Dopo i quattro di Liverpool, ora abbiamo i quattro di Roma. Anche se Roma è sicuramente più bella di Liverpool, il canto dell'Anfield Road, lo stadio di Liverpool, è un inno bellissimo, che lascia i brividi. E così i nostri ragazzi ventenni ci hanno regalato l'ennesimo brivido. Ce lo avevano già dato a San Remo (si scrive così, abito lì vicino), con "Zitti e buoni", la protesta dei nostri giovani rocchettari, che sì, sono fuori di testa, ma liberi di esserlo. Come eravamo noi nel sessantotto, fuori di testa e con la testa piena di capelli; lunghi, sporchi e pieni di sogni. Sognavamo un mondo libero, ed avevamo il coraggio di dirlo ed affrontarlo. Avevamo creato il più grande conflitto generazionale della storia moderna, ma era pacifico, senza cattiveria, anzi il nostro simbolo della "zampa di passero" diceva: "love not war". Fate l'amore non la guerra. Volevamo anche quella libertà, di fare all'amore, senza stupidi tabù e facendo anche nascere bambini che si esibivano completamente nudi al mondo, senza quella falsa vergogna di chi ha qualcosa da nascondere, nemmeno le nostre nudità. Avevamo la nostra colonna sonora; innanzitutto i quattro di Liverpool, i Beatles. Hanno sconvolto il mondo con le loro canzoni, i primi complessi, lo stile rivoluzionario delle loro canzoni, il modo di vestire e di portare i capelli. E dai ragazzi di Liverpool nacquero nuovi stili musicali, tra questi, i loro rivali storici, i Rolling Stones, con un "front man" a dir poco stravagante, il mitico Mick Jagger. Il loro stile era più rock, e canzoni come "Satisfaction" o "19th nervous breakdown" ne erano il marchio certificatore. Erano gli anni sessanta, e nel frattempo la musica si evolveva, ma sempre con questa impronta rock, che piano piano diventava "hard", con l'espressione che arrivava dai Deep Purple, Led Zeppelin, Pink Floyd, Jethro Tull e così via fino ad arrivare al rock atipico degli Emerson Lake and Palmer, che rielaboravano brani di musica classica, mostrandoci un mondo diverso, dove Bach e Mozart, per non parlare di Moussorski, entravano di diritto nella musica rock.
Ma tutto quel mondo soffriva allora dell'ostracismo intellettuale di media e giornalisti, che non ci lasciavano lo spazio di cui avevamo diritto. Dovete sapere che allora internet non esisteva, e nemmeno i telefonini. Quando andava bene una radiolina a transistor ci poteva transitare  in quel mondo, boicottato a torto da case discografiche miopi, e da un mercato musicale fatto di cover. Così "Paint in black" dei Rolling Stones diventava "Tutto nero" cantata da Caterina Caselli, "A whiter shade of pale " dei Procol Harum (al primo posto mondiale nel 1967) diventava "Senza luce" dei Dik Dik, "Homburg", sempre dei Procol Harum, "L'ora dell'amore" dei Camaleonti. E così tantissime canzoni, tradotte in italiano e preda del mercato musicale nostrano, ci venivano presentate da autori non originali. Ci abbiamo messo quarant'anni a fare la conoscenza dei veri brani, ed il loro significato in inglese, per non parlare di grandi personaggi come Jimi Hendrix, o Janis Joplin, intraducibili, perché la chitarra di Hendrix non si poteva replicare. E nemmeno la voce di Janis. Entrambi ci hanno lasciato che non avevano ancora trent'anni, "liberati" da questo mondo dal loro uso di droga e alcool: angeli incompresi. E tra gli intraducibili, c'erano i Led Zeppelin, i Deep Purple, Pink Floyd ed altri fenomeni, che ancora oggi ci deliziano con brani indimenticabili, con virtuosismi strumentali incredibili e voci impressionanti. Abbiamo così conosciuto chitarristi come Eric Clapton, dei mitici "Cream", (detto Slow Hand, per la sua tecnica) di Jimmy Page dei Led Zeppelin, Richie Blackmore dei Deep Purple, David Gilmour dei Pink Floyd, Carlos Santana con il suo ritmo Hispanico Rock, del suo omonimo gruppo: I Santana. le grandi voci erano quelle di Ian Gillian dei Deep Purple, Robert Plant dei Led Zeppelin, Freddy Mercury dei Queen ed ancora altri.

In casa nostra, comunque qualcosa si muoveva, nascevano gruppi sull'onda dei miti stranieri, e cominciarono veri e propri esperimenti che videro la nascita delle "Orme", sullo stile Emerson Lake and Palmer, del "Banco del Mutuo Soccorso"e della "Premiata Forneria Marconi", un gruppo che aveva tutti i componenti diplomati al conservatorio. Altri gruppi seguirono, con musiche a volte sperimentali, come gli "Area" del compianto Demetrio Stratos, gran bella voce, che fece  anche parte dei "ribelli" di Celentano. Ma per anni se non decenni, per vedere o sentire i gruppi rock, o si comprava il disco o andavi all'estero ai loro concerti. In entrambi i casi il problema costo era rilevante, e qui in Italia questi gruppi arrivarono molto tardi, tanto che per vedere i Deep Purple ed i Jethro Tull, ho dovuto aspettare l'età di sessant'anni, quando finalmente sono venuti a Genova, ormai simili a pensionati, ma con la loro carica interiore intatta. La televisione non li trasmetteva, ma per alcune sigle, grazie a qualche giornalista o programmatore di sigle evoluti, quei brani venivano usati per introdurre trasmissioni, anche culturali. Mi sovviene "Tank" degli ELP, "L'ouverture from Tommy"  degli Who sigla iniziale di "Stasera G7" e Mino D'amato che nella TV dei ragazzi, il suo programma "Avventura", presentava due brani bellissimi, all'inizio "She came in trough the bathroom window" di Joe Cocker, e alla fine "A salty dog" dei Procol Harum. E comunque la nostra Tv, voleva nel frattempo fare sfoggio di modernità, e, complice la musica elettronica, ci tempestavano di brani ballabili, ma senza la poesia e la carica che ci dava il Rock che volevamo vedere, di classe superiore ed interpreti eccezionali, sia come musicisti che come vocalmen. Ed ora, finalmente abbiamo vinto. Sì, ha vinto la nostra generazione, che finalmente accoglie con entusiasmo il rock, che trionfa a San Remo facendo esultare schiere di sessantenni e settantenni, che dopo tanti anni si vedono riconoscere le loro passioni rock, e noi siamo gli unici che possiamo veramente capire questi ventenni, al contrario di quello che succedeva a noi, dileggiati e incompresi dai nostri genitori, figli della guerra e della fame, e soprattutto di un tratto culturale povero delineato da bassi livelli di istruzione. Anche se poi i nostri "vecchi" seppero adeguarsi, vedendo che poi non facevamo nulla di male e canzoni come "Ma che colpa abbiamo noi" del mitico Shel Shapiro dei Rokes, e "Come potete giudicare" dei Nomadi del compianto Augusto Daolio, erano l'essenza dei nostri desideri di comprensione. Ed oggi vorrei dire a Damiano, Thomas, Ethan e Victoria, i nostri "Fab Four", che non avranno solo un pubblico giovane, come è giusto che sia, ma anche dei "nonni", che li seguiranno e sosterranno, e che li difenderanno, in ricordo di come non fummo difesi, ma oltraggiati nella nostra gioventù.

Damiano ha detto alla fine "rock will never die". Ed è vero, perché grazie a noi ed ora a voi, lo trasmetteremo, come una eredità preziosa, senza gravami di tasse occulte e incomprensibili. Il sessantotto per il colmo delle cose si prende la sua rivincita sessant'anni dopo. Era questo il mondo che volevamo preparare ai nostri figli, e vi assicuro che i figli dei sessantottini sono figli felici, compresi, stimolati, e amati con la passione e l'emozione di un fiore che nasce e si coltiva, e lo si abbevera nella sana conoscenza dei valori e del mitico rock.
Forever...