Sono passate le prime tre giornate di Champions League e l’Atalanta, ospitata nel Girone C, chiude a zero punti la fase di andata. Per molti questa situazione è stata letta come un flop.
L’Atalanta, si dice e si scrive, non è ancora pronta per competizioni come la Champions, motivo per cui non sarebbe idonea a parteciparvi. Fioccano così proteste velate, da chi indica la Dea come possibile causa di un prossimo peggioramento del ranking italiano, a chi invece sostiene come la Champions sia mero territorio delle squadre più blasonate. Deludente, così viene definito il percorso sino ad ora dell’Atalanta e quasi ci si rammarica della sua grande impresa, la stagione scorsa.
A mio avviso, per quanto possa essere d’accordo che il ranking UEFA dei club italiani vada protetto, non si sta guardando la situazione dalla giusta prospettiva. Il progetto Atalanta è infatti un modello che dovrebbe essere ricalcato da più parti, sia dalle società medio-piccole come quella bergamasca, che da quelle decisamente più dimensionate e dalla storia importante. L’Atalanta è infatti un cantiere in continua evoluzione, ma con un progetto molto preciso e scandito da tempistiche ben definite. Per capirlo, basterebbe guardare i risultati sportivi, così come quelli economici, nel lungo periodo. Osservando il suo trend, si nota con estrema facilità una sua costante crescita, la quale va sempre più col consolidare una situazione societaria e sportiva coriacea. Sino a qualche anno fa, se ci pensiamo, l’Atalanta non sarebbe mai stata identificata come una legittima pretendente ai primi posti della classifica. Già la sua qualificazione in Europa League, stagioni addietro, fu vista quasi come un miracolo.
Passata poi per un anno di transizione, i risultati sono tornati a ripetersi, giungendo addirittura a varcare la soglia della qualificazione Champions. A questo punto, parlare di miracolo, di eventualità, di impresa, comincia a diventare stucchevole e poco realistico. I risultati raggiunti dall’Atalanta oramai non sono altro che la diretta conseguenza di un progetto ben oliato, partito molto tempo fa e che, forse, ancora deve raggiungere il suo punto più alto. Nel grafico che ho messo nell’immagine in evidenza, è impossibile non notare il trend in costante crescita dell’Atalanta. E questo sia in fattori sportivi, punti in classifica per intenderci, che economici, ovvero gli utili. Senza contare che, nel 2019, l’Atalanta vedrà entrare nelle proprie casse gli introiti da partecipazione della Champions. 

Detto ciò, tornando al punto di partenza, come mai la Dea sta per ora “sfigurando” in Europa, mentre in Italia corre senza limiti apparenti? La risposta è molto semplice e nota a tutti. La Champions è un torneo molto diverso dal campionato italiano. Non basta avere buoni giocatori, per fare risultato. Bisogna saperne respirare l’atmosfera, avere i polmoni pronti per vette così elevate. Ci vuole, per farla breve, esperienza. E l’esperienza si costruisce in due modi: 

  • Partecipando con costanza a tale competizione
  • Acquistando giocatori importanti, con solida esperienza di Champions

L’Atalanta di oggi non ha né l’uno né l’altro a portata di mano. Per tale ragione, sono in molti ad incolpare l’Atalanta di “non aver fatto un mercato all’altezza della Champions”. I suoi giocatori sono buonissimi, ottimi in alcuni frangenti, ma non hanno grande esperienza con le competizioni europee. In Europa si vivono pressioni differenti, così come lo stile di gioco richiesto è diverso rispetto a quello della serie A. È un po’ come per chi fa dell’alpinismo la propria passione o professione. Si può essere dei fenomeni a raggiungere la vetta del Monte Bianco, ma quando si sta scalando l’Everest, la mancanza di ossigeno si fa sentire. Ovvio, con qualche bombola e con qualche giocattolo tecnologico, è possibile migliorare in fratta. Ma è proprio questo che aiuta lo scalatore a raggiungere la vetta? O lo è forse la preparazione dell’impresa, la sua progettazione nei minimi particolari, l’entusiasmo che vi sta dietro? Parafrasando questa metafora in termini calcistici, l’Atalanta poteva, anche per virtuosismi di bilancio, permettersi qualche colpo di mercato in più. Ha preferito non farlo, semplicemente perché non necessario e non concernente il suo progetto. Cercare di rinforzarsi, di trovare una via più rapida di crescita, non è poi sempre la scelta più giusta. I bilanci della Dea sono impeccabili e in costante crescita. I risultati non lo sono da meno. Per fare un esempio, se dovesse mantenere il medesimo trend punti attuale per tutta la stagione, chiuderebbe a quota ottanta. Ovviamente incontrerà anch’essa degli ostacoli, dei momenti di calo di forma, ma è quasi impensabile credere che questo trend si possa invertite. Ebbene, per arrivare a un simile livello in campo nazionale, l’Atalanta ci ha messo diversi anni, mettendoci un’estrema pazienza e senza mai arrendersi. Chi può dire che, la medesima cosa, non possa ripetersi in Europa? Solo il tempo ce lo potrà dire, ma è indubbio che la direzione imboccata sia quella giusta. 

No, l’Atalanta non ha bisogno di ossigeno artificiale o altri aiuti esterni, improvvisi. Essa è una extreme performer, ama raggiungere i propri obiettivi con le sue sole forze, con i suoi soli polmoni. Questo ovviamente significherà che non sempre la vetta sarà raggiungibile. Magari serviranno un po’ di tentativi, ma è probabile che in ognuno di questi essa continuerà a mettere un nuovo piolo sulla propria scala. Evitare di mettere mani in fallo, lasciare che il proprio operato non sia gravato da pesi inutili. Fare in modo, insomma, che il progetto prosegua e faccia il suo corso.
Può essere un atteggiamento criticabile, questo? Certamente, in quanto la critica è pur sempre un diritto. Ma in questo specifico caso, a quale scopo e da quale pulpito? Senza alcuna offesa, a parer mio quello della scarsa lungimiranza. L’esatto contrario rispetto a quanto dimostrato dalla società di Percassi, la quale oggi vanta un proprio stadio in continuo ammodernamento, bilanci scultorei, risultati conclamati e ad alti livelli. Chi avrebbe potuto immaginare tutto ciò, anche solo un quinquennio fa? Il sottoscritto ancora oggi si stupisce di quale modello di Business sia stato messo in atto, in una semplice società di provincia. E così facendo sbaglio pure io, in quanto non dovrei più stupirmene. L’Atalanta non è più una squadra di miracoli, di eventi eccelsi improvvisi. A breve perderà anche la nomea di squadra che cresce talenti, solamente per venderli e ricavarci importanti plusvalenze. Questo in quanto, a tendere, non ne avrà più bisogno. E dove squadre blasonate come il Milan si sorreggono su strutture fatiscenti, che sarebbe più facile abbatterle per ricostruirle da capo, che ristrutturarle, questa piccola realtà è penetrata nel calcio che conta. La cosa che veramente stupisce è che nessuno se ne sia ancora accorto, o almeno non ne abbia ancora realizzato la potenzialità. 

Sì, probabilmente l’Atalanta non è una squadra da Champions. Ma di certo lo è la sua società e, ben presto, gli effetti si vedranno anche sul campo, che piaccia o meno.