Si fa presto a dire meteora, si fa presto ad etichettare un calciatore come finito, anche se la sua età biografica direbbe tutto il contrario. Origi deve saperlo bene, nato come figlio d’arte (il padre Mike è stato calciatore professionista keniota in Belgio) ma ritrovatosi già molto giovane con sulle spalle il peso di aspettative molto più alte di quello che potesse offrire in quel momento probabilmente. Guardando alla sua breve carriera possiamo annoverare l’esordio tra i professionisti (lui neppure maggiorenne) nel 2013 con il Lille, squadra rinomata per avere grande abilità nel ricercare talenti in tutto il mondo, ed esordio condito subito da una rete che lo piazza terzo tra i più giovani marcatori del club, dietro proprio ad altri due calciatori che con lui condividono la stessa nazionalità, Mirallas ed Hazard.

Dopo la stagione d’esordio disputa un buon campionato e la fortuna sembra essere dalla sua parte fin qui: è l’estate del 2014, i mondiali brasiliani sono alle porte e l’infortunio di un suo futuro compagno al Liverpool, Christian Benteke, gli fornisce l’occasione e la convocazione per partecipare alla massima competizione FIFA per nazioni. 19 anni, ancora gol all’esordio, che vale in tal caso la vittoria contro la Russia ed anche qui record di marcatore più giovane per il Belgio in un Mondiale. Tutto va per il meglio quando al termine della stagione successiva un team blasonato come il Liverpool decide di acquistarlo e portarlo alla corte di Jurgen Klopp. Qui però iniziano i problemi, perché se nella prima stagione con i Reds trova poco spazio, nella seconda invece trova pochi gol, non il massimo per una prima punta.

Ed allora prestito secco al Wolfsburg per volere proprio dell’allenatore tedesco, convinto che cambiare aria possa fargli bene, ma che non vuole cederlo a titolo definitivo; Jurgen intravede infatti la stoffa del giovane Divock, ma scruta ancora meglio una certa acerbità in lui. Il belga è convinto del prestito, pronto a tornare per dimostrare il suo valore, ma le cose non vanno per il meglio neppure in Germania, con tante presenze ma pochi gol ancora e una sostituzione punitiva contro l’Hoffeneim per mano dell’allenatore Rebbe che dichiarerà di averlo fatto “perché in 42 minuti aveva toccato soltanto 15 volte la palla”. La stampa (tedesca in questo caso) ama accanirsi contro la pecora nera della situazione e non mancò di farlo in quell'occasione ironizzando sul fatto che la giovane punta belga non conoscesse affatto la futura avversaria nei successivi play-out (l'Holstein Kiel).

Ma è pur sempre vero che per risalire bisogna darsi una spinta toccando il fondo, Origi quindi torna al Liverpool dove però stavolta si ritrova chiuso da un tridente implacabile: Manè-Salah-Firmino, tra gli attacchi più prolifici d’Europa, non un bell’inizio per chi potrebbe essere già molto demoralizzato dal recente passato. Ma Origi, che ama leggere libri sulla psicologia umana e che per sua stessa confessione ha ammesso che se non fosse diventato un calciatore sarebbe stato uno psicologo, non si abbatte nonostante l’utilizzo con il contagocce. E la perseveranza qui compie il miracolo che non dovrebbe stupire: un anno e due mesi dopo l’umiliazione di Hoffenheim, viene schierato titolare in quella che potremmo sicuramente inserire tra le partite del secolo, Liverpool-Barcellona, semifinale di ritorno con un pesante 3-0 sulle spalle da ribaltare. Klopp nel tridente offensivo deve fare a meno di Salah e Firmino per infortunio, attacco dunque reinventato con Shaqiri, Origi e Manè; la missione impossibile sembra addirittura utopia. Ma il resto sono pagine della storia del calcio che rimarranno indelebili, con la doppietta di Wijnaldum ma soprattutto quella del figliol prodigo Origi, che siglerà la rete del definitivo 4-0 beffando su corner una difesa blaugrana sopita (grazie anche all’astuzia del terzino Alexander Arnold); un gol da vedere e far rivedere in tutte le scuole calcio.

Ma la favola non finisce qui: finale di Champions League, Liverpool avanti 1-0 con rigore di Salah, ma un risultato in bilico per una partita di questa caratura; stavolta la punta di Ostenda subentra nel secondo tempo ed in meno di 30 minuti sugli sviluppi di calcio d’angolo all’87’ chiude i giochi e regala la sesta Champions ai Reds. Potrebbe anche finire tutto qui, ma invece la storia d’amore prosegue, con la società che a luglio rinnova il contratto con il giovane (è doveroso sottolinearlo) Divock, a 24 anni nuovo eroe di Anfield. Ed indovinate chi ha segnato giocando da titolare una partita di tutto spessore nella prima gara stagionale (in Premier League) del team guidato da Jurgen, travolgendo il Norwich?

Concentrazione e capacità di non abbattersi, perseveranza e conoscenza dei propri mezzi, lavoro duro e costante, il mix perfetto che dovrebbe contraddistinguere tutti (non solo i calciatori odierni) per uscire dalle difficoltà e dimostrare il proprio valore: grazie per questa splendida lezione Divock!