Beh, da quel giorno sono passati ben 20 anni quando per l'ultima volta vidi mio zio, già lo zio a cui ho voluto più bene, e che a distanza di 20 anni ancora non riesco a dimenticare.
Noi abitavamo a 100 chilometri di distanza, non c'erano cellulari e le chiamate erano interurbane, quindi costose al tempo. Non c'erano i cellulari, quasi nessuno possedeva un personal computer, quindi ci si sentiva una volta a settimana, la domenica mattina.
Questo ricordo mi porta ad avere una emozione interna che non so descrivere.
Dai primi ricordi, quindi intorno ai 5 anni, ricordo il volto di mio zio, quel sorriso che mi ha sempre portato allegria. Le persone degli anni '80 non erano come quelle di oggi, sì, c'era chi si curava di più, chi di meno, ma il ventenne sembrava già una persona che dimostrava il doppio dell'età.
Mio zio era un trentenne che era dedito al lavoro, già dove abitava da ragazzo non c'erano tanti sfoghi nel dopo lavoro, quindi lui passava quasi interamente tutta la giornata a lavorare, era un muratore e pittore apprezzato nel suo paese.
La sua adolescenza non proprio semplice lo ha portato a crescere di fretta, quindi non potè mai giocare con gli amici, lui doveva lavorare, questo è quello che imponeva le persone che non studiavano in quel tempo, quindi fin dai 12-13 anni ha sempre lavorato, e mentre gli amici erano per strada a giocare, lui tornava distrutto dal lavoro e andava a dormire.
Mio zio è cresciuto con la mentalità che lo portava pensare al lavoro e poi a tutto il resto. Lui crebbe senza padre, già... la mamma a quei tempi conobbe un militare e s'innamoro, poi quando questi ripartì per il suo paese si accorse di essere rimasta incinta, ma proprio in quel periodo conobbe un altro uomo, che da una parte gli salvò la faccia, visto che una donna negli anni '50 incinta senza marito era presa per una poco di buono, visto che non si pensava a cosa le poteva essere successo o se c'era di mezzo una coppia che si era litigata, no! Era colpevole a prescindere.
Mio zio quindi crebbe con la mamma naturale e un padre acquisito, che nel tempo si rivelò un padre padrone, quindi lui dovette sottostare al volere di quel non padre, che però lo comandava a bacchetta.
Questo fino alla sua maggiore età, quando decise di andare via di casa appena conosciuta mia zia e di andare a vivere insieme e si costruisce una famiglia fin dai primi anni '70.
Mio zio era cresciuto di fretta, non si confrontava con i ragazzi della sua età, ma con gente molto più grande, questo la vita lo aveva portato a fare, a stare con persone di qualche decina di anni in più. Quindi si alzava alle 5 del mattino ed andava a lavorare e tornava a casa delle volte alle 17, altre volte alle 21 o 22, quindi cena e dritto a letto, per poi riprendere la routine fino al sabato, anche se poi il sabato trovava sempre qualche lavoro da fare.
Mio zio era una persona gentile, aiutava anche chi era in difficoltà, che fosse stata una perdita di un rubinetto, che una stanza da messa male da pitturare o da ricostruire, se una persona se la passava male - e lui sapeva chi aveva proprio bisogno - indossava i suoi jeans e partiva senza pensarci su.

Come vi dicevo ricordo mio zio fin da quando avevo 5 anni, lui era tifoso, anzi tifosissimo dell'Inter, io non tifavo ma ascoltavo i suoi racconti.
Era un fans sfegatato dell'Inter 1997-1998 che poi fu l'ultima Inter che riuscì a vedere. Ricordo che la domenica mattina quando la sua Inter vinceva era al settimo cielo, e quando lo chiamavo mi diceva sempre "Hai visto che Inter!" e io gli rispondevo "Certo zio, l'ho vista. E quel Ronaldo lì che campione che è". Mio padre e mio zio sono cresciuti insieme, non erano della stessa città, ma si sono conosciuti che entrambe erano quasi coetanei, e da quel momento quell'alchimia li ha portati a divenire due fratelli, ma fratelli veri.
Delle volte ricordo che quando si distaccavano uno dei due aveva le lacrime agli occhi, già perchè erano come una persona sola, quindi come a distaccare una parte di una persona per una o due settimane e poi riunirla. Loro erano sempre insieme, e se non potevano ecco che puntualmente dopo una settimana dura di lavoro si chiamavano e discutevano di lavoro, della loro Inter (Zio), Juve (Papà), ma la loro prima domanda era "Ma quando venite giù?", ecco questa era alla fine di quella telefonata.
Le nostre famiglie sono cresciute insieme, e posso dire che ogni volta era una agonia distaccarsi, come una madre che si distacca dal figlio, ecco per intenderci era pressapoco così.

Poi arrivò quel 1999 che avrebbe cambiato tutto...
Non avevo ancora 18 anni, e un giorno ricevemmo una chiamata, forse la più dura da ascoltare. Ricordo le lacrime di mio padre, ricordo l'incredulità nel mio volto ad ascoltare quelle parole, ricordo che di botto la gioia era divenuta ansia.
Mio zio stava per andarsene e gli avevano già dato un termine. Questo mi portò ad andare a trovarlo per la prima volta a casa, era provato ma sempre con quel sorriso che lo aveva contraddistinto dal primo giorno che lo ricordo. Mio zio era come un secondo padre e quindi mi abbraccio e mi sorrise, passammo un fine settimana a parlare del più e del meno, ma vedevo nei suoi occhi quella tristezza che lui sapeva nascondere molto bene, ma lo conoscevo troppo bene.
Così passo ancora altro tempo, e arrivammo a dicembre 1999. Mio zio era in ospedale, così che mio padre gli disse: "Dai che tra poco è l'ultimo dell'anno tutti insieme", lui gli rispose "Metteteci una foto al posto mio".
Pochi giorni dopo mio zio entra in un simil-coma e con i farmaci era più di la che di qua, quindi ritornammo a trovarlo sapendo che quella sarebbe stata quasi certamente l'ultima volta, mi avvicina e gli strinsi la mano, dicendogli: "Dai zio che io ti aspetto. Abbiamo ancora tante cose da condividere", lui certamente avrà ascoltato le mie parole, ma in quella situazione era presente. Così mi voltai e appena uscito dalla stanza d'ospedale mi rivoltai e feci un sorriso come a dire: "Ciao zio, mi mancherai...".
Mio zio non vide il 2000, e quel fine anno fu davvero molto toccante, il 31 dicembre in famiglia dedicammo quel fine anno a lui con un brindisi.

Ogni tanto da allora scruto il cielo e quando una stella brilla sono certo che è lui che mi fa capire che c'è e che non se ne andrà mai via.
Ancora oggi piango lacrime al suo pensiero, già, è come se una parte di cuore si fosse spenta e si riaccende quando mi soffermo a pensare a quei momenti che non torneranno più, ma che restano vivi nella mia mente.