Amarsi e rimanere insieme tutta la vita. Un tempo, qualche generazione fa, non solo era possibile, ma era la norma. Oggi, invece, è diventato una rarità, una scelta invidiabile o folle, a seconda dei punti di vista”. Con queste poche parole, il sociologo Zygmunt Bauman descrive perfettamente il concetto attuale di “fedeltà”. Non ci sono più i legami sociali del passato. Si può pensare, per esempio, ai matrimoni che si concludono con maggiore semplicità. Esistono persino istituti giuridici che hanno favorito il proliferare di tali situazioni. Il riferimento è al cosiddetto “divorzio breve”. Il filosofo tratta un sentimento in particolare, ma potrebbe riferirsi all’idea generale di attaccamento a una determinata causa. Lo stile di vita si è profondamente modificato ed è superfluo sostenere che la realtà muti. Si immaginino le amicizie. Il melting pot e gli scambi che caratterizzano il presente conducono le persone a spostarsi in continuazione. Questo provoca la nascita di nuovi rapporti e, purtroppo, pure la chiusura di vecchie conoscenze. Il covid-19 varierà tale ultimo trend? Il mondo del lavoro viaggia sulla medesima lunghezza d’onda e le persone sono portate facilmente a diversificare un’attività fondamentale per la loro esistenza. Vi sono manager che modificano spesso la società per la quale operano, ma questo turnover vale per parecchie categorie. In alcune posizioni ciò potrebbe essere utile a evitare che la permanenza in un medesimo luogo finisca per risultare stantia quindi dannosamente abitudinaria. E’ assolutamente lampante come l’amore per un altro individuo e ogni differente genere di rapporto siano filosoficamente poco paragonabili. E’ logico che il valore generalmente riconosciuto a un legame sentimentale sia visto in maniera diversa rispetto ad altro tipo di contratto, ma la tendenza è la medesima. Oggigiorno è molto difficile trovare unioni definitive.

E’ così anche per il calcio che è componente della realtà e vive rispettando le stesse consuetudini. Nel 2014-2015 la prima Juve targata Allegri sfiora il triplete sfumato soltanto per la sconfitta di Berlino contro il Barcellona in finale di Champions. Durante l’estate successiva, i bianconeri iniziano a “cambiare pelle” per originare, poi, il nuovo ciclo che ottiene un medesimo risultato 2 stagioni più tardi. E’ proprio in quel periodo che, dal Palermo, giunge un attaccante argentino poco più che ventenne. All’anagrafe risponde al nome di Paulo Bruno Exequiel Dybala. Il suo compito è improbo. Con il tempo avrebbe dovuto sostituire un certo Carlitos Tevez. L’argentino aveva lasciato ai sabaudi ricordi semplicemente fantastici e la prospettiva di essere suo erede non può che risultare scomoda. U picciriddu, come veniva chiamato in Sicilia, ha alcuni importanti punti in comune con l’ex numero 10 dei piemontesi, ma pure parecchie differenze. Prima di tutto si pensi alle storie di vita. Pur se entrambi figli della stessa Patria, Carlos si deve destreggiare tra i rischi del terribile Barrio Ejército de los Andes. Quel quartiere di Buenos Aires è talmente pericoloso da assumere il nome di Fuerte Apache che è rimasto come un marchio nella carriera del giocatore. E’ proprio nella Capitale che l’attaccante comincia il suo percorso glorioso vestendo la maglia del Boca. Paulo, invece, è di Laguna Larga, ma presto si trasferisce a Cordoba per spiccare il volo nel mondo del pallone. All’età di 15 anni perde il padre e questo rappresenta per lui un dolore incommensurabile. Leggendo la biografia del campione, pare che tra i 2 vi fosse un legame inscindibile. Il genitore fungeva da autentica guida per il fanciullo. La Joya esprime tutto il suo potenziale e si trasferisce in Italia. A notarlo è, infatti, il Palermo di Zamparini che afferma “Dybala è come Messi (La Gazzetta dello Sport). Il calciatore vive 3 annate sull’Isola disputandone 2 in serie A con un intermezzo in cadetteria. E’ la terza stagione a porlo sotto la luce dei riflettori. Il ragazzo è sontuoso e la Vecchia Signora non se lo lascia sfuggire. Con circa 40 milioni di euro, lo conduce all’ombra della Mole donandogli l’eredità di un certo Carlitos Tevez. Con un briciolino di pressioni … I 2 giocatori hanno caratteristiche tecniche piuttosto differenti. Sono entrambi attaccanti dotati di grande fantasia e amano partire come seconda punta per svariare su tutto il fronte offensivo dettando, magari, l’ultimo passaggio. Le similitudini, però, paiono fermarsi qui. Carlos è destro. Paulo ha un mancino micidiale. L’Apache è un combattente, capace di esaltarsi nella battaglia e pure di sradicare il pallone dai piedi degli avversari. U picciriddu, soprattutto quando sbarca sul pianeta Juventus, si mostra creatura molto più delicata. La Joya è sicuramente fornita di maggiore classe e si lascia sovente sfuggire qualche vezzo calcistico tipicamente sudamericano che, con il tempo, Allegri gli leverà. Ricorderò sempre le grida del livornese quando, nella finale di Supercoppa Italiana del 2015 contro la Lazio, l’argentino entrò a gara in corso e realizzò il gol del 2-0. Si abbandonò, poi, a una pericolosa giocata nella propria metà campo facendo letteralmente sbroccare il toscano che inscenò una delle sue leggendarie sfuriate.

Dybala è riuscito nell’impresa di raccogliere l’eredità di Tevez? Momentaneamente, solo a tratti. In effetti, penso che l’avverbio sia azzeccato. Il numero 10 è nato nel 1993 ed è risaputo che, per un attaccante, il periodo di maggior risalto sia quello tra i 28 e i 32 anni. Si pensi proprio all’Apache che ha trovato costante continuità di prestazioni soltanto in Piemonte alla soglia della terza decade d’età. Il tempo è tutto dalla parte di Paulo. Nonostante qualche infortunio, le prime 2 stagioni juventine rappresentano un crescendo con l’apice raggiunto nella sfida interna di Champions contro il Barcellona nel 2016-2017. Quella gara consacra la Joya al calcio mondiale. L’argentino, infatti, realizza una doppietta favolosa che lancia la Juve verso la semifinale. Poi la parabola è discendente e le successive 2 annate palesano più di una difficoltà tanto che, la scorsa estate, il numero 10 era inserito nella lista dei partenti. La prima parte del 2019-2020 riporta Dybala nel cuore della Vecchia Signora e recentemente il sudamericano ha sottolineato come avesse spinto per restare a Torino, nonostante le varie offerte pervenutegli 365 giorni or sono, proprio perché non voleva abbandonare l’ambiente bianconero senza lasciare un ricordo positivo. Mossa azzeccata e adesso chi lo vuol più mollare?!

E’ vero che Dybala non si incastra perfettamente con Cristiano Ronaldo, ma “l’uomo di passaggio” è il portoghese. Si dice che, nel suo essere bionico, CR7 non abbia età. I 35 anni suonati iniziano, però, a scrivere una sentenza piuttosto importante. Il lusitano par destinato a diventare il giocatore più longevo della storia, ma è difficile immaginare che, dopo il 2022, vestirà ancora il bianconero. La Joya, invece, potrebbe avere davanti a sé una decade con questi colori. Nel lungo periodo, però, diviene davvero complesso ragionare di ipotesi tecnico-tattiche o di un progetto che lo coinvolga come stella polare. Penso che, soprattutto in un top club, sia sconsigliabile puntare troppe fiches su un atleta. Il calcio, infatti, è uno sport di squadra. Si gioca in 11 contro 11 e una rosa è composta da circa 25 giocatori che possono risultare tutti importanti. Se immagino il futuro bianconero dell’argentino, devo momentaneamente abbandonare le questioni di campo e concentrarmi su un aspetto più globale. Ha le “phisique du role” per diventare la bandiera di questa società dopo Alex Del Piero? Sì… Oltre a essere un talento, Paulo ama la Vecchia Signora e si trova egregiamente a Torino. Lo dimostra il fatto che l’estate scorsa non sia voluto partire nonostante le avance di top team. Questo è l’aspetto più importante. E’, inoltre, un ragazzo piuttosto tranquillo. Non si erge a protagonista della cronaca mondana con particolari eventi che per altri hanno assunto il nome di “balotellate”. La mia non vuole certo essere una critica a SuperMario. Anzi, mi scuso perché non intendo nuovamente “tirare in ballo” il bresciano che vive un ennesimo momento di particolare difficoltà. Lo stile sabaudo, quindi, potrebbe essere nel DNA della Joya. L’argentino mostra pure di avere una personalità importante. Ha già indossato la fascia da capitano della Juve e ha saputo tenere il punto nelle trattative con il club. Gli si perdona qualche uscita a vuoto in alcune gare fondamentali perché in altre di pari valore ha mostrato il suo infinito potenziale.

Dybala come Del Piero? Chi lo sa… Come sostenuto nell’incipit del pezzo, le bandiere non esistono praticamente più e l’ex stella bianconera ha rappresentato una delle ultime rarità di detta specie. Si pensi ad Alex, ma pure a giocatori come Totti o Javier Zanetti. Ecco, sono i recenti vessilli ammainati dal pallone moderno. Considerato che Cristiano Ronaldo ha già indossato le maglie di 3 grandi club, rimane soltanto Messi. Pure su di lui, però, circolano importanti voci di mercato. Paulo rimarrà in Piemonte a vita? Il cuore mi spinge verso la romantica ipotesi del “sì”. La ragione, invece, mi rimanda al più classico: “ai posteri l’ardua sentenza”. Non lo so. Non voglio entrare nel merito perché è una questione assolutamente complicata. Occorrerebbe avere la classica sfera di cristallo utile a vedere il futuro. Non la posseggo. E’ come sapere se e quando l’uomo potrà abitare su Marte. Come detto, l’argentino potrebbe avere le doti tecniche e comportamentali per vestire il bianconero di qui all’eternità, ma non è sufficiente. Servono pure altre prerogative. E’ necessario, per esempio, che i rapporti con il club rimangano integri. Se alla Joya giungesse l’offerta irrinunciabile e decidesse di partire? Se la Vecchia Signora, dopo avere vinto tutto o a seguito di un clamoroso flop, volesse ricominciare dalle fondamenta? Non si può mai sapere.

Poche, quindi, sono le indicazioni che attualmente mi forniscono la certezza che Dybala sarà bandiera della Juve. Per chi ama le percentuali, mi affiderei al più classico 50e50. Questo non è dettato da sue mancanze, ma soltanto dalla impossibilità di osservare ora un domani così distante. La speranza è che ciò avvenga ma, come sostiene Edgar Morin, “bisogna imparare a navigare in un oceano di incertezze fra alcuni arcipelaghi di certezze”. L’emergenza coronavirus potrebbe averci insegnato qualcosa relativamente alle possibilità umane di controllare il futuro.