El Picho de sueño de la razón a veces produce felicidad

A mio parere la suddivisione del genere umano tra ottimisti e pessimisti è scorretta, nel senso che quando i pessimisti, come si dice, vedono tutto nero, in realtà ci vedono benissimo, vedono che per far sì che le cose succedano, qualcuno (non loro) dovrà rimboccarsi le maniche e fare ciò che man mano si renderà necessario fare perché si realizzi ciò che si desidera. Quello che non ti aspetti, però, è che anche l’ottimista vede nero, esattamente come il pessimista, ma la differenza tra il pessimista e l’ottimista sta in quello che l’ottimista vede dentro di sé.
Il pessimista sente (o crede di sentire) di essere vuoto di energia, forse non desidera a sufficienza, forse l’hanno convinto di non valere, forse gli hanno detto che provare e non riuscire è qualcosa di socialmente inaccettabile, o forse, banalmente, qualcuno gli ha detto che se non la fa lui, la parte faticosa, un ottimista qualunque, da qualche parte, disposto a farla, prima o poi lo si trova.
L’ottimista, dentro di sé, sente di avere l’energia per affrontare la sfida, l’energia che gli servirà per superare le prove che gli si pareranno innanzi. Ma soprattutto, ha un atteggiamento più fiducioso, più coraggioso, non considera l’eventualità del fallimento come inaccettabile, ma come facente parte delle opzioni possibili.
Una suddivisione più corretta sarebbe tra chi opera, per far sì che le cose che desidera succedano, e chi invece non ha desideri, o non ha coraggio, o non ha voglia di fare un c….

Qualche giorno fa, nella parte introduttiva dell’articolo sull’autocostruzione di casse acustiche, quella in cui, parlavo di me, di come son fatto, e di come affronto le sfide, avevo volutamente, provocatoriamente calcato la mano sul concetto di passione come incendio, con una frase che giustamente aveva preoccupato Calatino-a-interland, che per un attimo aveva temuto di avere a che fare con un piromane. Riporto la frase qui, per comodità del lettore: “Sono fatto così, vivo di eccessi. Fare le cose solo un po' significa semplicemente non farle. Il fuoco della passione non può essere la fiammella controllata di un accendino a gas. Deve essere la fiamma violenta e incontrollabile di un incendio, dove è il vento, e non l'uomo, a stabilire dove esso andrà, e cosa distruggerà, per fare spazio a piante ancor più belle”.
Ebbene, se non è questo il manifesto programmatico di un ottimista che ancora desidera, che non chiede altro che di vivere, attingendo a piene mani dalla vita, mi chiedo quale altro potrebbe esserlo, in modo più dirompente.

Dopo le “Mani che disegnano” di quel genio assoluto che è l’olandese Maurits Cornelis Escher, litografia scelta come copertina dell’articolo del 27 di giugno, mi cimento, ora, nella scrittura di un articolo che parla di me, intento nella scrittura di questo articolo. Dopo il teatro nel teatro di Pirandello, la nuova frontiera era Il pezzo (giornalistico) nel pezzo! Come dire: i fanatici avanguardisti della riedizione dello Sturm und Drang sono serviti!
Tornando ai contenuti, parliamo di un articolo che nasce dalla celebrazione delle tante difficoltà finora da me incontrate e risolte con successo, e di tante altre, potenziali o reali, che ancora dovrò affrontare. Ma lo farò, (come anticipato) con l’atteggiamento di chi desidera, di chi tante volte è caduto, e altrettante volte si è poi rialzato.

Dopo una notte resa insonne dal caldo, passata a constatare con ammirazione il numero senza senso di pezzi scritti dall’instancabile NOODLE56, a constatare gli immobilismi, tutti da interpretare, di Ginni Nuresse e Massimo 48: il primo che sembra essersi chiamato, per questo giro, fuori; il secondo, che verosimilmente sta preparando con cura la zampata finale, da sferrare in risposta ad un eventuale attacco, quella dalla quale nessuno avrebbe modo di riaversi in tempo. Chissà.
Notte, dicevo, passata a considerare la probabile strategia attendista di un capitano di lungo corso come Zardoronz, senza dimenticare Ciccio Indi, contendente troppo esperto per essere sottovalutato, stamattina sono stato assalito da una ridda di pensieri: gira e rigira, continuavano a tornarmi in mente le parole di commento all’articolo del prof. Pippo Russo, quello in cui venivano indicate le varie nomination e i trofei vinti. Tra commenti e congratulazioni reciproche, Massimo 48 aveva parlato di mari e venti; e di un oceano, il blog, in cui non sempre è facile navigare, lasciando presagire grandi difficoltà, e altrettanto grandi abilità, indispensabili per prevenirle e fronteggiarle. Abilità che (lo vedremo presto) forse ancora non possiedo. L’abbraccio affettuoso, alla fine del suo commento era senz’altro sincero, ma quel parlare dell’oceano, della perizia necessaria per poterci navigare, arrivando in porto prima dei tuoi contendenti, suonava decisamente come un voler mettermi in guardia da tutta una serie di difficoltà che richiedono esperienza. Dando un’occhiata poi alle bacheche dei trofei vinti da ognuno dei contendenti della corona di giugno, la domanda non poteva che essere: “Ma io che ci faccio qui?”. Queste persone sono qui da sempre, si conoscono tutti da anni. Ne hanno vinte e ne hanno perse a decine, chissà quante storie, quante delusioni. Quante vittorie e quante sconfitte. Magari anche quanti litigi e quante riconciliazioni, quanti abbandoni e quanti, che poi sono ritornati col capo cosparso di cenere e quanti son dovuti andare a Canossa, prima di essere perdonati e riammessi.
E adesso arrivo io, come direbbe Totò: “Tomo tomo, cacchio, cacchio”, con i miei calcoli da ingegnere, ma con l’esperienza di un poppante. Stime alla mano, tecnicamente è ancora tutto possibile. Chiunque vinca, temo dovrà attendere a lungo il responso del famigerato algoritmo/oracolo. Ma al di là dei tempi, la domanda che mi pongo è: qualora dovessi essere io il vincitore (lasciatemi sognare, ve ne prego) con che spirito verrebbe accolta questa inaspettata vittoria?
Il termine “re”, poi, per quanto lusinghiero alle orecchie e all’ego del vincitore, rischia di conferire alla vittoria del titolo, un significato che, se ci pensate, risulta ben diverso dalla vincita di un trofeo. In un caso, quando si vince un trofeo (ad esempio, il premio della critica per il miglior pezzo della settimana), ti viene riconosciuta pubblicamente la vittoria, prendi la coppa, la porti a casa, la metti insieme alle altre decine di coppe e finisce lì. Nell’altro caso si viene nominati “re” per un intero mese. Si ”diventa” re, incoronati dalla redazione che ha votato i nostri pezzi durante un intero mese. E lo si rimane per un mese.
C’è davvero una bella differenza!
L’altro giorno leggevo il professor Pippo Russo che si rallegrava (ed io con lui) di aver di nuovo avuto la possibilità di recensire un articolo di Indaco32 (a proposito, apro una parentesi: quel 32 vorrebbe per caso dire che il buon Indaco ha 90 anni? Se sì, come avrebbe detto Maurizio Costanzo, in uno spot di successo di 30 anni fa, buona camicia, anzi buon “Vivo per Lei” a tutti!).
Quanti sono i blogger come lui, come calatino-a-interland, e come tanti, tantissimi altri, che hanno il petto decorato da mille trofei, che sono di casa qui, mille volte più di me, e che hanno tutto il diritto di pretendere un trattamento che tenga conto della loro “anzianità di appartenenza", guadagnata sul campo con centinaia di articoli? E tra questi decani storici, ad un certo punto, spunta, o meglio, spunterebbe (e permettetemi di fare autoironia su una situazione solo ipotetica), il primo re imboscato della storia, perfetto parvenu, con una corona in testa che pesa come fosse di piombo.

Ius primae noctis, temo di no, ma almeno la possibilità, (in caso di mia vittoria) di farmi spedire da calatino-a-interland un vassoio, o meglio, una guantiera di cannoli alla ricotta dalla sua amata Caltagirone, avrebbe forse speranza di essere esaudita.
Messa in questi termini, quindi, la questione del significato da attribuire al titolo di re assume contorni molto più tranquillizzanti.
Pur venendo incoronato re per un mese (sempre che vada davvero a finire così) non penso di dover dare grosse dimostrazioni di leadership, termine odiosissimo di cui mi scuso, ma del quale non riesco (siamo messi male) a trovare un equivalente italiano che abbia esattamente la stessa valenza.
Molti si aspetteranno che io produca articoli con una qualità superiore alla media, cosa che finora, essendo stato in mutua per svariate settimane, per riprendermi da un intervento non banale, sono riuscito in qualche modo a fare, ma che temo non potrà continuare ad avere questo livello di standard ancora a lungo, quando sarò impegnato anche lavorativamente. Sarò un po’ come Papa Luciani, che ha avuto giusto il tempo di entrare nelle segrete stanze del Vaticano per passare a miglior vita.
Diciamo che volendo ancora parlare di Papi, mi viene in mente anche la famosa frase di Giovanni Paolo II, dopo la fumata bianca: lui che non conosceva benissimo l’italiano disse: “Se sbaglio mi corrigerete”. Ecco, dovessi fare qualche errore nel mio (ipotetico) mandato di giugno come sovrano, sono sicuro mi corrigerete anche voi.
Se invece non dovessi essere mai nominato re, questo articolo risulterà il divertente (Piccio Di) sonno della ragione di un “ragazzo”, che per qualche giorno si è illuso di poter diventare re, senza riuscirci.
​Se Calatino, poi, volesse comunque mandarmi il vassoio di cannoli alla ricotta di cui sopra, anche solo per dimostrare, come sempre ha fatto, di essere persona che sa stare allo scherzo, ne sarei, inutile dirlo, più che felice.

Chiudo con i saluti che vengono direttamente dal Papa Buono, che mi ha confidato in sogno di fare il tifo per me.
Quando, stasera, tornati a casa, troverete i vostri bambini; qualora riusciste a staccarli dal cellulare o dalla Play per farvi cag… ehm… considerare, anche solo per qualche secondo, date loro una carezza, e ditegli: “questa è la carezza del nuovo re di giugno Piccio Di Sonno”.