E' l'ottimismo dei numeri, non dei sentimenti, necessario a ristabilire gli opportuni metri di giudizio tra chi, in queste ore, ha perso completamente il senso della realtà. Non mi riferisco ai soli tifosi, ma soprattutto ai numerosi giornalisti e alla loro voglia di mettere in parallelo un passato da seporre ed un presente da comprendere.

DATI DI FATTO - Quando si porta il 50% delle nostre squadre alla fase successiva (il 75% lo scorso anno) in un sistema impari, non è ammissibile parlare di fallimento o sinonimi. E' utile ricordare agli Arthur Schopenhauer del pallone che la Champions League impone il confronto tra squadre provenienti da campionati - si legga sistemi economici - radicalmente diversi. Non tenerne di conto equivale a rifiutarsi di vedere il cambiamento, quello che da dieci anni a questa parte ha segnato la forbice di risultati e di fatturati in europa.
Non a caso.

LE COSE COME STANNO - Ostinarsi a paragonare le squadre di Serie A a quelle della Liga e della Premier League, piazzate due scalini sopra sotto ogni aspetto - strutture, stadi di proprietà, volumi d'affari, squadre B effettive e funzionanti, politiche attive per la valorizzazione dei nuovi talenti - sarà come far gareggiare su pista un'autovettura civile contro una macchina da corsa.
Sul profilo "crescita", in particolare, alle italiane non manca il coraggio, mancano piuttosto i giovani calciatori pronti a livello mentale e fisico: solo la Juventus ha aderito al progetto-farsa delle seconde squadre, ormai alla deriva e non supportato adeguatamente. Dal CONI-FIGC intanto tutto tace, da tre anni, mentre la U23 continua a vagare solitaria tra i campi di Serie C, portando però a far esordire con coscienza i vari Frabotta, Soulé e DeWinter.
Gocce nel mare.

FALSI MITI - La proverbiale "forza delle idee" abbinata al gioco e ai risultati è destinata a scomparire, sempre più una rarità e l'abbiamo osservata solo all'interno del sistema economico di appartenenza (Leicester 2016) o comunque nel breve periodo ed entro le fasi centrali di un torneo, dove non tutte le rose sono entrate nel loro miglior momento di forma e condizione. Ce lo ricorda l'Ajax, non necessariamente quella di quest'anno: si pensi a quella che eliminò la Juventus per poi fermarsi contro il Tottenham, arresosi a sua volta al Liverpool: il trionfo della più potente ai piedi della più potente, dove la potenza la si può inquadrare in un'ottima progettualità pluriennale resa possibile da uno straordinario budget. Non si accettano miracoli, cvd.

CONCRETEZZE - Vincere una competizione europea, di fatto, non può prescindere da uno stanziamento economico ed un livello strutturale societario di prim'ordine. Non c'è spazio per l'improvvisazione o per l'imprevedibile, non nel calcio attuale. Un parere più che autorevole, oserei dire probatorio, è rappresentato dall'albo d'oro della UEFA Champions League degli ultimi dieci anni, più o meno da quando questo universo ha cominciato a crescere verticalmente in introiti. Squadre della Liga e della Premier League a spartirsi il bottino con l'eccezione del Bayern Monaco, superpotenza tedesca, sempre al di là della portata del nostro calcio. Basterebbe buttare un occhio agli investimenti fatti dalle società nell'ultimo decennio, o ancora la classifica di Forbes sui club di maggior valore: ancora Spagna ed Inghilterra con il Bayern a far capolino in mezzo.

L'UTOPIA - Motivare l'uscita di un'italiana o la mancata vittoria nella fase finale di un torneo del genere, tirando in ballo solo la tattica, i giovani o la velocità di gioco, fa sorridere. Era una questione accettabile dieci, o forse venti anni fa, quando il calcio non era ancora un business affermato. Per riformare questo sport e livellare le differenze a vantaggio dei tifosi - no di certo delle società, soggetti privati e quotati in borsa - ma soprattutto per arrestare questa degenerazione apparentemente senza fine, si potrebbe immaginare un mondo utopico. Una realtà parallela in cui introdurre un tetto salariale agli stipendi (260 milioni ipotizzando una rosa di 26 giocatori, 10 milioni in media a calciatore, non oltre) ed un tetto di spesa annuale su scala globale, ampliabile solo in base all'utile delle cessioni (100 milioni da immettere nel mercato + i soli ricavi delle cessioni). Mosse contrarie alla logica del capitalismo e che da sole non sarebbero sufficienti: l'immobilismo del nostro governo del calcio ascolti e prenda nota.

Il bicchiere del calcio italiano in Europa, alla luce di tutti questi aspetti, allo stato attuale è da considerarsi assolutamente mezzo pieno.
E' il tracollo del Barcellona ai gironi a dover fare rumore, per meditare sul valore della sostenibilità di una superpotenza: può durare fino a vent'anni un ciclo di indebitamenti stellare?