"Piano se ne va, senza galoppar, tanto non c'è fretta", tutti i fiorentini conoscono ed amano questo verso, appartenente ad una canzone che descrive quanto sia bello farsi portare per la città, sotto braccio alla propria "bella", in una carrozzella, con un cavallo ben ammaestrato ad andar al passo, e non di più. Questo, ora ci servirà a capire meglio la furia agonistica, la Hubris, totalmente sconosciuta ai nostri baldi giovanotti della Fiorentina. Partiamo da dove si conviene, dal portiere e poi, sù sù, fino alla punta, al "bomber", ricordando che, per rimanere nella metafora, il cavallo è guidato dal cocchiere, allenatore. Dunque: il portiere mette la palla in gioco, non con i piedi perchè ogni volta che lo fa questa va direttamente in fallo laterale, e allora con le mani verso il centrale di difesa con i piedi buoni, si fa per dire; questo la cede al giocatore che deve "dare i tempi" o, come dicono i bravi cronisti, il "metronomo" della squadra. Il nostro è di solito il buon Badelj (il metronomo batte il tempo così come è programmato) e lui è programmato su "adagio", tanto che di solito nessuno lo pressa, tanto non serve, a chi la passa? Davanti sono tutti fermi, perchè di solito le squadre avversarie ci aspettano belle, compatte, nella loro metà campo, ben sapendo che prima o poi lì la perdiamo; ma ammettiamo che si superi questa barriera, la palla va ora a chi deve dare la luce, il mitico "trequartista", e noi, per essere più sicuri, ne abbiamo due (sai che bagliore!) tanto luminoso che quasi sempre si riduce ad un "buco nero", cioè alla punta non arriva mai nulla, o quasi: infatti quante volte tiriamo in porta? In tutto questo turbinio di uomini (?) che si dannano l'anima, se ne salva solo uno, Federico Chiesa, che l'anima se la danna davvero. Bene, ma cosa ci vuole per far capire ,come, dall'allenatore in giù, che noi vogliamo vedere gente che esce dal campo stremata, anche perdente, ma stremata? Basta trotterellare. Correre, gente, correre.