La prima cosa che imparavi, alle scuole elementari, era l'alfabeto. "Ei", "Bi", "Si" e così via. Poi la maestra ti insegnava a fare lo spelling del nome. "Ef", "Ar", "Ei", nel mio caso. "What's your favourite colour?", la terza domanda in ordine di tempo. Apprendere l'inglese non è poi così difficile, essendo una lingua di origine germanica e, dunque, dalla grammatica e dal vocabolario molto più snello, rispetto alla nostra. L'inglese ha la stessa funzione del latino, molti secoli fa, ossia accorciare le distanze fra i popoli. Una lingua in grado di far comprendere persone provenienti da parti del Mondo totalmente opposte, anche per via delle conquiste coloniali messe in pratica dall'Impero di Sua Maestà. Conquista più recente è l'intero continente europeo. E pensare che c'era qualche inglese assai propenso a fuggire dalle dinamiche del Vecchio Continente. Alla faccia della Brexit.

L'Europa del calcio parla un inglese molto fluente. Su due finali di Coppa, la Premier ha distribuito, fra Baku e Madrid, ben quattro team. Liverpool e Tottenham da brividi: due grandi rimonte e un grande inedito nell'atto finale della Champions. L'Arsenal si è sbarazzato del Valencia in goleada, mentre i Sarri boys hanno scalzato l'Eintracht dopo i calci di rigore. Ben venga un derby di Londra nella terra del fuoco, l'Azerbaigian. Finalmente una grande legittimazione per il campionato più seguito e più intrigante al Mondo, timido spettatore degli ultimi anni, seppur con qualche coppetta in tasca. Il Chelsea tra il 2012 e il 2013 ha conseguito una Champions e una Europa League. Solo un'Europa League per lo United (2017), nobile decaduta dell'Europa che conta.

Nell'ultimo decennio tre cose erano sicure: la morte, le tasse e il calcio spagnolo sul trono d'Europa. Barcellona e Real Madrid sono le due squadre dominatrici del primo ventennio del nuovo Millennio. Una costanza senza precedenti nel portare in Spagna Coppe, campioni e partite memorabili. Ogni appassionato di calcio, in quest'epoca, ha sbavato a lungo nel vedere i fenomeni dei blaugrana o delle merengues sbeffeggiare gli avversari. Una supremazia che si è riflettuta anche in ambito nazionale. La Roja, tra il 2008 e il 2012, ha festeggiato 2 Europei e 1 Mondiale. Il tiki-taka dopo aver preso il sopravvento sul resto dei tatticismi, si è avvicendato con il pragmatismo targato Zidane, nell'egemonia continentale. Il Cholismo a fare da contraltare ai canoni di bellezza imposti dalle superpotenze. L'Atletico, storica cenerentola, ha recitato con disinvoltura un ruolo altrettanto rilevante. Chapeau anche al Siviglia, primatista per numero di Europa League conquistate.

La Premier aspettava da tanto un'opportunità del genere. Possiamo considerarla come l'unico campionato equilibrato e dai pronostici mai scontati. Qualora dovesse esserci una favola come il Leicester fra le top 5 d'Europa, in tal caso faremmo un fischio agli addetti ai lavori d'Oltremanica. Sebbene il City abbia il titolo in pugno, siamo pronti a scommettere tutto sulle velleità del Liverpool, pronto a contendere lo scettro fino all'ultimo istante. Gli inglesi non sono totalmente indifferenti a questo dettaglio così rilevante. Avendo la fortuna di ammirare cotanto football, essi sono soliti apostrofare gli altri campionati, francese e italiano su tutti, con il termine di "farmer leagues", i campionati dei contadini. "Game, set, match" come direbbero a Wimbledon.

C'erano un tedesco, un argentino, uno spagnolo e un italiano: non la tipica barzelletta nella quale è l'italiano a ricoprire il ruolo dello scemo di turno. Quattro nazionalità, quattro modi di intendere il calcio molto differenti, sintesi di un'esterofilia che ha aumentato la competitività dell'intero sistema. Melting Pot arricchito soprattutto dai fenomeni che calcano i campi della Premier: Salah (egiziano), Aubameyang (gabonese), Son (sudcoreano), Hazard (belga), giusto per citarne alcuni. Invece, in Italia, ogni anno si apre la caccia allo straniero, accusato di "rubare"il lavoro all'italiano talentuoso di turno. Discorso irradiatosi dalla politica sino al pallone. Se un talento nostrano non riesce a esprimersi, non è colpa dell'argentino o del brasiliano: saranno mica viziatelli e mal allenati, nei settori giovanili, i ragazzotti azzurri?

Comunque vadano le due finali, una cosa è certa: stiamo assistendo, presumibilmente, a un cambio della guardia nel dominio continentale. Ahinoi, sono lontani quei tempi, tipo il 1990, quando il Milan, la Sampdoria e la Juve vincevano, nella stessa stagione, Coppa Campioni, Coppa delle Coppe e Coppa UEFA. Nel paleolitico si disputavano finali di Coppa UEFA tra italiana (Juve-Fiorentina, Inter-Roma, Parma-Juve o Inter-Lazio). Al tempo degli antichi Egizi, invece, erano Juve e Milan a fronteggiarsi per la Coppa dalle grandi orecchie. Età aurea per il nostro sistema, quel 2003: tre semifinaliste su quattro provenienti dal Bel Paese. L'Italia rappresentava il top europeo, qualche decennio fa. Poi arrivò un'onda ispanica a rompere gli equlibri.
L'Invincibile Armada, come nel XVI-XVII secolo, è stata scalzata dalla flotta inglese.