Ieri sera ho tenuto duro, sdraiato sul divano di casa, immerso nel piacevole torpore causato dalla vicinanza del calorifero e dal pieno di carboidrati fatto a cena, ho mantenuto gli occhi aperti per godermi almeno il primo set di Fognini – Alcaraz a Rio de Janeiro, partita degli ottavi di finale giocata sul campo Guga Kuerten.

Non che il Rio Open sia tra i più importanti tornei dell’anno, è un 500, sta nel mezzo nella scala di valori dell’ATP (Association of Tennis Professionals), ma quante occasioni avrò ancora di vedere il Fogna battersi alla pari contro l’attuale numero 2 del mondo e futuro dominatore del tour per almeno i prossimi dieci anni?

Il nostro Fabio sanremese se l’è giocata proprio alla pari, almeno per un set e mezzo, e su questo non avevo dubbi, troppo orgoglioso per fare una figuraccia con un ragazzino di sedici anni più giovane.

Il Fogna, come viene chiamato dagli appassionati di tennis, i problemi li ha sempre avuti più con sé stesso che con gli avversari, con quel suo carattere, quel suo modo di essere che fa parte della categoria genio e sregolatezza, e per sregolatezza non intendo una vita di droga, sesso e rock and roll, ma un modo sbagliato di approcciare a certe partite sulla carta facili, un comportamento a volte “folle” che appartiene solo ai geni, ai fenomeni, ai fuoriclasse, a quelli cui madre natura ha donato un talento smisurato, fuori dal comune, e per bilanciare il tutto ha pensato anche ad una sorta di microchip per renderli imperfetti, per farli andare in tilt in determinate situazioni. Come se madre natura voglia, facendo così, aiutare quello meno fortunati, i non eletti.

Fabio Fognini ha un talento incredibile, un timing sulla palla, una naturalezza nel colpirla sia di diritto che di rovescio scritta nel DNA, ha dei movimenti che nessun maestro può insegnare, sono innati.
La differenza tra lui e Sinner, giovane campione italiano, è che l’alto atesino è un robot costruito in officina come Borg, Lendl, Nadal, Muster, mentre il Fogna è magia come John McEnroe, come Andre Agassi, come Stefan Edberg, come Kyrgios.
A Fabio, a dire il vero, oltre all’equilibrio mentale, mancano dieci centimetri di statura, manca quell’altezza fondamentale nel tennis del 2000 per sparare servizi a 220 km/h, manca quell’arma che ha portato in finale a Wimbledon Berrettini.
Se togliessimo il servizio o perlomeno la prima di servizio, Berrettini non vincerebbe un solo match contro Fognini, ma nel tennis il servizio esiste e se ne hanno a disposizione due ad ogni quindici giocato.

A me Fognini ricorda un po’ Cantona, “folle” genio del calcio di cui il mio presidente Moratti era innamoratissimo e al quale pensò come primo acquisto appena avuta la proprietà dell’Inter.
Cantona era un fenomeno, era uno di quelli che non aveva mai avuto bisogno della scuola calcio, uno di quelli che da bambino all’oratorio, se esistono gli oratori in Francia, dribblava come birilli quelli più grandi di lui e poi la metteva alle spalle del portiere con un tocco vellutato che aveva più le sembianze di una carezza che di un calcio ad un pallone.
Nessuno può cambiare quelli come Fognini e Cantona, nessuno po' fargli capire che non devono spaccare racchette, che non devono scatenare risse con gli avversari, che non devono insultare gli arbitri, che non devono fare mosse di Kung Fu ai tifosi avversari che li provocano.
Cambiarli significherebbe togliergli i super poteri di cui sono dotati, sarebbe come spegnere quel fuoco che scalda i loro cuori, le loro anime, e purtroppo a volte anche le loro menti.
Bisogna lasciarli liberi di essere quello che sono, liberi di regalarci, nel bene e nel male, continui show senza i quali la vita di tutti sarebbe piatta, noiosa, priva di significati importanti, di cose da vivere e raccontare.

Chiudo citando Edgar Allan Poe, scrittore, poeta, giornalista, saggista statunitense dell’'800:
"Mi hanno chiamato folle, ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell’intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell’intelletto in generale".