Ferruccio Novo (Torino, 22 marzo 1897-Andora, 8 aprile 1974) dal 1939 fu il Presidente del Torino AC, ma non fu semplicemente il Presidente, fu colui che diede origine al Grande Torino, studiando tecnicamente la squadra, componendola in un paio d’anni, conservandola nel periodo della Guerra Civile nel Nord Italia, insomma selezionando i giocatori migliori e più adatti.

A 42 anni conduceva con il fratello Mario un'avviata industria di accessori in cuoio per l’agricoltura. Come tuti gli appartenenti la borghesia Torinese aveva condotto i suoi studi al collegio S. Giuseppe, dove aveva iniziato a prendere confidenza con il pallone. Nel 13 era entrato nel Torino come calciatore e poi negli anni era diventato da semplice socio sostenitore, consigliere e quindi presidente.
Trovò comprensione nel fratello e socio Mario che lo lasciò libero prendendosi sulle spalle la direzione della ditta.
Così Novo potè pensare solo al Torino e si diede subito da fare
per ristrutturare la società che da quando il Conte Marone Cinzano lasciò, per la delusione della ingiusta revoca dello scudetto del '27, viveva in un situazione precaria. Ferruccio Novo del Torino sapeva tutto e Pozzo gli aveva insegnato com’erano organizzati i club inglesi a quei tempi all’avanguardia.
Trattava tutti i giocatori come figli, 
con lui potevano parlare di qualsiasi problema.
Quando arrivò la guerra fu lui a procurare per loro e per le loro famiglie il cibo e per i giocatori un posto in fabbrica che non li facesse partire per il fronte. Così come conseguenza generò il collante per l’attaccamento alla maglia.
Per essere i più forti oltre che avere i migliori calciatori, occorreva anche avere un’idea geniale, una novità, che li differenziasse dagli altri. Il Grande Torino fu il primo in Italia ad adottare il Sistema importato dagli Inglesi nel campionato 1941-1942.
L’innovazione tattica fu escogitata dall’inglese Herbert Chapman, direttore tecnico dell’Arsenal. Borel fu colpito da quella novità e si confrontò con Ellena e Copernico.(suoi collaboratori e consiglieri, nonché amici), Novo fu convinto anche da una brutta sconfitta adottando il metodo con La Juventus.
La notte del 17 dicembre 1941, al termine di un lungo colloquio con Borel e Copernico Novo, avallò il Sistema. Con il Sistema le reti si ridussero molto per chi lo adottava. Il Sistema detto MW prevedeva una marcatura a uomo con tre difensori in linea (i terzini sulle ali ed il centromediano sul centravanti), un quadrilatero a centrocampo con due mediani e due mezzeali e in attacco due ali che rifornivano il centravanti con cross.
Questa decisione fu causa di dissidio con Pozzo che giocava con il Metodo, ma i risultati che dava il sistema erano troppo affidabili da tornare indietro e Novo, a parte alcuni tentativi, non adottò più il metodo. Attualmente l’allenatore che adotta una disposizione in campo simile è Juric del Torino attuale (Vedere mio articolo del 24/12/2021).
Fu Novo stesso a illustrare il Sistema ai giocatori e impostò la squadra di conseguenza grazie alla collaborazione tecnica di Borel, Ellena e Copernico con cui aveva maturato la decisione.
A quel punto il Torino era quasi completo, sfiorò lo scudetto e lo perse all’ultima giornata con il Venezia. Ma Novo non si rattristò tanto e la stessa sera acquistò in un colpo niente di meno che Loik e Mazzola proprio dal Venezia, soffiandoli alla Juve, con una notevole cifra di 1.200.000 £. e due contropartite tecniche.
A cominciare da Ossola nel 1940, Novo scelse i suoi giocatori a uno a uno nel momento in cui erano fiori appena sbocciati che nessuno o quasi aveva ancora notato, acquistandoli a un prezzo ancora per lui accessibile. Predisse e realizzò nel suo contesto il calcio degli anni ottanta, il professionismo, il valore di una amministrazione oculata, le relazioni internazionali (con amichevoli, perché le coppe non c’erano ancora), il valore di uno stadio proprio, come il Filadelfia. Novo ha aperto strade percorse poi dai grandi del calcio.

Ecco che adesso, anche grazie ai consigli di Vittorio Pozzo, la squadra quasi c’era. Di quelli prima della guerra erano rimasti Ossola, Grezar, Romeo Menti (su consiglio di Ellena) dalla Fiorentina, dall'Inter il campione del mondo Pietro Ferraris e dalla sponda juventina un giocatore: Guglielmo Gabetto, riguardo al quale la dirigenza bianconera si accorgerà presto di aver sbagliato i conti.
Durante la guerra qualcuno si disperse ed arrivarono Valerio Bacigalupo, Aldo Ballarin, Eusebio Castigliano, Mario Rigamonti e Virgilio Maroso. Romeo Menti rientrerà al Torino nel 1946-47. Le loro riserve che avrebbero composto il futuro del Torino, già pronti a giocare in prima squadra: Ballarin Dino, Buogiorni, Fadini, Grava, Martelli, Operto, Shubert.

Tutti caddero a Superga. Gli unici a salvarsi furono Sauro Tomà (riserva di Maroso) e il portiere di riserva Gandolfi che fortuitamente non parteciparono alla trasferta.
Oltre che ai tre collaboratori Borel, Ellena e Copernico, consiglieri ed osservatori più Pozzo che gli faceva da consulente per gli acquisti, Novo si fidava moltissimo dell’allenatore Egri Erbstein, Magiaro di origine ebrea, che durante la guerra dovette nascondersi e che dopo l’armistizio Novo subito richiamò al Torino anche per il suo sistema di gestione dei giocatori, mai troppo rigido. Era un tecnico fidato l’aiutante di Ebri Leslie Lievesley. Si fidava molto del suo Segretario Igino Giusti che con il Rag. Rinaldo Agnisetta, componeva di fatto tutto lo staff organizzativo della squadra, dagli stipendi, alla contabilità, agli acquisti, alla gestione del Conte Rosso. Erbstein, Lievesley e Agnisetta morirono  nello schianto, assieme al Consigliere Civalleri e al massaggiatore Cortina.
Novo riuscì nell’intento di allestire una squadra così forte, spendendo molte risorse in un mondo di nababbi che non era il suo, Lui non era così ricco, ma riuscì sempre, con la sua aria felpata da diplomatico a destreggiarsi avendo le informazioni sui giocatori giusti da acquistare
(da Pozzo prevalentemente) anche se ascoltava tutti e poi faceva di testa sua, riuscendo a battere sul tempo o finanziariamente qualunque avversario essendo deciso, intelligente e con un tempismo innato (l’esempio dell’acquisto di Loik e Mazzola fu emblematico, come quello di Gabetto, un campione sottovalutato dalla sua squadra).
Lui si comportava in modo leale e sincero con tutti i granata e l’ambiente che si creò nella squadra dopo la guerra era un ambiente sereno. Spesso riuniva tutti al pomeriggio perché i giocatori parlassero fra loro e con lui in modo da intervenire  per ogni eventuale problema o semplicemente per trascorrere dei bei pomeriggi assieme.
Per cercare di alzare i premi ai suoi giocatori, organizzava delle partite amichevoli, talvolta delle esibizioni, che rendevano qualcosa ai calciatori magari (si era subito dopo la guerra) dei prodotti alimentari (olio, vino, aceto, frutta etc.) che i calciatori gradivano particolarmente e con omaggi che contraccambiavano con altri prodotti di Torino. Il Torino arrivava sempre dove possibile con un torpedone mitico, con il Conte Rosso, dando l’impressione di “essere l’arca di un esercito invincibile” come lo definiva Ormezzano.
Tutte queste idee venivano al Presidente con delle meditazioni in cui accostava sentimenti e ragionamenti. Lui vedeva crearsi il Torino come prodotto della sua attività con estrema felicità e affetto per la sua creatura oltre che avendo la soddisfazione di realizzare se stesso.
Anche i Tifosi erano educati, non risulta che nessun arbitro sia mai stato contestato a Torino o in qualche modo ingiuriato, o di un arbitro che abbia favorito il Torino. Di fatto c’era, ma non si faceva mai notare, fischiando al momento giusto. Ed anche questo era opera di Novo, che alle volte vedeva la partita dalla curva per intercettare eventuali malumori del pubblico sull’arbitro e sulla squadra.

Ferruccio Novo morì non fisicamente, ma moralmente, la sera del 4 maggio 1949, morì con la sua creatura nello schianto. Rimase ancora nel calcio, ma era preda di ricorsi e di rimpianti, quella trasferta, con il Toro mezzo rotto la doveva bloccare, non doveva essere disputata.
E così mori il capolavoro di Novo, si salvarono in pochi, quelli che non poterono partire e perirono con loro Renato Casalbore, fondatore di Tuttosport, Renato Tosatti della Gazzetta del Popolo, Luigi Cavallero della Nuova Stampa, si salvò Nicolò Carosio per un caso. E così morirono coloro che sapevano dare una carezza a chi stava ricostruendo l’Italia.

La città ricorda in molti modi il Grande Torino e il suo Presidente. Con lo stadio Filadelfia, con tanti Reperti, con il Museo Privato del Grande Torino e della Leggenda Granata, con lo Stadio Olimpico Grande Torino, con la Mole illuminata di granata ogni 4 maggio, con un ampio giardino dedicato a Ferruccio Novo in Corso Cosenza, con la Stele a Superga.
E’ in programma un Monumento al Grande Torino e forse la città di Torino si sta aprendo maggiormente al Torino FC.
Credo si possa dire con certezza che se non ci fosse stato Ferruccio Novo, con tutte le sue idee geniali e innovative, non sarebbe esistito il Grande Torino.

“Maroso”
FVCG