Arrigo Sacchi disse: “il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti”. Probabilmente un sudamericano, in particolare un argentino, non si troverebbe d’accordo con questa affermazione. Da quelle parti il calcio è questione di vita o di morte. Lì c’è una visione del “fùtbol” assai diversa da quella europea, una concezione del gioco basata più sulla filosofia che sulla passione. Apprezzare un tipo di gioco rispetto ad un altro contraddistingue chi sei e cosa pensi. Basti pensare all’infinito dibattito tra “Menottismo” e “Bilardismo”,due ideologie agli antipodi, legate alle filosofie dei tecnici che hanno vinto la coppa del mondo con l’albiceleste; se ti schieri dalla parte del flaco, quindi quella del ’78, sei convinto che non solo debba arrivare la vittoria ,ma deve anche essere raggiunta in un certo modo, giocando un calcio che sia degno di essere chiamato tale. In poche parole, il “come” è importante tanto quanto il “cosa”. Se invece sei più affezionato all’ideologia legata al mondiale messicano dell’86, probabilmente per te la vittoria, la grinta e la maglia sudata a fine partita contano più di qualsiasi altra cosa.

Qui in Europa ormai il calcio è diventato un argomento basato sul business e sul profitto, dove una plusvalenza vale più dell’emozione di un goal, dove la cosa più importante è il Fair play finanziario ed il marketing ad esso legato. Non esiste più quella magia del calcio che può vivere solo grazie alla passione dei tifosi. Al giorno d’oggi, gli appassionati sono visti più come clienti di un’azienda piuttosto che innamorati di una squadra e parte integrante di essa. Fortuna che c’è il Sudamerica, fortuna che esiste l’argentina, dove la magia del calcio viene accesa dalla fiamma ardente che brucia nei cuori degli “aficionados”, quel meraviglioso luogo dove ogni giorno si organizzano partite infinite, dove l’unica regola è divertirsi, interrotte solo dal tramonto del sole, partite assurde senza esclusioni di colpi, dove los “pibes”(i bambini) giocano per il gusto di farlo col sogno nel cassetto di poterlo fare per lavoro, partite ruvide in spazi stretti e angusti, su terreni sconnessi, dove però si affina la tecnica e l’astuzia, dove addirittura si scommette e si viene pagati per fare tunnel e non per fare goal.
Figuriamoci se da queste parti si può concepire un modello calcistico basato sul business, qui la parola d’ordine è divertimento, il fine primario del “Fùtbol” deve essere quello di regalare emozioni, non quello di far circolare soldi. Speriamo che questa legge non scritta da nessuna parte, se non nel cuore dei sudamericani, rimanga intatta il più a lungo possibile.

Oggi voglio parlarvi di un ruolo presente solo in Sudamerica: L’Enganche. Il ruolo estetico per eccellenza; un ruolo più divertente che effettivamente utile, che rispecchia perfettamente quell’ideologia che ho provato a descrivere nelle righe precedenti. Un ruolo a rischio di estinzione; l’evoluzione del gioco, sempre più aggressivo dove il pressing asfissiante è la chiave per sovrastare l’avversario, dove la condizione fisica sta inevitabilmente prevalendo sul lato tecnico. Questo è un ruolo delicato che necessita di tempo e spazio non può far altro che sparire o quantomeno adattarsi.
La traduzione letterale di Enganche in italiano è “ aggancio”, infatti il compito affidato a chi interpreta questo ruolo è quello di “agganciare” il centrocampo con l’attacco. L’incarico dell’enganche è proprio quello di legare il gioco tra i due reparti. Se ti ritrovi a ricoprire questo ruolo devi essere necessariamente un calciatore totale e totalizzante. Ma cosa vuol dire totale e totalizzante? Sei un calciatore totale poiché con la palla puoi fare quello vuoi, stop impossibili, passaggi filtranti impensabili, dribbling ubriacanti ecc… ma soprattutto sei un calciatore totalizzante perché rendi facile il gioco ai tuoi compagni e aumenti anche il loro valore. Sei quel tipo di giocatore che crea e modella il gioco a suo piacimento, Qualità di cui godono veramente in pochissimi.

L’enganche gode di una libertà assoluta in mezzo al campo, non è legato da alcun vincolo tattico e non gli è richiesto alcun sacrificio in fase di non possesso. Se la squadra non riesce a produrre gioco offensivo devono abbassarsi a centrocampo, oppure devono saper muoversi tra le linee e rifinire l’azione, con splendidi assist. Addirittura quando la squadra non riesce a conformarsi al suo enorme talento spesso sono tenuti a risolvere la gara completamente da soli, con un’azione dove seminano avversari come birilli, una soluzione di potenza o magari una punizione tirata con la forza giusta, con i giri giusti, col tempismo giusto e con la precisione giusta.
La sua unica mansione è quella di sprigionare il suo talento. Il suo unico compito è quello di dare libero sfogo alla sua fantasia e alla sua creatività e metterle a disposizione della squadra, ma soprattutto del pubblico.


L’ enganche al quale sono più legato e che voglio portarvi come esempio, naturalmente non poteva non essere argentino.
Il “Diez” con la “D” maiuscola in questione è Juan Romàn Riquelme.
Romàn è un” bostero” puro nato e cresciuto a Buenos Aires con il Boca nel sangue e nel destino.
Tecnica cristallina,” garra” e visione di di gioco aliena ben presto gli hanno fatto guadagnare la pesantissima etichetta di Erede di Maradona.
Un peso troppo grande, un’eredità troppo ingombrante che è impossibile da eguagliare per chiunque.
Dopo alcuni anni deliziosi nella sua bombonera, Per Romàn arriva il momento del grande passo, L’ Europa lo aspetta. Il paese prescelto Spagna.
Per distacco il paese più Argentino d’Europa, per lingua e costumi.
Quasi fin da subito ha sofferto l’eccessivo tatticismo europeo che ingabbiava la sua arte. Roman a Barcellona non è riuscito ad integrarsi vista la rigidità della disciplina di Louis Van Gaal, al Villareal ha fatto senza dubbio qualcosa di buono, addirittura raggiungendo una semifinale di champions storica, non si perdonerà mai quel rigore sbagliato proprio in semifinale che consegnò la finale al monaco.Comunque visto il talento ha disposizione in Europa molto meno bene di quello che ci si sarebbe potuto aspettare da uno come lui.

Si dice che non abbia mai avuto le capacità di integrarsi nel calcio Europeo.
In realtà a me piace pensare che l’Europa non fosse pronta per il suo talento
, mi piace pensare che il vecchio continente, accecato dall’importanza del risultato non abbia saputo apprezzare la classe di questo artista. Mi piace pensare che il Sudamerica fosse l’unico posto al mondo in grado di apprezzare tutto quello che aveva da offrire. La sua Argentina è l’unico luogo del pianeta dove si potesse sentire amato veramente. Dove non importa se si è un po’ lenti e se non si ha il dinamismo per correre 90 minuti, no, non interessa a nessuno, da quelle parti per farti perdonare bastava un tunnel, uno stop al volo, un passaggio fantascientifico, in sintesi alla gente bastava una perla delle sue, una di quelle magie che solo lui era in grado compiere. Romàn a casa stava bene, era consapevole che la sua Argentina è l’unico posto al mondo dove le emozioni contano più del risultato.
Per farvi capire quanto Riquelme sia stato apprezzato in patria vi riporto uno spezzone di una bellissima lettera scritta da un giornalista tifoso del River Plate, quindi teoricamente un acerrimo rivale e contestatore, nei suoi confronti. Consiglio la lettura integrale perché merita.

“Sono poco più delle sette e mezza di sera del 30 marzo 2014. Sono passati 21 minuti del secondo tempo e il River continua a vincere 1 a 0 contro il Boca alla Bombonera.
L’attesa del trionfo in trasferta in casa loro dura da un decennio ma oggi sembra che ci sia speranza.
All’improvviso, fallo vicino alla nostra area, ci va Riquelme e prende la palla.
Con il mio amico ci guardiamo, senza dirci niente, ma allo stesso tempo ci diciamo tutto.
Ci scambiamo bugiardi sorrisi che vorrebbero far credere che tutto è tranquillo.
Eppure deglutiamo a fatica. Ci va Riquelme ed è gol. Sinceramente, è uno dei migliori gol su calcio di punizione della storia dei Boca-River.
Mi alzo e applaudo. Arrabbiato, nervoso, rassegnato; ma applaudo.
Mi si attiva quel gene calcistico che distingue la bellezza sopra qualunque altra maglia.
Un gene che con Juan Román Riquelme in campo mi si è attivato molte altre volte a dir la verità.
Non ti ho mai potuto odiare, Román."

Ma la mia frase preferita su riquelme è stata scritta da un uomo che si occupa di calcio a 360 gradi come Jorge Valdano, che è stato un meraviglioso giocatore, un ottimo dirigente e un sopraffino scrittore del gioco.
La frase in questione è: Chiunque, dovendo andare da un punto A a un punto B, sceglierebbe un'autostrada a quattro corsie impiegando due ore. Chiunque tranne Riquelme, che ce ne metterebbe sei utilizzando una tortuosa strada panoramica, ma riempiendovi gli occhi di paesaggi meravigliosi.
Questa è la frase che descrive meglio l’essenza dell’enganche argentino.
A parer mio c’è una partita di Riquelme che è in grado di descrivere cosa vuol dire essere l’enganche perfetto. La partita in questione è la finale di coppa intercontinentale tra Boca-Real Madrid del 2000.
Partiamo dal goal che ha deciso la partita.
Il secondo del “loco” Martìn Palermo.
Riquelme dopo un’azione offensiva del Real Madrid riceve palla nella sua trequarti, è solo, non ha uomini davanti a sè, chiunque avrebbe cercato di gestire il pallone appoggiando comodamente al compagno più vicino, chiunque tranne Romàn. Stoppa la palla, alza la testa è nota che l’unico compagno più avanzato di lui è proprio il “loco” che galleggia sul filo del fuorigioco della linea difensiva comandata da Hierro, in una frazione secondo decide di impostare un lancio millimetrico alle spalle del baluardo difensivo spagnolo, un passaggio filtrante che attraversa tutto il campo e va a finire sul piede sinistro dello spietato compagno di squadra. Con una freddezza glaciale e una precisione chirurgica il 9 “xeineze” scaglia la palla alle spalle di Casillas che non può far altro che vedersi trafitto. Una voleè di pregevole fattura, resa possibile però, solo dalla precisone e dalla morbidezza del lancio di Riquelme.
Nel secondo tempo però sale in cattedra l’enganche, il gancio. Proprio come un gancio al quale si collegano container che pesano tonnellate di kili, Romàn può reggere il peso dell’intero Real Madrid dei galacticos, Gioca un secondo tempo dettato da passaggi e dribbling difensivi che permettono al Boca di perdere tempo e portare la coppa a casa. Il tutto con un recupera palloni come claude Makele pronto a mordergli le caviglie in ogni occasione, ma in quel frangente neanche un mastino del suo calibrò potè contrastare la classe del Dieci.
Lo stile di gioco dell’argentino è reso possibile anche dal suo fisico, che al contrario di quando si pensi è abbastanza imponente. Circa 1.82 m per 79 kg che gli permettevano di proteggere e gestire la palla nell’unico modo che conosceva, con la tecnica.

Un giornalista argentino scrisse: “Il calcio è stato inventato dagli inglesi e reinventato da Riquelme”.
In questa partita sembra sia stato proprio così, la tentazione di chiudersi a riccio contro una delle squadre più forti di sempre sarebbe stata legittima, ma non per lui che era della semplice quanto efficace idea che se la palla l’avesse avuta lui tra i piedi, non avrebbero potuta averla gli avversari.

Vista l’evoluzione del gioco, come potrete ben immaginare, purtroppo l’Enganche è una specie in via d’estinzione.
Sempre più spesso a quelli che in Italia chiamiamo fantasisti, viene chiesto di ricoprire un ruolo importante in fase di interdizione, spesso e volentieri vediamo attaccanti pressare forsennatamente i difensori avversari per recuperare il pallone il prima possibile, un’ideologia sicuramente efficace ma che inevitabilmente toglie qualcosa ai giocatori più tecnici.
L’erede dell’enganche, a mio avviso, potrebbe essere il ruolo che in Inghilterra chiamano “free 8” (letteralmente 8 libero) cioè quel centrocampista che in fase di possesso ha libertà di posizionarsi dove vuole, proprio come l’enganche, ma in fase di non possesso deve essere abile a posizionarsi nelle possibili linee di passaggio avversarie. Il migliore al mondo in questo ruolo secondo me è senza dubbio Kevin De Bruyne, il belga con Guardiola ha trovato la sua dimensione e sta avendo un rendimento stellare grazie alla sua predisposizione tecnica e tattica.

Secondo voi l’Enganche scomparirà definitivamente o saranno sempre calciatori necessari per il nostro amato gioco?
Chi è il vostro enganche preferito? Fatemelo sapere nei commenti!

Matteo Di Mango