Il calcio, si sa è quello sport ricco di emozioni, queste possono essere piacevoli, spiacevoli, capaci di farti battere il cuore o di farlo fermare, tuttavia rimangono tali, semplici emozioni.

Amo questo sport, con tutte le sue sfaccettature e le sue dinamiche contorte, con i suoi sorrisi falsi e con le lacrime che ti fanno sentire parte di qualcosa più grande di te.

Non so se a voi capita ma quando vedo la mia squadra segnare o vincere una partita la mente ripercorre gli anni e si lega a immagini, ricordi della mia infanzia, di quando le vedevo con mio padre senza capirne realmente il significato, di quando era molto più semplice e tutto questo lo rendeva ancora più importante, speciale.

Crescere però comporta sacrifici e rendersi conto di come vanno le cose, della realtà, dell’altra parte dell’iceberg, quello sommerso, quello che non vedi. Ti ritrovi inevitabilmente ad analizzare tutto in modo freddo, distaccato, rimani tu e la tua delusione.

La delusione che nasce quando ti ritrovi allo stadio, in questa “arena”, quando ti giri intorno e vedi volti sconosciuti, quando realizzi che dietro quei volti ci sono uomini che hanno fatto chilometri, sacrifici, perso ore e ore di sonno e soldi sudati pur di gridare e cantare insieme alla propria squadra. Quando capisci che questo amore è dovuto solo ai colori e non agli uomini che ne fanno parte.
Quindi mi chiedo: “Perché idolatrarli? Perché emularli?” il tempo delle bandiere è finito purtroppo, dobbiamo rassegnarci a questo semplice concetto, su undici giocatori titolari, otto fanno, hanno fatto e faranno sempre i loro interessi.
Perché è nella natura umana e nello specifico nella natura di questi ultimi anni. La competizione non è su quanti goal in più ho ma su quanti soldi, su quanti seguaci, su quanti poveri tifosi ho illuso baciando la maglia.

Noi dal canto nostro siamo romantici si sa, ci facciamo trascinare nel vortice delle illusioni spinti da un sorriso, un falso attaccamento, un goal al 90esimo. Possiamo essere criticati per questo? Assolutamente no, ed è per questo che questo senso di delusione non avrà mai fine. Forse, però, inizieremo a mettere più puntini sulle “i” consapevoli che la lezione più importante si sta perdendo, il nome davanti la maglia è e deve essere più importante di quello che c’è dietro.

Non è un discorso generale, per fortuna alcuni valori rimangono in determinati gladiatori, ma non quelli che tendiamo a esaltare di più. L’uomo vero si vede da come si comporta quando arriva la tempesta e forse in questo calcio, corrotto sempre di più da cose fittizie, abbiamo bisogno di uomini veri, con vero spirito di sacrificio e attaccamento alla maglia.

Di giocatori disposti a fare dieci passi indietro per salvaguardare non il lato economico, ma quello umano, perché alla fine dei giochi è sempre stato quello che conta di più. Mio nonno mi parlava di Meazza, mio padre mi parla di Facchetti, io posso parlare di Zanetti, mio figlio se continuiamo così di chi parlerà?

SM