LORIS

5 e 30 del mattino. Sveglia. Faccia lavata vigorosamente per abituarsi ad un’alba mai clemente. Risveglio muscolare con ausilio di un’apposita applicazione in continuo aggiornamento. Doccia veloce con bagnoschiuma allo zenzero e shampoo rigorosamente selezionato a basso ph. Colazione a base di fette biscottate integrali su cui spalmare una punta di marmellata di kiwi senza troppa convinzione, accompagnate da una tazza di tè bollente ai frutti di bosco non zuccherato e melone avvolto da non più di quattro fette di bacon. Cambio abbigliamento rapido ed indolore. Casco. Motorino. Avviamento. Saracinesca del bar a pochi minuti di marcia.

6 e 45.
Ed eccomi qui, ad iniziare un’altra giornata di lavoro estivo.
Avevo bisogno di sgobbare e di “rovinarmi” l’ultima estate dell’adolescenza, quella post-maturità che tutti sogniamo da piccoli, se volevo davvero inseguire il mio più grande desiderio.
Lavoravo alacremente dall’inizio della stagione e, tutto sommato, non era così drammatico come prospettavo inizialmente. I clienti, oramai, li conoscevo uno ad uno.
Fabrizio, rappresentante di prodotti tipici locali, era sempre puntuale come un orologio svizzero: alle 6:55, cascasse il mondo, prendeva posto nel locale per consumare il suo caffè macchiato e il suo bombolone caldo alla crema pasticcera. Mai lo avevo visto arrivare ad un orario differente.
“Ho bisogno di energia per fatturare, campione.”
Poco più tardi, Jessica, il mio folle amore impossibile. Capelli biondi, camminata sportiva, occhiali da sole a mascherare le bravate della sera prima e, come di consueto:
Loris, il mio solito…”
“… cappuccino con cacao in polvere a forma di cuore.”
“Bravo, tesoro!”

I nostri sorrisi reciproci significavano amore, me lo sentivo. Ero sicuro mi volesse più di ogni altra cosa al mondo, almeno fino all’arrivo del suo fidanzato.
Giovanni, cosa prendi?”
“Nulla, grazie. Solo un succo di frutta. E, visto che ci sei, se mi potessi dare anche una di quelle fette di torta all’amarena mi faresti cominciare quest’altra battaglia quotidiana alla grande! A, ovviamente, un goccino di caffè, se non ti dispiace.”

Alla faccia del “nulla, grazie”.
Rebecca, insieme al suo figlioletto, aspettava velocemente il suo ristretto. Perennemente al cellulare, non sapevo nulla oltre il suo nome.
Zio Fausto fumava il sigaro solitario al “suo” tavolino posto all’esterno e mi attendeva per la solita battuta sulla partita della sera prima, fino al fatidico momento in cui mi faceva avvicinare come se dovesse rivelarmi chissà quale mirabolante segreto e, invece, con tono sommesso, mi chiedeva aiuto nel leggere i messaggi inviati dal figlio emigrato.
“Sai, non vedo benissimo, Giulio.”
Loris, Zio Fausto. Giulio è partito!”

Si confondeva sempre con mio cugino, di cui avevamo perso inspiegabilmente le tracce una sera di fine estate di tre anni fa. Mi mancava tantissimo. Era stato lui, tra l’altro, a trasmettermi la passione per il ruolo di centrocampista.
Ricordo ancora il primo match “vero” in cui giocammo assieme, quello del torneo parrocchiale che si teneva durante le vacanze natalizie, una sorta di istituzione per il nostro quartiere. Vincere quel trofeo era sinonimo di orgoglio per un anno intero. Regola fondamentale era che ognuno dei partecipanti avesse l’obbligo di indossare una maglietta di un calciatore, non importa di quale squadra o categoria: l’importante era offrire vivacità e colore a quella splendida adunata collettiva.
Inoltre, era anche un’occasione per consentire a tutti i ragazzini di poter sfoggiare il loro dono consegnato da Babbo Natale in persona la notte della vigilia. Ed erano tutti sempre felici, a prescindere dal risultato, perché la bellezza e l’onore di indossare la t-shirt con inciso il nome di un calciatore più o meno famoso era impagabile. Purtroppo, però, l’anziano di Lapponia pare non fosse sensibile alle mie richieste. Eppure, non chiedevo la luna: avrei desiderato solo una sciarpa, un cappellino, anche un semplice portachiavi per sentirmi solo per una notte un po' come gli altri. Ma, evidentemente, dovevo sbagliare qualcosa nella compilazione della domanda, magari l’indirizzo o il codice di avviamento postale. O, più semplicemente, non ero davvero come gli altri. Fatto sta che mi toccava ormai da diverso tempo scartare, all’ombra del nostro alberello spoglio e non illuminato, una barretta di cioccolato fondente e un paio di noci. Dovevo fingere di essere al settimo cielo, per non far crollare mia madre, già alle prese con una miriade di problematiche.
E quell’anno, essendo il primo torneo a cui potevo accedere avendo compiuto quattordici anni, ricordo che lui mi chiamò insistentemente e, dopo svariati tentativi, fui costretto a rispondere al telefono.
Le sue parole mi risuonano ancora come fosse ieri:
“Quindi mi stai dicendo che non verrai. Bene. E quante botte credi che ti darò, se alle 18 non ti presenterai al “Santo Stefano”? Vuoi davvero rischiare di festeggiare il Capodanno con un occhio nero a causa mia? Tu credi di trasmettere compassione. Credi di essere la vittima di un mondo ingiusto, di essere un perdente designato, il bersaglio del destino. Invece non è così. Il problema sei tu. Sei tu che stai rinunciando ai tuoi sogni. Credi che piangerti addosso sia la soluzione migliore per risollevarti da questa situazione schifosa? Vedi di alzarti e di non versare più una lacrima. Credi che sarebbe fiero di te, se ti vedesse così?”
Da quel momento, non era più solo mio cugino. Ho sempre pensato che un Giulio, nella vita, dovrebbe averlo chiunque, quando le cose non vanno per il verso giusto. Dovrebbe essere un diritto garantito per legge avere qualcuno che, nel momento peggiore, sappia trovare anche solo una frase, un riferimento o un’allusione per stimolarti, per farti venire voglia di mangiarti la vita anche quando non hai un soldo bucato per permetterti un pasto decente, per non farti prendere una direzione che non è la tua, per farti credere che ciò che ti sembra impossibile può ancora essere possibile.

Fu così che finalmente scelsi: avrei fatto di tutto per diventare un calciatore. E non importava se non ci fossi realmente riuscito: quel che è certo, è che non avrei mai potuto continuare a vivere senza darmi una chance.
Così, mi presentai al campetto con una maglietta color marrone raccattata nell’armadio, la quale aveva un buco sulla parte inferiore e che nascosi all’interno di un paio di pantaloncini stretti (erano di qualche anno fa) e che mi rendevano non propriamente un modello.
Difatti, le risate che accompagnarono il mio arrivo non furono di buon auspicio, ma un braccio mi sorprese alle spalle.
“E tu pensi di giocare in questo modo?”
Era Giulio e tra le mani aveva maglietta, pantaloncini e calzettoni di Guillermo Giacomazzi.
“Che… che intendi dire?”
“Mettiteli addosso. Oggi sei il faro del nostro centrocampo. E vedi di non fare cazzate!”

Avrei voluto piangere dall’emozione, se non mi fosse stato impedito proprio da lui con quel dialogo convincente.
Con un sorriso che stentavo a contenere mi diressi verso una sorta di scantinato adibito a spogliatoio e mi misi l’uniforme giallorossa salentina.
Sì, avevo anche io, finalmente, la mia maglia. Ed ero finalmente consapevole che avrei dovuto seguire il mio cuore.
La partita, per la cronaca, terminò con il risultato di…
“Scusa, giovane, mi puoi dare una cedrata? Sono le 15 e vorrei andare a casa a pranzare.”
Le 15?? Dovevo chiudere e tornare immediatamente anche io.
Il pranzo era compito mio, secondo gli accordi, ed ero già in nettissimo ritardo.
Solo che quando mi metto a pensare al calcio...
Feci un resoconto della cassa e lasciai un appunto al proprietario che sarebbe passato nel pomeriggio, prima di chiudere tutto e tornarmene a bordo del mio bolide.
“Mamma, sono a casa. Ma… che hai?”
Mi porse una lettera senza pronunciare una parola e tra le lacrime.
“Che cosa…”
Era marchiata “Football College”. Il mio futuro era contenuto in quel foglio di carta.
“Signor Loris Casacca, a nome del Football College le comunichiamo che...”


                                                                                        AMBRA

“… è stata ammessa a frequentare il primo anno della nostra scuola di formazione per giovani calciatori e calciatrici. È richiesta la Sua presenza giorno 10 settembre alle ore 9:00 per la presentazione ufficiale.
L’eventuale assenza sarà considerata come rinuncia e non potrà più essere presa in considerazione per qualsiasi futura candidatura in alcun corso organizzato dalla nostra amministrazione.
Le sarà richiesto di esibire un documento di riconoscimento e l’attestazione medica che certifichi l’idoneità per lo svolgimento di attività sportiva a livello agonistico.
Le sarà assegnata una stanza all’interno del nostro campus, nella quale saranno ammessi solo capi di abbigliamento e materiale personale per l’igiene. Per tutte le altre esigenze, il nostro campus provvederà a fornirLe il necessario (vitto compreso).
La prima rata dovrà essere corrisposta improrogabilmente entro il 30 settembre, pena l’espulsione.
Il giorno della presentazione sarà presentato il vostro piano di studi e il regolamento interno.
Per qualsiasi dubbio, può contattarci ai recapiti in coda.

                                                                                                                                                             Albino Materia
                                                                                                                                           Direttore Football College


Rileggi, Ambra. Rileggi, perché è reale. Sei stata ammessa, sei una nuova leva del più importante polo per giovani calciatrici del Paese.
“Ciao, Lidia, appena leggi questo messaggio chiamami. Ho ricevuto la lettera del College ed è … pazzesco! Probabilmente è arrivata anche a te. Fammi sapere che così ci organizziamo insieme per andare, oltre a festeggiare adeguatamente. Non vedo l’ora. Baci!”
Di corsa volai in stanza, a cominciare a preparare i bagagli.
Ero emozionatissima, non poteva non essere altrimenti.
“Tesoro, ma che ti è preso?”
“Mamma… sono dentro!”
“Intendi dire… davvero ti hanno reclutato?”
“Sì. Non è fantastico?”
“Amore, sono fiera di te. Vieni qui, abbracciami! Sei speciale e lo sai. Solo una cosa. Dillo con tatto a tuo padre. Sai come la pensa…”
“Cioè, neanche il tempo di godermi la notizia e già mi rompi? Ma quante volte dobbiamo affrontare quest’argomento? So benissimo che avevate già disegnato la mia strada. Università prestigiosa strapagata da voi senza che io avessi dovuto muovere un dito, facoltà di giurisprudenza, cinque anni piegata sui libri senza mai vedere il colore del cielo o respirare la brezza del mare, praticantato nel miglior studio su piazza e boom: l’avvocato di famiglia da mostrare come vessillo ai vostri concorrenti.
“Smettila, non è questa la preoccupazione di tuo padre …”
“A no? Scommetto che è perché ci tiene a me, al fatto che sono intelligente e sprecata nel dare calci ad un pallone di cuoio. Però, se fossi nata uomo, non l’avreste pensata così. Avreste fatto di tutto per rendermi Cristiano Ronaldo, no?”
“Piantala, Ambra! Io sono felice per te, non trattarmi come non merito. Solo che avevamo altri desideri. Tutto qui. E se volessi riflettere almeno un attimo, prima di…”
“Ho già riflettuto, mamma! Non è solo un gioco, per me. Come fai a non comprendere?”
“Sei tu che forse non comprendi noi. Lo sport è sano e potresti giocare ogni volta che vuoi, ma ti stiamo solo invitando a scegliere una strada più sicura. Nessuno ti ha mai impedito nulla e nessuno lo farà. Solo, se tu studiassi…”
“Tu non vuoi la mia felicità. Vuoi la tua. La vostra. La strada che conduce alla sicurezza ma non a ciò che mi fa stare bene. Mamma, ho già deciso anni fa e non perderò questo treno perché voi non siete pronti ad accettarmi. Comunicherò stasera a papà la mia decisione e qualsiasi sia la reazione non indietreggerò. Sono stata abbastanza chiara?”

Cena.
Silenzio surreale per chiunque, tranne che per la mia famiglia. Erano abituati a non dirsi nulla, figuriamoci la verità.
“Papà, devo dirti una cosa.”
“Finisci di cenare. Lo sai che non riesco ad affrontare nessun argomento, quando sono a tavola.”
“La tua amante è esclusa da questa regola, vero?”
“Ambra, non ti permettere!”
“Mamma, ma se lo sai anche tu. Basta falsità o belle facce: papà, mi hanno preso. Credevi non lo avrebbero fatto e, invece, forse un residuo di talento in me qualcuno lo ha visto. Forse, perché c’è qualcuno che non ha pregiudizi e non crede che ci sia un solo sentiero da percorrere nella propria esistenza, soprattutto quando è tracciato da altri.”
“E così hai deciso contro la nostra volontà?”
“Sì, papà.”
“Bene. Allora anche io ho una comunicazione da fornirti: hai diciotto anni e stai andando fuori di casa. Non ti sosterremo nella tua follia. Andrai fuori di qui con il necessario per sopravvivere fino alle vacanze di Natale. Poi, dovrai cavartela da sola con le tue gambe. Tanto, sei una calciatrice provetta, non avrai problemi.”
Armando, ti prego, non prendere decisioni affrettate…”
Clara, è deciso. Si accorgerà ben presto che si troverà di fronte a qualcosa più grande di lei. E poi, le stiamo facendo un piacere. Ha sempre voluto mettersi in gioco. Adesso, ha tutte le possibilità di farlo.
Buon “Football College”, Ambra.”

 

TO BE CONTINUED...

Vicenda completamente frutto della mia fantasia. Loris e Ambra sono i due ragazzi protagonisti, intenzionati a divenire calciatori all'interno del Football College. Le dinamiche familiari, relazionali e calcistiche si intrecceranno nell'evoluzione di questa avventura. L'idea è quella di proporre un contenuto settimanalmente.