Paulo Bruno Exequiel Dybala. Basta questo nome per rievocare alla mente e agli occhi la doppietta contro il Barcellona dell'11 aprile 2017. Da allora in molti non si sono risvegliati. Forse neanche Paulo credeva di poter toccare un punto così alto nella sua carriera di calciatore. Il coronamento dei tanti sacrifici fatti in tenera età, della dedizione, del talento.

El pibe de la pension, lo chiamano - quando è costretto a sostare nella pensione dell'Instituto de Cordoba, sua prima squadra in Argentina, in seguito alla prematura scomparsa del padre - ma per tutti è la Joya. La juventus investe su di lui una cifra importante - spropositata, dicono - quasi 40 milioni di euro (è un mercato folle e Zamparini un abile mercante) quando lo prende dal Palermo. Altissime le aspettative per lui, i bianconeri devono ripartire dopo la deludente sconfitta di Berlino. Vogliono aprire un nuovo ciclo. E lo aprono alla grande: Paulo segna il 2 a 0 contro la Lazio (erano bei tempi) e la Juve si aggiudica la Supercoppa italiana.
Da lì in poi è storia. 

Se c'è una cosa che abbiamo potuto capire di Paulo in questi anni, è che il ragazzo è davvero legato ai colori bianconeri. La Juve checché se ne dica è una famiglia. Tutti vanno via a malincuore - o si pentono, dopo averlo fatto volontariamente - e questo è un dato di fatto (per informazioni, chiedere a un certo Polpo francese). 

Questa estate sembrava che Paulo fosse di troppo, che il suo talento non potesse più vestire quella maglia che - a parte la stagione 2018/19, forse - aveva sempre onorato a suon di prestazioni. Ed ecco che si trova sul mercato, venduto prima al Tottenham, poi al Manchester United in cambio di Lukaku (che oggi spacca le porte con la maglia nerazzurra) a cifre quasi irrisorie per quello che sarebbe il n. 10 della squadra più scudettata d'Italia. 

Paulo non ci sta, tentenna, non vuole andarsene. Rifiuta a più riprese il trasferimento. Si impunta. Vuole dimostrare che non è bollito, che non è un giocatore che scompare nelle partite importanti, che può essere ancora decisivo. Pensano di potercela fare, di convincerlo che in Inghilterra troverà fortuna. E quasi ci riescono a mandarlo via. Serpeggia una notizia, è già pronto un biglietto di sola andata per Manchester.

Nel frattempo arriva Maurizio Sarri, la guida tecnica della Juve è cambiata. Max è andato via. Lui aveva detto: o mi cambiate la squadra o non si vince più. Paulo era diventato un enigma tattico (né a destra né a sinistra né al centro dell'attacco), uno che non poteva convivere con Cristiano Ronaldo. Ma arriva Sarri, appunto, e dice che vuole affidarsi ai giocatori che hanno i numeri, ai palleggiatori. E Dybala è tra questi. 

Così Paulo si riaccende. Ora non c'è che smentire quello che si diceva di lui fino a qualche mese fa. Che non è a centrocampo il suo futuro, lontano dalla porta. Che non è destinato alla mediocrità. Che si sono sbagliati. Così partita dopo partita Paulo torna ad essere fondamentale. Forse fa meno goal, ma riesce a fare la differenza comunque. 

Ed ecco che Paratici si accorge di una cosa. Forse Paulo deve rimanere, forse ha preso un granchio. Forse bisogna anche rinnovargli il contratto e puntare ancora su di lui (d'altronde Lukaku è andato al nemico pubblico n.1, un certo Antonio Conte, che dalle parti della Continassa gli prende l'orticaria solo a sentirlo nominare). 

Chi lo sa cosa succederà da qui alla fine della stagione. Fatto sta che Dybala non ha davvero ucciso Paratici (il titolo è volutamente provocatorio) ma forse qualche notte di sonno deve avergliela tolta. Noi vogliamo credere che Fabio si sia davvero redento. 

D'altronde chi non ama il mancino di Dybala, ha dei problemi con i sentimenti (cit.)