La storia del calcio italiano trabocca di corsi e ricorsi che alimentano una mitologia tramandata di generazione in generazione. Così, per esempio, perdura nella memoria milanista il ricordo della "fatal Verona" che costò tre scudetti ai rossoneri. Ma il mito è condivisione, e quindi non serve essere milanisti per appellarsi al fato dopo un rovescio subito nella città scaligera, specie sponda Hellas. Ieri sera c'era più di qualche presupposto perché Verona risultasse fatale anche alla Roma. Di ritorno da Istanbul, con una formazione identica per dieci undicesimi a quella di giovedì e su un campo appesantito dalla pioggia, la squadra di Fonseca era chiamata a fare risultato per non perdere il treno Champions. Considerato l'avversario, un’impresa non semplice. Il Verona di Juric è la rivelazione del campionato non per caso: è una squadra tosta, capace di difendersi in modo ordinato e attaccare in velocità muovendosi tra le linee, con due trequartisti supportati dal lavoro di collegamento di Amrabat, che ieri sera ha letteralmente arato il campo.

Un match dall'alto coefficiente di difficoltà, che la Roma ha vinto da grande squadra: soffrendo, forse anche demeritando nel primo tempo, quando le folate offensive gialloblù hanno fatto ammattire soprattutto la catena di destra giallorossa, dove Santon si è ritrovato isolato dalla scarsa applicazione dell'irritante (di nuovo) Under. L'1-2 su cui si è conclusa la prima frazione, in effetti, poteva apparire piuttosto bugiardo. Al gol di Kluivert, propiziato dall'ennesimo lampo di classe di Pellegrini, il Verona ha reagito furiosamente, pareggiando subito con Faraoni, colpevolmente trascurato dalla lenta marcatura giallorossa. Da quel momento il Verona ha preso ulteriormente coraggio e segnato un gol che solo un interminabile consulto al Var ha dimostrato essere irregolare per un fuorigioco millimetrico. Insomma, la Roma se l'è vista brutta. Per fortuna ci ha pensato Gunter a commettere un'ingenuità sul solito, monumentale Dzeko, regalando a Perotti, subentrato al prode Kluivert, il rigore del nuovo vantaggio giallorosso. 

Nel secondo tempo, complice il ritmo più compassato degli avversari, la Roma ha gestito meglio il gioco, pur continuando a ballare un po' troppo dalle parti di Mancini e Smalling, ieri in leggero affanno. Trascinati da Pellegrini e Dzeko, i giallorossi hanno stretto i denti e tentato di sfruttare gli spazi concessi da un Verona sempre più offensivo con il passare dei minuti. Alla sola vista di Pazzini, lo ammetto candidamente, ho rivisto fantasmi dal passato e un brivido gelido mi ha percorso la schiena. L’ultima mezz’ora è stata di pura sofferenza, anche se gli attacchi scaligeri perdevano via via d’intensità per sopravvenuti limiti fisici degli uomini di Juric (Amrabat a parte). Il vero romanista la sofferenza ce l’ha nel DNA. Quel tipo di sofferenza che porta a immaginare rimonte improbabili a cinque minuti dalla fine, figurarsi quando la partita è in bilico. Ma anche quel tipo di sofferenza che diventa euforia allo stato puro quando la Roma, come ieri, chiude i giochi prima del triplice fischio dell'arbitro. Specialmente se lo fa con una ripartenza come quella che ha spalancato la porta al rientrante Mkhitaryan, sciogliendosi poi in un abbraccio collettivo che la dice lunga su quanto questa squadra, a differenza dell'anno scorso, remi tutta dalla stessa parte.

La Roma esce così vittoriosa da un campo dove nessuno, finora, aveva segnato tre gol. Qualcuno ha provato a liquidarlo come un risultato quasi dovuto. Non lo era, anzi. Era la classica partita che la Roma ci aveva abituato a steccare. Se questa volta è andata diversamente, il merito va attribuito in gran parte all'allenatore. Fonseca ha dimostrato ancora una volta di avere ben saldo il timone della squadra. Ha scelto di mandare in campo i migliori, indipendentemente da quanti minuti avessero nelle gambe. Si è preso un rischio, ma alla fine l'ha spuntata lui. Anche con i cambi, visto che Perotti e Mkhitaryan hanno firmato gol, assist e giocate importanti. Il tecnico portoghese è il principale artefice di una stagione che, viste le premesse, finora sta andando al di là delle aspettative. Si  sperava in una Roma alla ricerca di un quarto posto da strappare a fine corsa, con le unghie e con i denti. A cinque giornate dal giro di boa del campionato, la Roma è lì e dà l’impressione di poter lottare anche per qualcosa in più. Magari, già da venerdì.