, la festa è andata avanti tutta la notte. Non sono mancati però scontri e incidenti.

Nel Paese però c'è anche chi ha tifato la Nazionale lontano dalle strade, sventolando il tricolore dai balconi e al riparo dai rischi del Covid e chi - al contrario - ha sfidato virus e assembramenti sognando la coppa europea davanti ai mega proiettori in luoghi pubblici all'aperto, sui lidi, nei bar, spesso sotto lo sguardo delle forze dell'ordine. In tutto il Paese sono stati rafforzati controlli per scongiurare il rischio di maxi assembramenti.
Stabilimenti, chioschi e ristoranti hanno richiamato da Nord a Sud chi non ha voluto rinunciare ad assistere a questi 90 minuti cancellando i problemi della pandemia. Ma gli appelli alla responsabilità, come detto, sono stati ripetuti come un mantra. L'invito è stato quello di festeggiare usando la mascherina, dispositivo che però in pochi hanno usato.

Tanta incoscienza, ma tanto desiderio di libertà e mettersi alle spalle ciò che è stato... ricominciare a vivere.
La strada l'ha tracciata il calcio... con il nostro ct che sin da subito si è posto un obiettivo... quello del ''nuovo inizio''.

Un nuovo inizio per il calcio, per la nazionale, per il paese!
Un grande obiettivo, quello del tecnico azzurro, ottenuto facendo il contrario di quello che avevano fatto i suoi predecessori: e cioè di non pensare subito al risultato, ma di pensare soprattutto al gioco, al divertimento, alla coesione del gruppo.
E a far ritrovare il sorriso a chi scende in campo con la maglia azzurra. “Se riusciremo a divertirci, vinceremo” aveva detto suscitando lo stupore di qualcuno che non aveva ben capito che il calcio, alla fine di tutto, resta sempre un gioco.
Ed è forse anche per questo che milioni di persone si sono ritrovate a far festa per le strade.

C'era bisogno, dopo due anni di solitudini esistenziali, di stare vicino, di condividere, anche su un traguardo apparentemente ludico, una ritrovata compattezza. C’era bisogno di un nuovo inizio. E la nazionale, divertendoci, ci ha fatto ritrovare questa voglia.
GRAZIE RAGAZZI