La via del ritorno è un po’ la via del rimpianto, dicono alcuni filosofi. Come potergli dare torto. Inutile dire che in questo mio lungo silenzio, questa mia assenza da questa bellissima piattaforma, c’è infatti molto rimpianto. Il rimpianto di non aver potuto esprimere ciò che avevo dentro, non per mancanza di volontà, ma ahimè per effettiva mancanza di tempo, così come delle giuste energie.
Come il lockdown è stato un periodo di prolungata e forzata pausa dal lavoro e dagli impegni per molti di noi, al contrario per il sottoscritto sono stati i mesi più pieni degli ultimi anni. Essendo il mio lavoro quello di assistere le aziende dal punto di vista analitico e finanziario, sarà facile immaginare come le richieste di aiuto siano decuplicate in un periodo del genere. Una fortuna, senza alcun dubbio, che poi si è accompagnata a due grandi gioie concomitanti. La prima, quella di aver finalmente ultimato il mio romanzo, ora in pasto ai temibili editor della casa editrice; la seconda, la più bella, il fatto che la mia amata metà sia in dolce attesa. Un periodo dunque non solo pieno, a differenza di molti, ma sconquassato da importanti cambiamenti.
Per quanto in molti avrebbero potuto pensare che la mia partecipazione a VxL potesse facilmente passare in secondo piano, in realtà il mio silenzio è stato assai sofferto. Potersi esprimere è una libertà importante, tra le più belle oserei dire. Non poterlo fare, essendo in particolare una persona molto legata all’atto dello scrivere, è stata a suo modo una sofferenza, alla quale però ci si è dovuti arrendere.

Sono stati tre mesi assai lunghi, casi amici. Tre mesi in cui si è passati dal temere l’invisibile, al non riuscire ad immaginare come sarebbe finita, al non comprendere in che modo ripartire. Tre mesi di estrema incertezza, insomma. E l’incertezza è un qualcosa di, mi si passi il termine, potenzialmente virulento. È in grado di infettare qualsiasi dimensione delle nostre vite, persino quelle più solide o che crediamo tali, come potrebbero essere le passioni, le fedi, i piaceri. Nemmeno il calcio è immune dal morbo dell’incertezza, che tutto cambia e trasforma. Ancora ricordo con chiarezza il giorno in cui il campionato fu giustamente bloccato a causa del Covid-19. Per quanto comprendessi, e in cuor mio appoggiassi, una simile decisione, provai una nota di profondo dispiacere, pensando come il calcio, lo spettacolo, avesse potuto fare bene in un momento di sconforto. Meno di cento giorni dopo, ecco presentarsi l’esatta situazione opposta. Il tanto reiterato e agognato restart, ebbene non era poi così tanto desiderato, almeno dal sottoscritto. E questo non perché la mia passione per il calcio si sia spenta. Se una passione è degna di questo nome, converrete che non si può spegnere dall’oggi al domani. Eppure, eccomi lì, quasi a desiderare che il calcio non ricominciasse, non quest’estate almeno.
Spiegarne il motivo non mi è facile. D’altronde, non sono nemmeno sicuro di averlo compreso io stesso. Sarà forse che le emozioni provate in questo periodo strano, travagliato per molti, ci hanno portato a riflettere sulla necessità e l’utilità di molte cose. Ciò significa che il calcio non sia necessario? Lungi da me un simile pensiero. Non sia mai che la vita sia esclusivamente lavoro, logica, serietà e produzione. Se così fosse, qual senso ci sarebbe a tutto ciò. Nella vita noi tutti abbiamo bisogno anche del futile e, con il dovuto rispetto, il calcio è una delle futilità più belle, se preso nel giusto modo. Non è dunque perché il calcio è una cosa lontano dall’essere necessaria, che ne ho (quasi) desiderato il prolungato stop, ma per tutte le cose inutili (dire NON necessarie sarebbe troppo gentile) che vi orbitano dentro e attorno. Il bisogno di polemica, tanto per cominciare. La voglia di regolamentare l’irregolamentabile e di deregolamentare ciò che dovrebbe essere regola di natura. Rendere il semplice difficile, intortandolo con l’inutile. Cose che accadevano già prima dell’epoca Covid, siamo sinceri, ma che ora, non so perché, trovo insopportabili. Forse aveva ragione mio padre: superati i trenta, il morbo della brontolaggine comincia a sbocciare.

Scherzi a parte. Il ritorno al calcio giocato è stato a singhiozzo, almeno per il sottoscritto. E questo è a dir poco singolare per un tifoso rossonero come me, visto che il Milan è tornato a correre come non lo si vedeva da anni. Non so voi, ma io ci vedo un non so che di ironico (della serie, ero forse io a portare sfiga?). Anche questo “grande” (che Sacchi e Ancelotti mi perdonino per tale definizione) Milan nasconde però profonde contraddizioni, forse peggiori di quando le cose andavano terribilmente male. Come molti avranno già intuito, sto parlando delle dicotomie oramai famose Rangnick/Pioli, Gazidis/Maldini. L’inutile di cui nessuno, milanisti meno degli altri, ha bisogno. E se del calcio non mi mancava per nulla il caos mediatico, del Milan non provavo alcuna nostalgia per questo costante desiderio di rivoluzione. Rivoluzione verso cosa? Rivoluzione a che scopo? Rivoluzione sempre e comunque, come se la rivoluzione non fosse il mezzo verso un fine, ma il fine stesso di queste sciagurate dirigenze. Peggio ancora, un fine non votato al ritorno del Milan nel calcio che conta, come invece vorrebbero far passare, ma di qualcosa di incredibilmente più futile e irritante. Orgoglio. Il bisogno di rivoluzione del Milan, prima fra tutte quella targata Gazidis & Co., ha tutto fuorché lo scopo di far tornare grande il club rossonero, divenuto ahimè palo della luce su cui negli ultimi anni diverse personalità sono sopraggiunte a marcare il proprio territorio. Riprova di ciò il paradosso nei confronti di Mr. Pioli, i cui risultati parlano per lui. Conseguenza: Pioli a fine stagione abbandonerà il Milan, esattamente come Gattuso un anno fa. Perché? Con quale scopo? Per antipatia? Per logica? Per utopia? No, solo per orgoglio. Per poter dire qui comando io e la mia parola è legge. La follia, detto in una parola sola. La follia.
Una follia a cui il sottoscritto risponde come Kuntz al termine di Cuore di Tenebra: l’orrore. Un orrore per il quale ancora oggi, nonostante una grande vittoria sulla Lazio e una bella rimonta sulla Juve, faccio fatica a riabbracciare il calcio come un tempo.

P.s.: per chi si ricordasse ancora di me, sino a tre mesi fa mi firmavo Novak88. Dopo il lockdown ho deciso di mettere un po’ più di me in questa piattaforma, firmandomi almeno con il mio nome di battesimo.
Un abbraccio, finalmente, dopo tanto tempo!
Igor Z.