Nei giorni scorsi Charles Michel, Presidente del Consiglio Europeo e Ursula Von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, sono stati ricevuti dal Presidente Turco Recep Tayyip Erdogan.  La visita si è svolta ad Ankara, e con sommo stupore, mentre Erdogan e Michel prendevano posto su due poltrone contigue, la signora Von Der Leyen veniva lasciata in piedi, con imbarazzo dei presenti. Ursula, non si è scomodata più di tanto e, con semplicità, si è accomodata su di un divano laterale. L'incidente diplomatico si è ormai consumato, anche se tra tutti, proprio Erdogan pare sia stato l'unico a suo agio nella situazione, sicuramente voluta e indice di un certo strappo tra il capo della Turchia e le istituzioni europee. 

Cosa avrà voluto dire Erdogan con questo gesto di maleducazione e irriverenza verso una donna che rappresenta un organo democraticamente eletto? La risposta può essere in molte considerazioni, soprattutto in quelle che hanno portato da una parte al rifiuto ed alla uscita dalla Convenzone di Istambul, che sancivano la lotta contro la violenza e la violenza domestica che le donne subiscono nel mondo. L'accordo fu firmato l'11 maggio 2011 ed ebbe tra i primi firmatari il governo Turco. Ultimamente, a marzo di quest'anno, Erdogan ha rinnegato questi accordi, lanciando un messaggio pieno di minacce verso la politica Europea e la linea interna della sua politica nazionale. L'atto compiuto è intenzionalmente una minaccia ai diritti delle donne, in stile islamico, avendo ormai consumato lo strappo con Ataturk, il padre della moderna Turchia, che aveva sancito la non intromissione della religione nella vita politica dello stato turco. Sappiamo come l'islam considera le donne. Sono considerate meno di un animale domestico, passibili di punizioni corporee, e con nessuna partecipazione alla vita politica e sociale nello stato. 

La sensazione è che Erdogan abbia sempre più problemi a sostenere le sue politiche tiranniche su di un popolo che ha sempre vissuto in una modernità che lo ha elevato a forza della NATO e interlocutore privilegiato dell'Europa e dei principali paesi occidentali. Ricordiamo la collaborazione data nella guerra del Golfo, nelle crisi con Israele, la guerra siriana, e la lotta all'Isis. Ma si deve anche ricordare la questione Curda, una popolazione che racchiude la propria nazione tra gli stati della Turchia, dell'Iraq, dell'Armenia e della Siria. E' una popolazione di 30 milioni di persone, senza uno stato autonomo, che vagano tra zone spesso teatri di guerre, osteggiati e a volte usati per fronteggiare nemici comuni, ma una volta risolta la questione si cerca di emarginarli se non distruggerli, rendendo vana la loro richiesta di autodeterminazione.  E tra le nazioni più pervicaci nell'odio c'è la Turchia. E la comunità Curda ha spesso rivolto attentati contro obbiettivi militari e a volte anche civili in Turchia. L'odio è sempre vivo, e così la questione non si risolverà mai, anche per l'assordante silenzio della comunità internazionale. Quella stessa comunità che nel secolo scorso non si curò del genocidio degli Armeni, altra polazione senza stato, sempre ad opera dei Turchi, nei primi anni del '900. In quel caso l'unico che ebbe a dire qualcosa fu il papa di allora, il genovese Benedetto XV, ma presto ridotto al silenzio dai politici ed anche dal suo stesso clero. 

Le proteste in Turchia del 2013 avvenute mediante sit -in nel parco di Gezi, da parte di una cinquantina di attivisti dei diritti umani di diverso genere, dal LGBT alle femministe, Kemaliani, libertariani, comunisti, socialisti, anarchici, nazionalisti e persino gli islamisti anticapitalisti. Persino associazioni calcistiche si unirono alla protesta. Si aggregarono anche associazioni politiche, sindacali e metà dei manifestanti erano donne, con una grande quantità di laureati e studenti universitari. La polizia turca caricò a più riprese i manifestanti causando la morte di 11 persone ed il ferimento di oltre 8000. Quali furono gli antefatti? La svolta autoritaria impressa da Erdogan, che a partire dal 2011, tramite il suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo, aveva imposto restrizioni di ogni tipo, come limitazioni alla libertà di stampa, di parola, di uso di internet, reintroducendo la possibilità di indossare il velo nei luoghi pubblici, prima vietato dalle leggi kemaliste di Ataturk, reintroducendo il reato di blasfemia, il divieto di consumo di alcol, dell'aborto. La svolta era fortemente autoritaria, oltre che marcatamente rivolta all'introduzione dei valori islamici. 

Nella regione turca del Mar Nero, area più conservatrice del paese, alla fine del 2011 si sono tenute decine di proteste contro il governo a causa della costruzione di centrali nucleari, autostrade e discariche di rifiuti, con numerosi attivisti e muscisti locali che invitarono la cittadinanza locale alla protesta. 

Nelle ultime elezioni amministrative, Erdogan ha perso sia Istanbul che Ankara, e questa per il partito AKP, è stata una sconfitta cocente, che può indebolire. notevolmente il leader turco. Infatti 7 tra le 12 città turche sono in mano all'opposizione, che può contare sul malcontento del popolo turco, alle prese con la crisi economica, ed alle libertà represse, che portano il paese ad uno stallo sul progresso e la normale vita sociale.  Intanto Erdogan preparava ricorsi sulle schede selezionate ed eventuali brogli, in stile Trump. Ma Andrew Dawson, capo della commissione di osservazione eletorale del Consiglio d'Europa, ha detto che le elezioni non si sono svolte in un clima di giustizia e libertà necessari per una normale consultazione elettorale. Intanto si consumava il giallo delle schede scomparse a Istanbul, dove Yildrim, sfidante aveva il 48,71% dei voti contro Imamoglu, uomo di Erdogan, che ne aveva 48,65. L'elezione non si consumava per 4000 voti, spariti, con la gente che scendeva in piazza gli uni contro gli altri, e persino i Curdi a festeggiare la sconfitta del "Sultano". Erdogan aveva vinto le elezioni del 2014, ed aveva subito imposto riforme costituzionali che accentrano i poteri nelle sue mani, intravedendo una dittatura alla "sudamericana". 

In piazza Gezi ad Istambul, le manifestazioni avevano trasmesso al mondo il modo originale di protesta, con  i ribelli che con pentole e cucchiai picchiavano pacificamente. Le manifestazioni si allargarono anche a piazza Taksim, luogo di grande cultura e meta del turismo occidentale e di mezzo mondo. In quella piazza ci sono la Moschea Blu, la Basilica di Santa Sofia, l'Acquedotto Romano. Un accenno merita Santa Sofia; intanto non ha nessun riferimento con la santa in questione, ma pare che il suo nome derivi dalla parola greca "Philos Sophia", amore per il sapere. Era stata una chiesa cristiana, e ne conserva ancora molti reperti, in seguito divenne moschea islamica, e per non essere da meno, ci sono dentro quattro grandi dischi con iscrizioni in arabo del Corano. E' un sito stupendo, che poi fu destinato a  monumento senza alcun riferimento confessionale. Ebbene l'ultima idea di Erdogan è stata quella di farla diventare di nuovo una moschea islamica. Si aspettano le prossime elezioni in Turchia, ma si teme che difficilmente Erdogan molli l'"osso" e farà di tutto per continuare ad esercitare il potere, in un modo o nell'altro. Questo significherà altro sangue e disperazione, con il paese che prenderà una fase discendente sociale ed economica, ed un difficile rapporto politico e  di collaborazione con i paesi occidentali, con grande imbarazzo nella NATO. D'altronde la Turchia è la più grande porta verso l'oriente ed in mezzo ai paesi arabi che più di altri soffrono di instabilità politica e mal si sopportano, con la mina vagante Israele. Il quadro si fa oscuro, e per questo i paesi vicini stanno cercando di mantenere rapporti vivi e possibilmente cooperativi con il regime di Erdogan. Ma la miccia ormai è innescata, soprattutto se si pensa che l'esercito Turco è uno dei migliori in circolazione, sia per organizzazione, che per l'indole battagliera dei suoi militari.
Un giorno a una persona che conoscevo, con esperienza nell'esercito della NATO con compiti di ufficiale, gli chiesi quali fossero i migliori combattenti. La risposta fu: non dichiarare mai guerra agli Inglesi ed ai Turchi. C'è però una cosa che mi fa pensare, ed è che gli inglesi le guerre le hanno vinte tutte, mentre storicamente i Turchi qualche batosta l'hanno presa, vedi Lepanto.
Comunque, in ogni caso, si deve preservare la pace, perché solo con la pace e la vittoria delle idee si può guardare al futuro, e sperare sempre in un mondo dove i dittatori e i golpisti siano sempre di meno.