La prima guerra mondiale ha lasciato tante ferite aperte in giro per l’Europa e ripartire non è affatto semplice. C’è bisogno di  cambiamento, di una rivoluzione ideologica e politica e in Italia arriva, infatti sale al potere, con la marcia di Roma, Benito Mussolini col suo Partito Nazionale Fascista, nel 1922 e nello stesso anno venne fondata l’URSS.
Anche nel mondo del pallone parte questa rivoluzione, infatti venne instituito un torneo, dalla UEFA, che comprende le migliori nazionali di calcio del vecchio continente e riuscirà a metter su questa competizione, seppur con qualche difficoltà,soprattutto logistica e di organizzazione: il primo torneo internazionale si conclude in tre anni (1927-1930) e vede l’Italia trionfare, con le ultime partite allenate da quello che sarebbe divenuto due volte campione del mondo sulla panchina dell’Italia, il geniale Vittorio Pozzo. Quando la penultima edizione stava per concludersi al signor Henry Delauney, segretario della UEFA ed ex arbitro che ha messo di arbitrare per via di una pallonata ricevuta che, oltre a rompergli due denti, gli ha fatto ingoiare il fischietto e rischiava di morire soffocato, gli venne l’idea di concludere il capitolo Coppa Internazionale e di partire con un torneo che deve avere maggior importanza, maggior visibilità e soprattutto maggiore organizzazione (anche se quest’ultima non fu esaltata in particolar modo) e fu così che nel 1960, a cinque anni dalla scomparsa di Delauney, si partì col campionato europeo, definito anche Coppa Delauney in onore del fondatore.
Chi ospita questo campionato europeo? Alla Francia, patria di Delauney e sempre tra le prime quando bisogna organizzare una kermesse continentale e non; viene dato l’onore di ospitare la fase finale del torneo, che però conta solo quattro partite, ovvero le semifinali, la finale per il terzo posto e la finale che decreta la nazione vincitrice del torneo. A dirla tutta, questo campionato europeo è molto lontano da quello dei giorni nostri, tutte le squadre iscritte (sono 17, alcune supplicate di accettare l’invito per raggiungere un numero di squadre decente) si affrontano in gare che prevedono andata e ritorno e quindi solo la fase finale si svolge a Parigi e a Marsiglia, il resto delle partite in giro per l’Europa.

In questo europeo non ci sono le compagini britanniche, che questo sport lo hanno inventato e diffuso nel mondo, non c’è la Germania Ovest,allenata dal grande Josep Herberger, campione del mondo con la Germania del 1954, la Germania del miracolo di Berna, e  che dispone del talento pazzesco di Uwe Seeler e non solo, nemmeno l’Italia è presente a questa competizione. Queste ultime due sono le uniche nazionali europee campioni del mondo ma a questo europeo non vogliono presentarsi,il nostro motivo,o almeno quello dichiarato, era perché venivamo dal mancata qualificazione del mondiale del 1958 e perché, secondo la federazione, la nazionale era troppo debole, quindi per non sfigurare preferiamo non iscriverci. Peccato.

La prima partita di qualificazione della storia degli Europei si gioca a Dublino, al Dalymount Park, attuale stadio del Bohemian FC e a sorpresa gl’irlandesi battono a sorpresa la Cecoslovacchia per 2 reti a 0 con le reti di Tuchy e Cantwell, terzino che all’epoca passò dal West Ham al Manchester United e nel mezzo ha giocato anche per la nazionale di cricket irlandese. Al ritorno però non c’è storia e la Cecoslovacchia stravince con gli irlandesi vincendo per 4-0.  Nel tabellone degli ottavi di finale la Francia,favorita per la vittoria finale, becca la Grecia e trascinata da Just Fontaine e Raymond Kopa, eletto miglior giocatore nel mondo del 1958, scherza con gli ellenici vincendo 7-1 a Parigi e pareggiano poi all’OAKA Spiros Louis, superando così il turno. Un’altra favorita di questo torneo è l’URSS: allenata da quel genio del male di Gavriil Kacalin, la formazione sovietica sembra essere veramente una forza della natura, hanno fatto una “preparazione” atletica simile a quella dei militari, vogliono mettersi anche loro nella mappa del calcio, giocano per vincere. In porta giocherà per tutto il torneo il portiere più forte della storia del calcio dell’est e forse anche il miglior portiere di sempre, Lev Yashin.
Nasce a Mosca nel 1929, figlio di operai nelle fabbriche dell’industria metallurgica, a 14 lavorerà proprio in queste fabbriche per rimpiazzare gli altri operai con età avanzata scesi in guerra. Aveva già una rapida e una prontezza nel lavoro che sembrava già esperto del settore, si dice che per scherzo gli lanciavano bulloni ed altri utensili(bello scherzo) ma lui con riflessi pazzeschi li intercettava.
Era veramente un portiere moderno, innovativo, è stato tra i primi a far salire la linea difensiva in fase d’impostazione e lui si aggiungeva da libero facendo partire le azioni dai suoi piedi e la squadra avanzava di almeno 10-15 metri e aveva uno stile nel parare decisamente elegante, si muoveva con tutto il corpo, magari non era a tuffarsi ma solamente perché la sua abilità nel posizionarsi in modo perfetto glielo impedisce.
E pensare che Yashin poteva non essere un calciatore: infatti agli esordi con la Dinamo Mosca, squadra del governo, non stupisce e viene dirottato nell’hockey su ghiaccio, dove sostituisce Aleksej Chomic, detto el tigre, leggenda dell’hockey. Dopo aver vinto la coppa sovietica con la Dinamo Mosca versione hockey sul ghiaccio nel 1953, l’anno seguente sarà il titolare della Dinamo Mosca versione calcio e lo sarà per altri diciassette anni. Nella partita d’addio di Stanley Matthews nel 1963 strabiliò il mondo con le sue parate e nello stesso anno conquistò il pallone d’oro, tutt’ora unico portiere nella storia a riceverlo.
L’URSS elimina l’Ungheria, che non è più la squadra d’oro,come veniva definita dopo la storica vittoria al Wembley per 6-3 contro gl’inglesi e  nel periodo antecedente al mondiale del ’54, ma era andata piano piano a dissolversi e poi l’Unione Sovietica aveva troppa forza, erano straripanti. Tre reti ad uno all’andata e poi la vittoria in terra magiara per l’URSS per uno a zero gli concedono il passaggio del turno. Le squadre più forti sono essenzialmente quattro (la Francia, l’URSS, la Jugoslavia e la Cecoslovacchia), tra queste c’era anche la nazionale spagnola, che non aveva più Zarra come centroavanti ma la nazionale era di buon livello, basta pensare che c’era un certo Di Stefano negli iberici. Si sbarazzano della Polonia facilmente, 7-2 complessivo fra andata e ritorno e ai quarti beccano la Cecoslovacchia. Ecco, la Spagna guidata dal generalissimo Franco non ha nulla che possa condividere con la Cecoslovacchia, l’odio in seguito alla guerra fredda è intenso e la tensione fra le due nazioni si taglia con un anche solo con un sospiro. La federcalcio spagnola ci pensa e decide che si deve giocare,sono alla pari o forse hanno anche qualcosa in più, non si tirano indietro ma siccome la parola del generale, la parola di quel generale conta di più, la Spagna “boicotta” l’europeo e si ritira. Un vero peccato considerando due stili di gioco del tutto diversi e avrebbe potuto dar vita ad una straordinaria partita, che però non avrà mai luogo.

In semifinale la Francia gioca contro la Jugoslavia e la Cecoslovacchia contro l’URSS.
I francofoni erano forti anche del pubblico dalla loro parte, si presume che c’erano 26000 spettatori al Parco dei Principi ma per via degli infortuni hanno dovuto fare a meno dei due giocatori più forti: Just Fontaine e Raymond Kopa,messi ko nei match con l’Austria.
Ma sembrano non risentirne. Al minuto 62 Heutte sigla il 4-2, la Francia senza i suoi fenomeni sta riuscendo nell’impresa di andare in finale, il pubblico è in delirio e il passaggio del turno è dietro l’angolo. Mancano quindici minuti al fischio finale e il portiere francese Lamia si lascia sfuggire il pallone e tale  Knez mette la palla in rete,4-3. Tutto cambia da questo momento, la Francia,sebbene in vantaggio ha paura mentre gli ospiti sanno che se insistono posso addirittura rimontare. E così sarà. Al ’78 altra papera di Lamia e Jerkovic insacca. Quattro pari. Un minuto più tardi, direttamente da calcio d’angolo, lo stesso Jerkovic la mette inverosimilmente in porta, 4-5 per la Jugoslavia. Al Parco dei Principi cala il silenzio di un pubblico composto perlopiù da francesi, si capisce che un maracanaço francese è stato messo in atto. La Jugoslavia va in finale meritatamente, la Francia priva dei suoi fenomeni si giocherà il terzo posto, in una delle partite più amare della storia del calcio transalpino.

L’altra semifinale vede l’URSS contro la Cecoslovacchia: il fischio d’inizio dell’italiano Jonni avverà proprio quando sorgono le paure francesi, ovvero nel momento in cui Knez apre la rimonta jugoslava. Al Velodrome di Marsiglia l’URSS batte per tre a zero i cecoslovacchi senza alcuna fatica, anzi qualche grattacapo c’è stato ma quando hai il “ragno nero” Yashin tra i pali, la paura non esiste. Segna Ivanov prima al ’36,dopo una grande galoppata  e poi al ’56, dopo aver dribblato praticamente tutta la difesa avversaria  e chiude i conti Ponedelnik dieci minuti più tardi (quest’ultimo fu anche consigliere del governo russo).
Per la compagine di casa la delusione è tanta, nei giorni che precedono alla finale del terzo posto gli allenamenti sono quasi inutili e peraltro fatti contro voglia, la forza mentale è talmente nulla da aver cancellato anche quella fisica.
Al Velodrome, sede della finale valevole per il terzo posto, lo stadio è semi vuoto, appena nove mila spettatori per uno stadio che può contenerne 40000, la formazione francese sembra composta dai fantasmi e nel secondo tempo cede e subisce due gol dalla Cecoslovacchia, a segno Bubnik, che nello stesso anno vincerà la medaglia d’oro nelle olimpiadi invernali nell’hockey su ghiaccio, e Pavlovic.

La prima finale della storia del campionato europeo si svolge il 10 luglio 1960 a Parigi, al Parco dei Principi, ore 21 e 30, con tanto pubblico francofono assente e saranno in 19000 ad assistere alla prima finale dell’Europeo, vissuto particolarmente male dalla tifoseria transalpina in quanto, almeno in questa fase finale, non hanno mai visto trionfare i propri beniamini.
Le due squadre sono pronte a scendere in campo e Lev Yashin, da leader carismatico ed emotivo della squadra, carica i suoi, sanno di poter battere la Jugoslavia. La Jugoslavia ha tanto da dimostrare e soprattutto deve vendicarsi della sconfitta nella finale delle olimpiadi del 1956 a Melbourne,stavolta i campioni vogliono essere loro.
Sulla panchina jugoslava non c’era più Ciric ma presenziava un tris di allenatori: siedevano Aleksander Tirnanic, buon calciatore ritiratosi nel 1940 e dallo stile di vita decisamente particolare, ci fermiamo a dire che beveva tanto, Ljubomir Lovric, ex calciatore anche lui tramutato in giornalista e Dragomir Nikolic. Lo schieramento in campo era pressoché lo stesso utilizzato anche dal Brasile di quegli anni, con cinque numeri 10 in attacco, anche se la Jugoslavia non disponeva del talento dei calciatori carioca.
In porta c’era Vidinic, il primo allenatore di una squadra africana presente al mondiale (ct del Marocco nel 1970) e ct anche dello Zaire al mondiale del 1974, difesa con Durkovic, che nel 1972 verrà erroneamente scambiato per un criminale e fu colpito da un proiettile che lo porterà via per sempre,Jusufi e Miladinovic. In mezzo al campo, nel ruolo di mediano, Zanetic e Perusic. Da destra verso sinistra gioca Matus, il quale una volta terminata la carriera da calciatore svolgerà il lavoro di dentista ed è stato tra i primi a ad avere un istruzione tale da poter svolgere un buon lavoro dopo una carriera da calciatore, il numero 10 Sekularac, talento di origine macedone, il suo nome è accostato alla Stella Rossa di Belgrado, dove vincerà ben 5 campionati e sarà eletto una Stella nella Hall of Fame del club serbo, la punta era Jerkovic, i francesi lo ricordano e  lo odiano ancora, come seconda punta a sinistra c’era Milan Galic, stella del Partizan che trascinerà in finale di Champions, persa contro il Real Madrid, anni dopo e secondo, per una sola rete di differenza, nella classifica marcatori all-time della nazionale jugoslava, mentre  l’ala sinistra era il capitano Kostic. Giocatore dotato di un’ottima tecnica e dal tiro potentissimo, infatti era soprannominato Jabucilo, traducibile in italiano con l’appellativo che i contadini danno ai buoi da tiro. Vince 7 campionati jugoslavi e giocherà col Vicenza per una stagione per poi tornare allo Stella Rossa, dove diventerà una leggenda.

Dall’altra parte però c’è l’Unione Sovietica, che gioca con lo stesso modulo e presenta tanti talenti in mezzo al campo, il primo c’è l’ha in porta e non ha bisogno di presentazioni;in difesa gioca Chokheli, difensore di origine gerogiana e ha dedicato tutta la sua vita alla sua amata Dinamo Tbilisi, Krutikov, che passerà alla storia come peggior allenatore dello Spartak Mosca, infatti l’unica volta che la squadra della capitale è retrocessa,egli siedeva in panchina e Maslenkin; i frangiflutti erano Vojnov, ben ricordato sia in Russia sia in Ucraina, e il capitano Netto, definito tra i migliori calciatori della storia dell’URSS, sinistro delicatissimo,abile sia da regista sia in fase difensiva ma anche in fase d’attacco, tutti i palloni passano per i suoi straordinari piedi. Nel mondiale post-europeo, fece annullare un gol alla sua squadra perché la palla passò da un buco posto all’esterno delle rete, straordinario giocatore e grande gentleman, uomo dal polso rigido e dal carisma unico, peccato sia poco ricordato dal mondo calcistico; in avanti, come ala destra, c’era Ivanov, terzo miglior marcatore della storia dell’URSS e giocatore formidabile, poi Metreveli, la punta era Ponedelnik, la seconda punta a sinistra era Bubukin, che come allenatore vincerà un campionato nel torneo vietnamita, e l’ala era Meshki, tra i più forti calciatori della storia del calcio georgiano, in patria venne definito il “Garrincha georgiano”, soprattutto per il ruolo che interpretava e anche per un discreto talento che possedeva.

La partita sta per iniziare, si gioca il 10 luglio al Parco dei Principi, a dirigere la gara è uno dei arbitri più importanti, ovvero Arthur Ellis, tra i migliori arbitri inglesi di sempre, ha fatto parte della terna arbitrale della finale della coppa del mondo del 1950, quella del Maracanaço ed anche la battaglia di Berna,dove Ungheria e Brasile diedero vita ad una della partite più fallose e violente della storia. Inizia la partita, l’agonismo è tanto e le squadre non si tirano indietro, diverse occasioni per entrambe ma nel finale del primo tempo la Jugoslavia passa in vantaggio: cross sulla destra e Milan Galic anticipa il suo marcatore e sorprende anche Yashin,per l’occasione con una coppola sulla testa per via di una pioggia che a tratti scendeva, uno a zero Jugoslavia. Nella ripresa si attende una veemente reazione dell’Unione Sovietica che arriva al ’49 dove un tiro dal limite di Bubukin  viene respinto dal portiere Vidinic ma scivola per rialzarsi ma per riprendere la sfera e Metreveli insacca, uno a uno. Si va ai supplementari,le squadre sono stanche, ma l’URSS,avendo ricevuto una preparazione atletica veramente dura e quindi avendo acquisito maggior resistenza, alla lunga tengono di più il campo rispetto ad una Jugoslavia stanca e al minuto ‘113 sul cross di Meskhi, che disorienta il suo marcatore con una finta a rientrare, colpisce prendendo il  portiere avversario contro tempo Ponedelnik, l’Unione Sovietica passa in vantaggio e così terminerà la sfida, l’Unione Sovietica è la prima squadra a vincere gli Europei e passerà alla storia come la squadra d’oro della storia dell’URSS.


La storia non finisce qui, però: in Russia c’è un attaccante veramente bravo, molto dotato tecnicamente ed anche forte fisicamente, a tal punto da essere definito il Pelè bianco, anche se dallo stile di vita era meglio definirlo il George Best russo, costui era Eduard Streltsov: se assiste ad una partita del massimo campionato russo o comunque inerente al mondo del calcio dell’Unione Sovietica, sentirete che quando un calciatore compie un passaggio col tacco viene definito “colpo alla Streltsov”.
Egli fu il trascinatore dell’URSS alle Olimpiadi del 1956, all’epoca ventunenne, dove l’URSS vinse proprio contro la Jugoslavia, ed era il calciatore migliore in circolazione,tutti lo volevano, anche diverse squadre fuori dal territorio sovietico ma lui voleva restare al Torpedo Mosca, club dove è cresciuto e si è consacrato.
Rifiuta dapprima il CSKA Mosca, squadra gestita dalle Armate Rosse e poi la Dinamo Mosca, squadra gestita dal governo e quest’ultimi non apprezzano una risposta negativa così rapiscono Streltsov, anche se altre fonti dicono che, in seguito a delle frasi poco consone per una festa al Cremlino, probabilmente uscite dalla bocca anche per un tasso d’alcool digerito fuori dalla norma, fu accusato di violenza su una donna, questa fu un accusa infondata ma il governo montò su un processo farsa con il solo scopo di condannarlo. Verrà spedito in un gulag in Siberia per sette anni a lavorare come minatore, dopodiché ritorno nel suo Torpedo dove vince anche un campionato ma perderà per sempre il sorriso. Nei giorni trascorsi nei gulag si ammalerà ma è un dolore che a lungo andare degenererà in un cancro alla gola,che lo porterà via con sé nel 1990. Solamente sul letto di morte riparlerà del suo travaglio in Siberia e dichiarerà solamente alla moglie della sua totale innocenza in quella storia.

Difficile pensare che non potremo mai più rivedere, anzi che non abbiamo mai potuto assistere nel pieno della sua età l’attaccante russo, magari in qualche squadra dell’Europa Occidentale o con la maglia dell’URSS, di certo un governo e una politica decisamente rigida come quella sovietica hanno cancellato il talento di quello che poteva essere uno dei più grandi giocatori dell’epoca e anche del movimento calcistico russo di sempre.

Qualche anno fa uscì un libro dedicato a questo personaggio intitolato “Donne, vodka e gulag. Eduard  Streltsov, il campione”.

Fortunato Coppola