Ho incontrato un tifoso juventino.

È stato lo scorso giugno, era da poco finito il campionato. La vita degli universitari è abbastanza monotona nella loro polifonia, nel senso che vedono le cose che prima non gli era permesso di vedere dall'età ancora acerba. Lo fanno scandendo da soli la nuova vita, le nuove regole, i nuovi regimi. Né troppo rigidi, si è ancora giovani per essere rigidi. Né troppo elastici, non si è più giovani come una volta per sfidare la legge di Hooke (quella che spiega il funzionamento delle molle).

Insomma, si è boss di se stessi o maestri del coro di cui si fa comunque parte. E così ogni periodo dell'anno viene ritmato da spartiti diversi a seconda della stagione: c'è in ordine cronologico l'addio al mare piacevole di Settembre, le prime lezioni in attesa delle prime vacanze, i maglioni natalizi col logo della propria università, i mercatini, la primavera che porta amore&feromoni e... la sessione estiva. Quelli che a pranzo non hanno la TV accesa su StudioSport si concentrano sullo studio matto e disperatissimo (Leopardi docet), tutti gli altri parlano con me aspettando la propria sentenza in trentesimi. Ne trovo tanti in questo Paese pallonaro, tutti diversi e tutti maledettamente simili. Tutti sognanti. Tutti decisi. Lo vedi negli occhi. Ti sei qualificato in Champions? Speri di vincerla. Ti sei salvato? Speri di ripeterti. Sei stato promosso in Serie A? Speri di salvarti.

Tutti sperano, tutti luccicano. Tutti, meno che lui.

Il tifoso juventino è una razza strana.
Vince e non esulta. Non vince e non esulta. Non esulta mai.
Prendono Estigarribia, e non lo presentano ai tifosi. Prendono Ronaldo, e non lo presentano ai tifosi. Non batte ciglio, è in preda ad una catatonìa rara.
Durante la stagione chiunque è un po' triste: il tifoso x perchè non è nella posizione del tifoso juventino. Il tifoso juventino è triste perchè si annoia. Me lo immagino come il più classico dei bambini viziati, sbadigliante per l'ennesimo giocattolo, l'ennesimo scudetto. Vuole la macchina ma non può perchè non ha ancora raggiunto la maturità. Le grandi orecchie, grandi sogni. Che storia. 

Il tifoso juventino è un caso sociologico raro. Questo qui, non ne parliamo. "Gianni".

"Ah come l'Avvocato?" provo a fare il simpatico, preso da un momento di socievolezza.

"". 

Ma come sì... penso. Mi prende in giro. Poi attacca con gli highlites della sua storia, probabilmente una reazione nervosa per l'attesa dell'orale di Epistemologia dei nuovi media. Calabrese, aspirante telecronista fazioso. Ha una voce profonda e accento inesistente che quasi mi colloca al piano inferiore della conversazione grazie alle mie influenze radicate tra messapi, greci e bizantini. Ha visto dal vivo tre generazioni di case bianconere: Delle Alpi, Olimpico e Stadium. Suo padre è sopravvissuto all'Heysel, suo nonno c'ha la maglia autografata di Charles nel soggiorno. 

Impreco e mi congratulo. "Che storia, Gianni! Dispiaciuto per Allegri?" Si mette mani distese, tipo L'Estasi di Santa Teresa. Fa un sospiro, sorride e borbotta un secco "No". Non vedeva l'ora. 5 scudetti con Max ma poco al Max. "In famiglia, con lui abbiamo pianto più di quanto abbiamo gioito.

Non capisco. 

"Gioca male! Tutti dietro la linea della palla, Dybala centrocampista, Costa in panchina. L'anticalcio!"

Continuo a non capire.

Per Gianni, Allegri è stato incapace. Incapace di pensare. La mentalità è un derivato della mente e se la mente è quella di Allegri, per Gianni la mentalità non poteva che rispecchiare un giocatorino timido dalla poca personalità quale è stato il tecnico di Livorno. Da qui in poi, sono tutti insulti. Ve li risparmio, anche perchè diventerei prolisso e il tempo in quel 20 di giugno scorreva che era una meraviglia.

Il mio Lecce ha passato in Serie C 7 degli ultimi 8 anni scudettati bianconeri e questo si lamenta. Con che coraggio puoi dir... OH CHE POI LO DICEVA SAN PAOLO, "CUPIO DISSOLVI". Interrompe così le mie considerazioni interiori collegando tifoso di calcio a quel desiderio di disfacimento di se stessi, tante volte evocato e invocato nelle lettere di Paolo per mettere fine alle sue sofferenze. 

Gianni da Catanzaro mi fece paura in quel momento. Okay, la citazione l'aveva colta dal libro di testo in uso per l'esame ma il collegamento era sconcertante. Da lì capii.

Gianni da Catanzaro non è la rappresentazione dello juventino medio. E' la rappresentazione più ampia dell'animo umano. Non riuscire ad avere una vita appagata da ciò che si ha già è umano. Non riuscire a non pensare all'upgrade dei propri averi è umano.

I bambini del Congo muoiono di fame e desiderano cibo.

Gianni da Catanzaro in modo egualmente umano non muore di fame ma muore di invidia. Vuole vincere la Champions, magari col Triplete per non farsi mancare nulla. Non è felice senza perchè il desiderio lo spinge a respingere qualunque senso di sazietà

Mentre penso a come stanno le cose, il docente chiama all'appello il mio cognome, mi alzo e volo in cattedra per sostenere la prova. Il tempo di farmi le domande di rito e i 4 secondi necessari per accettare un 25 senza infamia e senza lode, che Gianni era sparito. Lui che mi aveva introdotto alla foce dell'esame di Epistemologia con un fare epico a metà tra Virgilio e Fabio Caressa, si era fatto vincere dall'ansia a tal punto da scappare. Lui che tanto criticava gli 11 uomini di Allegri dietro la palla, aveva deciso di non uscire nemmeno dal tunnel. Che situazione kafkiana.

Lo rivedo oggi, dopo 3 mesi. C'era l'appello autunnale di Epistemologia. Mi fermo, gli chiedo al volo cosa pensa di Sarri dopo il pareggio di Firenze. Mi guarda, comincia una breve disamina sull'inadeguatezza della rosa al sistema sarriano. Va di fretta, mi saluta.

Chissà se sarà mai promosso. Chissà se sarà mai felice.

 

Renato De Filippi