La telenovela Donnarumma alla fine ha avuto la sua, drammatica conclusione: il portierino diciottenne della compagine rossonera ha deciso di non rinnovare il contratto, in scadenza nel 2018, e di conseguenza di rifiutare le offerte della società. Offerte che, va detto, non sono state di lieve entità: l'ultima, stando alle voci, era di ben 4,7 milioni di euro l'anno. Giova sempre ricordarlo, per un ragazzo di diciotto anni dal sicuro avvenire, ma che comunque è ben lontano dall'essere considerato un portiere fatto e finito, viste comunque le incertezze dimostrate in vari frangenti e qualche difetto tecnico, come nell'ultima di campionato a Cagliari.

Quando un giovane del proprio vivaio debutta in prima squadra, è sempre un'emozione. Figuriamoci poi in un ruolo tanto delicato come quello del portiere, il ruolo che per sua natura è il più decisivo in campo: un attaccante se non segna può sempre fare assist, dare grinta, corsa ed impegno, un portiere se non para prenderà sempre gol.
Si aggiunga a questo la tanto sbandierata fede milanista del giovane di Castellammare di Stabia, e per un tifoso il quadro è completo. Quando le premesse sono queste, e si tratta un rinnovo, specie con una nuova proprietà, uno pensa che si tratti di una mera formalità. Dopotutto, se ci si trova nella squadra che si tifa, che intoppi potrebbero esserci? Chi potrebbe mai rifiutare il rinnovo?

Già, chi? Ecco, è questa la parte dolorosa, proprio lui.

Certo, non si può dire che sia stato circondato di persone propriamente equilibrate: da una parte Raiola, definito "mercante di carne" e notoriamente avido di denaro e di potere, uno che sa fare bene gli interessi dei giocatori, ma soprattutto i suoi; dall'altra il padre, che pare avesse messo come condicio sine qua non per il rinnovo, l'acquisto anche del fratello di Gianluigi, Antonio, classe 1990, attualmente in forza all'Asteras Tripoli in Grecia, così da sistemare entrambi i figli con dei contratti importanti in una società importante.

Ma bisogna assegnare a ciascuno la propria parte di colpa, e il portiere in questione ne ha eccome.
Con quei gesti di affetto non ha fatto altro che illudere una società e un popolo intero, quello milanista, che sin da subito lo ha accolto come un figlio, come ai tempi accolse Baresi, Maldini e Costacurta, che tanta gloria hanno portato al club, mettendo davanti alla prospettiva di una grande carriera da protagonista e di idolo ad un Milan in ricostruzione il denaro ed i soldi.
Tanti soldi. Più dei 4,7 milioni offerti da Fassone e Mirabelli, evidentemente.
O forse la prospettiva di trasferirsi in un club ancora più grande di questo Milan? 

E a questo punto, la malignità potrebbe anche portare a dire che ha eccessivamente mostrato tanto affetto per la maglia solo per poter far passare inosservati alcuni suoi errori, come quando i bambini che rompono qualcosa fanno subito gli occhi dolci.
O che in realtà del Milan non gliene importa proprio nulla e che è solo un arrivista che vuole andare sempre più in alto (cosa eticamente orribile ma legittima), e per farlo non gli importa calpestare le mani di tutti quei tifosi che se le spellavano per applaudirlo (cosa eticamente orribile e deprecabile).
Ma questi sono tutti dei pensieri che si fanno con la rabbia e la delusione in corpo.

Eppure, in questo momento, i milanisti non siano tristi, anzi, siano orgogliosi!
Orgogliosi di avere una società che di fronte agli avidi ricatti di un agente affamato di soldi e potere ha preferito mantenere la dignità e la forza di dire no anche a un probabile futuro campione, che, a questo punto si può ipotizzare, amasse il Milan come si può amare un portafogli gonfio di soldi, o come in piscina si può amare un trampolino che ti proietta verso l'alto.
Orgogliosi di avere una società che ha cercato comunque in ogni modo di trattenere il giocatore, che invece si è sempre nascosto dietro l'ombra del suo procuratore, offrendo cifre sensazionali per un giocatore di diciotto anni e che si sono sentiti rispondere da Raiola che devono chiamare lui e non il giocatore, quasi fosse cosa sua, un prolungamento della sua persona, anzichè comportarsi per quello che è, ovvero uno stipendiato di Donnarumma e una figura assolutamente e totalmente estranea al club.
Orgogliosi di avere una società che, al momento, ha in mente di creare una grande squadra partendo dalle fondamenta e che ha come prima priorità il bene della stessa e dei suoi tifosi, prima ancora di farsi prendere per il naso da procuratori, agenti e compagnie cantanti.

Ora avranno anche loro una brutta gatta da pelare, ovvero gestire tutto quel che verrà da ora in avanti.
Come nei divorzi tra mariti e mogli, questi sono i momenti più difficili e chi ci va sempre di mezzo sono sempre i figli, ovvero in questo caso i tifosi. Che devono pensare alla cosa più importante: mai mettere il singolo sopra la squadra. Chiunque esso sia.
I campioni passano, ma la squadra resta e resterà sempre.