Massimiliano Allegri è di diritto uno degli allenatori più vincenti della storia della Juventus: i successi ottenuti in questi anni dal tecnico livornese lo hanno avvicinato a veri e propri giganti della storia bianconera come Lippi e Trapattoni. Qualcuno potrebbe già obiettarmi che questi ultimi hanno vinto quando, specie nel campionato italiano, il tasso di competitività era nettamente più alto; il che è pure vero ma, nonostante ciò, non dobbiamo dimenticarci che, sempre con Allegri, la squadra ha raggiunto due finali di Champions League in tre anni, impresa tutt’altro che semplice vista la concorrenza agguerrita che c’è in Europa.

Insomma, personalmente ritengo che, al netto di qualche errore umano per qualsiasi persona, il percorso di Massimiliano Allegri compiuto sinora alla Juventus sia più che lodevole; in particolare a Max attribuisco due grandissimi meriti: il primo di averci fatto “sedere al ristorante da cento euro” con una squadra pressoché identica (vennero aggiunti di fatto Evra, Pereyra e il giovane Morata) a quella allenata da Conte, allenatore che ho amato ma che ci aveva letteralmente abbandonati l’estate prima, non ritenendo il gruppo competitivo; il secondo di esser stato in grado di far compiere un indiscutibile processo di crescita a tutti i calciatori che, sinora, gli sono capitati tra le mani attraverso il lavoro quotidiano.

Eppure ogni qual volta (poche, a dire il vero) che la Juventus nemmeno perde, magari pareggia, noto scatenarsi orde di sostenitori bianconeri che si scagliano contro il tecnico livornese, auspicando magari una sua partenza a fine stagione.
Ripeto, Allegri può compiere degli errori e sicuramente li ha compiuti, ma credo che chiedere la testa dell’allenatore in virtù di un risultato non pienamente soddisfacente non faccia propriamente onore a chi manda avanti queste critiche; anzi, mi suscita l’immagine del cosiddetto bambino viziato che più riceve più vorrebbe.

Ma perché Allegri non piace a molti juventini? Io mi sono fatto un’idea secondo cui per alcuni ci sono effettive critiche sul piano tattico e del gioco: critiche legittime quanto vogliamo che però dovrebbero decadere se si va a guardare la storia degli allenatori vincenti bianconeri e la storia stessa della Juventus che, come recita il suo slogan più celebre, ha sempre anteposto la vittoria a tutto il resto. Altri tifosi, invece, mi sono convinto che dicono di non sopportare Allegri per il gioco che professa, ma in realtà non lo possono sopportare perché non è uno che sbraita, che fa discorsi motivazionali, è uno che al fischio finale va negli spogliatoi e non corre ad abbracciare i suoi calciatori ed è uno che quando si arrabbia, lo fa con quel piglio tutto toscano per cui non sai mai se è serio o scherza.
Vi dirò di più: che se alla Juventus ci fosse ad allenare uno come Simeone e professasse il gioco che esibisce all’Atletico, in molti dei detrattori di Allegri sarebbero già permeati dalla bandiera del “Cholismo”. Perché? Perché in molti hanno bisogno di un mito da venerare, di una filosofia a cui riconoscersi tutte cose che in Allegri non troveranno mai.

Chi invece muove critiche di carattere tattico, spesso contrappone ad Allegri il desiderio di vedere approdare in bianconero allenatori che, a loro avviso, professano un calcio migliore: in questi anni ho sentito manifestare da molti il desiderio che in bianconero arrivassero tecnici come Klopp, Pochettino, piuttosto che Sousa, persino Sarri fino ad arrivare al sogno Guardiola. Tutti profili che, a maggior ragione con questa dirigenza, mai vedremo in bianconero per il semplice fatto che la storia insegna che alla Juventus vengono preferiti allenatori italiani, o comunque di cultura italiana, che sappiano essere duttili e che soprattutto possano vincere da subito; perché poi vallo a spiegare, a quelli che si lamentano per un pareggio, che magari con un altro allenatore che vuole imporre le sue idee si può rischiare di compromettere un girone e magari di perdere un campionato. L’erede designato, e non per la prossima stagione, di Allegri a mio giudizio c’è già ed è Simone inzaghi: a maggior ragione se, come sembra, verrà confermato questo blocco dirigenziale che ha imparato ad apprezzare quegli allenatori che non danno out out sul mercato e che sanno lavorare con i calciatori, piaccia o no, portando risultati.

Ma del resto basta guardare indietro nella storia bianconera per capire a cosa portano certe scelte: era la stagione 1990-91 quando, in sostituzione dell’aziendalista Zoff che aveva contribuito a vincere la Coppa Uefa, venne chiamato il giovane Maifredi che si proponeva di portare a Torino il suo calcio Champagne espresso a Bologna con la difesa a zona e un gioco molto aggressivo: la stagione iniziò male con una batosta in supercoppa contro il Napoli e si concluse anche peggio, con la squadra al settimo posto fuori da ogni competizione europea. A Torino fece ritorno Trapattoni, che vinse un’altra Coppa Uefa e poi iniziò il glorioso ciclo di Marcello Lippi; a Torino gli allenatori che più piacevano, piacciono e che hanno fatto successo sono quelli che hanno spesso saputo fare di necessità virtù senza incaponirsi su un’idea di gioco o un modulo.
Allegri è uno di questi: perché “vincere è non è importante, è l’unica cosa che conta” e chi non si ritrova in questo motto, forse ha sbagliato squadra per cui tifare.