La mia famiglia era stata molto colpita dal lutto di Superga, e seppure senza molta passione per il calcio, ci eravamo stretti nella memoria di quel gruppo di ragazzi sfortunati. Mia madre, ancora a distanza di anni, mi parlava con le lacrime agli occhi di quella tragedia, vissuta nella "nostra" Torino, con mio padre attore attivo nelle situazioni che seguirono lo sviluppo delle vicende relative a  quella sciagura. Fu uno degli addetti al recupero salme, e lo fece con  grande coinvolgimento di emozioni. Ma qualche anno dopo, mio padre ebbe la possibilità di andare allo stadio a vedere giocare la Juventus, e sebbene capisse poco di calcio e non avesse passioni nel mondo sportivo, fu letteralmente "fulminato" dalle imprese calcistiche di Omar  Sivori. Era come andare all'opera e sentire cantare la Callas, o Pavarotti. Riuscì a trasformare la nostra tristezza, che ci attanagliava ancora a distanza di anni, in gioia ed entusiasmo. La sua classe, la sua tecnica, la sua personalità ed anche le sue "pazzie", conquistarono mio padre ed allora il nostro cuore incominciò a battere in bianco e nero. Galeotto fu Sivori ed il campo che calpestò.

Omar Enrique Sivori era nato a San Nicolas de los Arroyos nel 1935, in Argentina, da genitori entrambi italiani, padre ligure (il cognome Sivori è molto comune in Liguria) e madre abruzzese. Fin da ragazzo aveva manifestato grandi doti da futuro campione, tanto che fu chiamato "el Pibe de Oro" , molto prima di Maradona. Aveva giocato nel River Plate, dove con Maschio e Angelillo, formava il trio degli "angeli dalla faccia sporca", giocatori di grande spessore tecnico che arrivarono in Italia, tanto che come oriundi, giocarono anche nella nostra Nazionale.  Humberto Maschio era un regista con grandi doti di realizzatore, un giocatore già moderno, che militò nel Bologna, Atalanta e Fiorentina. Seppure di grande classe, non ruscì a fare vedere pienamente le sue grandi doti, se non a sprazzi. Diversa la storia di Angelillo. Antonio Valentin Angelillo, nativo di Buenos Ayres (1937 - 2018), in Italia giocò nell'Inter, Roma, Milan, Lecco e Genoa, lasciandoci il ricordo di record segnati in un campionato, con 33 reti nel 1959, con la maglia dell'Inter. Il record fu battuto pochi anni fa da Higuain, con 35 reti, ma con quattro partite in più giocate. Intraprese anche la carriera di allenatore, diventando il "trainer" di Rimini, Brescia, Reggina, Pescara, Arezzo, Avellino, Palermo e Mantova e con alcune esperienze all'estero. Il suo amore per l'Italia lo ha portato a finire i suoi anni di vita a Siena.    
Sivori giocava nel Millionarios, squadra argentina, quando la Juventus lo acquistò per 90 milioni di lire, una cifra enorme per il tempo (1958), e pare che con quella cifra la società di provenienza riuscì a completare la costruzione dello stadio "Monumental", ma per anni non riuscirono più a recuperare la supremazia calcistica che avevano con Sivori in campo. Arrivò in una Juventus che aveva tra le sue fila John Charles e Gianpiero Boniperti, campioni mai dimenticati. John Charles era Gallese, definito il "gigante buono", per la sua correttezza e il "fair play" inglese che esibiva in campo, nonostante avesse una stazza notevole, che gli permetteva di svettare nel gioco aereo; era anche molto  abile  tecnicamente. Nacque a Swansea, nel Regno Unito, il 1931, morto in ristrettezze economiche nel 2004, tanto che la Juventus, memore della sua fedeltà ai colori bianconeri, gli concesse un vitalizio per provvedere al suo sostentamento per gli ultimi anni della sua vita.  Di Boniperti si sa tutto (o quasi), detto "Marisa" (soprannome ancora oggi di origine sconosciuta), fu sicuramente un grande campione, e divenne poi per molti anni presidente della Juventus. Pare che l'Avvocato Agnelli lo premiasse per le sue prodezze regalandogli una mucca per impinguare il suo allevamento di bestiame, portandolo nelle sue tenute dove aveva grandi allevamenti e lui scegliesse sempre le mucche "gravide". In seguito divenne presidente della Juventus, soprattutto nel decennio d'oro di Trapattoni allenatore e di Italo Allodi manager, che costruì insieme a lui una Juventus "stellare".

Tornando a Sivori, vinse con la Juventus tre scudetti e tre coppe nazionali, e nel 1960 vinse il titolo di capocannoniere. Nel 1961 vinse il "pallone d'oro" europeo, primo italiano (era oriundo) e primo giocatore del campionato italiano. In serie A ha segnato 170 reti, e nel 1962 fece tremare il grande Real Madrid, in una sfida di coppa dei Campioni. All'andata il Real aveva vinto 1 a 0 a Torino, ma al ritorno Sivori "gelò" il Bernabeu con un gol che mandò le squadre alla "bella" di Parigi. Fu la prima volta che il Real perdeva in casa, ed aveva giocatori come Di Stefano, Puskas, Kopa, Gento ma la partita di Parigi finì 3 a 1 per gli iberici, con l'unico gol di nuovo segnato da Sivori.  Ma Sivori era anche un carattere difficile, i "Derby" giocati contro il Torino, diventavano spesso delle autentiche caccie all'uomo, con Ferrini che rincorreva per il campo Sivori scalciandolo in tutti i modi, mentre Sivori teneva sempre palla e rispondeva con altre botte. Finivano spesso la partita in anticipo. E comunque la capacità di Sivori di tenere palla, di dribblare l'uomo e di fare "tunnel" in tutte le parti del campo, erano spettacolo puro, ma gli avversari si sentivano irrisi e i falli di "frustrazione" fioccavano ad ogni partita. Un'abitudine "storica" di Sivori era il fatto che giocava con i calzettoni tirati giù (cosa vietata  oggi per le norme anti HIV), e la disperazione di tanti allenatori di squadre giovanili, che pretendevano a ragione che i ragazzi non emulassero tale comportamento ed anzi, portassero i parastinchi.  Aveva la capacità di portare a spasso gli avversari anche palleggiando, senza mai farla cadere per terra, prendendo e dando botte.  L'Avvocato Agneli diceva di lui: "Sivori è più di un fuoriclasse. Per chi ama il calcio è un vizio." Ne era letteralmente innamorato, e per questo gli perdonava tutto. Ma la sua carriera nella Juventus finì quando arrivò alla l'allenatore Heriberto Herrera, fautore del "movimiento", cioè la corsa collettiva ed allenamenti duri adatti a questo modulo. Sivori non l'accettò mai, e presto se ne andò a giocare gli ultimi anni a Napoli, dove Pesaola, l'allenatore del club partenopeo, lo accolse a braccia aperte, insieme all'altro grande campione Josè Altafini. A Napoli, Sivori fece ancora vedere sprazzi di classe, segnando un gol che ancora oggi fa sognare per la sua semplicità di esecuzione e la classe di cui era capace, con un controllo sulla palla girato di schiena alla porta, la palla incollata al piede, si gira verso la porta e di punta segna anticipando il portiere. 

Ma nel 1968, proprio in un Napoli-Juventus, Sivori si fece espellere prendendo sei giornate di squalifica. Non ritornò più in campo, smise così, affidando la notizia del suo ritiro in una trasmissione sportiva. Fu anche allenatore, guidando l'Argentina che si qualificò per i mondiali del 1974 in Germania, ma il suo carattere difficile e la sua insofferenza verso il Governo Peronista, lo emarginarono presto da ogni incarico sportivo. nel 1970 partecipò al film di Alberto Sordi "Il presidente del Borgorosso Football Club", in una breve apparizione. 

Diceva di lui Marcello Lippi: "Stravedevo per la cattiveria e la scaltrezza di Sivori. Non si faceva mai picchiare da nessuno, anzi al massimo, succedeva il contrario". Di lui si raccontava che quando le partite non andavano bene, al rientro negli spogliatoi, tra il primo ed il secondo tempo, diceva ai compagni: "No te preocupe, ahora segno tres goles e se gana". Non preoccupatevi, ora segno tre gol e vinciamo. Un'altro aneddoto me lo descrisse un mio collega di lavoro, che aveva giocato in serie A in quel tempo, con la maglia del Torino. Ammirato da Sivori, in un derby nel quale sedeva in panchina, me lo descrisse così: " Era come vedere Maradona e Platini insieme". Non so se esagerasse, ma detto da un suo avversario era un complimento notevole.

Di tutti i giocatori menzionati solo Maschio (88 anni) e Boniperti (92 anni) sono ancora tra noi, Sivori invece ci ha lasciati nel 2005, a causa di un brutto male. Ma il male maggiore sarebbe dimenticare un fuoriclasse più unico che raro, indimenticabile per la sua  classe tecnica, personalità e quel pizzico di "maledizione" che tartassa spesso i grandi campioni. L'appellativo "Cabezon"( testone), era a causa della sua capigliatura folta che aumentavano il volume della sua testa, e forse anche alla sua indole ribelle e irriverente.
Addio grande campione ribelle, io non ti dimenticherò, ma forse sei lassù, a fare tunnel agli angeli, e forse anche loro ti rincorreranno per darti qualche legnata! 

Arrivederci a tutti.