Ebbene sì, il calcio è anche questo, capace in mezzo ad un rettangolo verde di regalare emozioni e scene che metaforicamente parlando potrebbero rispecchiare la vita di tutti i giorni. Pensate a due uomini ad esempio: da un lato il padre di famiglia realizzato, carriera sfavillante, moglie e figli che lo adorano e la sensazione che tutto vuole e tutto può. Dall'altro lato un onesto operaio maltrattato dal suo datore di lavoro che si fa in quattro per cercare di portare avanti la famiglia. Fondamentalmente però noi uomini siamo tutti uguali, chi è più intelligente, chi meno; chi più bello, chi lo è meno, ma ciò che ci marchia e ci contraddistingue di più gli uni dagli altri è il nostro carattere, la nostra personalità, il nostro essere. L'essere appunto che è qualcosa di ben diverso dall'apparire.

Ed è a questo punto che torniamo al campo di calcio per mettere in pratica le righe venute fuori in questa piccola introduzione.
Pensate a Zlatan Ibrahimovic, l'uomo che ha tutto nella vita, che si è realizzato, al quale gli affari vanno alla grande. Con dei tratti di una personalità estroversa, troppo spigliata, quasi ai limiti dell'irriverenza. A volte, ascoltando le sue dichiarazioni, viene da chiedermi se realmente sia così o se nella vita abbia imparato a costruire una corazza per sembrare o voler apparire più forte.
Poi c'è Christian Eriksen "l'operaio", quello impacciato, timido e silenzioso che forse proprio per questo "limite" caratteriale nella vita non è riuscito ad affermarsi, non è riuscito a farsi rispettare. Eppure talento ne ha da vendere. Per fortuna lavorando a testa bassa e soprattutto con perseveranza, la vita può riservare per tutti anche solo un momento di gloria. Per fortuna esiste una legge non scritta, per cui non per forza a vincere debba essere sempre quello apparentemente più forte.

Il derby di Coppa Italia ha dimostrato che Davide può sempre battere Golia.
Ibra ha provato a vestire i panni del gigante, cercando una provocazione continua nei confronti di Lukaku. Sapendo di essere mentalmente il più forte dei 22 in campo.
Ma Zlatan non ha fatto i conti con il Karma. Questo suo continuo provocare, per cercare magari una reazione scomposta da parte degli avversari, è finito per ritorcersi contro. Alla fine è stato lui a lasciare il campo in anticipo, a passare da carnefice a vittima, con un cartellino rosso che è stato figlio del suo egocentrismo. E nei minuti finali della partita che si avviava mestamente verso i supplementari, con l'Inter in vantaggio di un uomo, il destino ha voluto dare una lezione a Zlatan.
Minuto 88', il timido e silenzioso Eriksen sveste la pettorina e si prepara ad entrare in campo per gli ultimi scampoli prima dei tempi supplementari. Ancora una volta Conte gli concede solo gli ipotetici minuti finali. E la contesa viene risolta proprio dal danese, che da una sua mattonella preferita fa partire una parabola dolcissima che si infila alle spalle di un immobile Tatarusanu.
È questa la fotografia più bella della serata, che cancella siparietti e animi bollenti ridando finalmente voce al pallone.

E per uno strano scherzo del destino è come se avesse vinto un uomo che rappresenta la modestia e la semplicità, contro uno che vuole sempre apparire arrogante e presuntuoso.
L'essere ha battuto l'apparire.