Dare fiducia a qualcuno. Non è semplice. A volte le persone sottovalutano troppo questo passaggio. È un qualcosa di prezioso sapere che una persona ripone fiducia in noi. Io sono stato fortunato: moltissime persone mi hanno affidato questo fardello pregevole e penso di averlo trattato con cura. Magari con qualcuno sono stato distratto, con altri più attento, ma sono certo di aver dato sempre il massimo. Nel bene e nel male. Ed io ho fatto lo stesso. Ho posto la mia fiducia in diverse persone. Poi alcune strade si sono divise, la fiducia è andata scemando e, tra delusioni e perdite di vista, le strade si sono separate. Anzi, si è andati fuoristrada. Ma questa è un’altra storia. Insomma, affidare a qualcuno la propria fiducia è un atto effimero, magico e d’amore, aggiungerei. Si sta offrendo qualcosa di raro, di cui spesso, non ce ne rendiamo conto. Siamo troppo ingolositi dagli avvenimenti nel breve termine, siamo così ubriacati dall’impulsività, che diamo fiducia come se distribuissimo volantini pubblicitari di cui non vediamo l’ora di sbarazzarcene. Come se fosse una patata bollente e che, al primo che ci dimostra un atto generoso, ecco che gli o le doniamo la cosa più incantevole che abbiamo a nostra disposizione. Siamo troppo frettolosi. Poco pazienti ed estremamente precipitosi. E così, non solo nella vita quotidiana, ma anche e soprattutto, nel mondo del calcio: numeri dieci regalati come se non ci fosse un domani, fasce da capitano distribuite come i tovaglioli a mensa, giocatori considerati talentuosi senza aver nemmeno toccato la categoria Primaverile. Troppo irriflessivi e poco razionali. Dobbiamo essere pazienti e meno utopistici; dobbiamo farci ammaliare più dai fatti e meno dalle emozioni. Non è un invito all’apatia, ma solo a rimanere più con i piedi per terra e navigare meno sulle nuvole. È difficile scegliere quella condensa soffice che non rischia di farci fare uno scivolone di 3000 metri. E, tra una nuvola e l’altra, il Presidente partenopeo, Aurelio De Laurentiis, sembra convinto di aver trovato quella giusta. Il suo nome? Victor Osimhen.

“Dio è buono”

Il 29 dicembre del 1998, praticamente alla pre-vigilia del nuovo anno, nella città di Lagos, in Nigeria, viene al mondo Victor Osimhen, anzi, per completezza, Victor James Osihmen. Il suo cognome significa “Dio è buono”, non un cognome a caso. I genitori vivevano nello stato di Eso, circa 1/6 della città natia del giovane, la città più grande dello stato africano. La situazione è drammatica: la famiglia è composta da otto persone, di cui i due genitori e sei fratelli. Victor è il più piccolo, ma nonostante la tenera età è quello che, più di tutti gli altri, dovrà apprestarsi a crescere. Mano nella mano con la mamma, che per portare qualcosa a casa, vendeva acqua in bustine ai semafori della città. Il sole cocente non solo la rendeva prettamente calda (anche se poco importava visto le condizioni di miseria) ma rendeva instabile anche la permanenza di aspettare tutte quelle ore con il rischio di portare a casa solo lacrime di tristezza. Quelle lacrime che verseranno sei anni dopo la nascita del piccolo, perché la mamma se ne era andata e tre mesi dopo il papà aveva perso il lavoro.

“My brother sold sports newspapers, my sister, oranges in the street and me, bottled water in Lagos in the middle of the traffic. We have to survive so we stick together”.

Il fratello vendeva giornali sportivi, la sorella, vendeva arance per strada e lui, aveva continuato il lavoro della mamma, in mezzo al traffico e per le vie della comunità dove risiedevano. Dovevano sopravvivere e, quindi, restavano uniti.

“In the evening, we were all together and we gathered the money on the table. We gave everything to our big sister and she made food and organized everything”.

La sera si riunivano tutti insieme e raccoglievano i soldi, mettendoli sul tavolo. Li davano tutti alla sorella più grande, che poi provvedeva a fare da mangiare e organizzare tutto. Un pezzo struggente che ci fa comprendere il valore simbolico che risiedeva nel cuore e nell’animo del ragazzo e come ci confermerà anche lui, dicendo che “part of my life has been a struggle to survive”, appunto, parte della sua vita è stata una lotta per sopravvivere. A sei anni, non solo aveva perso la sua figura più cara, ma doveva sostituirla, per portare quel poco che aiutava la famiglia. Ed ecco che, mentre trasportava acqua intorno alla sua comunità di Oregun, Ikeja (quartiere di Lagos), c’era una discarica nei dintorni, insieme alla scuola elementare di Olososun, dove accoglieva i ragazzi del posto. Proprio lì, in quel rifugio catartico, calcio e svago si incontrano, formando un binomio inossidabile: insieme a suo fratello Andrew, passavano i momenti liberi, liberi dal tempo, non dall’animo annebbiato dai pensieri e dalle frustrazioni, ad ammirare le stelle del calcio locale e a replicarle lì, proprio nei dintorni della discarica, dove nessuno poteva disturbarli.      Andrew dava lezioni a Victor e Victor replicava e lo faceva bene, molto bene.

“Sometimes you see, you found yourself with a Nike on the right foot and then you start looking for the other foot … And finally, you find the left foot and it’s a Reebok! […]”.

Qualche volta, ci dice Victor, ti ritrovavi con una Nike al piede destro e poi iniziavi a cercare qualcosa per l’altro piede…e finalmente, trovavi qualcosa per il piede sinistro ed era una Reebok!

In un piede la Nike e nell’altro una Reebok, Victor passava le giornate così, ad ammirare i talenti del posto, a imitarli su insegnamenti del fratello e, ad essere a sua volta ammirato, dagli scout che di tanto in tanto, facevano capolino alla comunità. Jean Gerard Benoit Czajka, una collaboratrice del suo attuale agente, lo nota, ci parla, incontra la famiglia e gli offre la possibilità di fare un provino per l’Ultimate Strikers Academy, una delle più importanti scuole calcio di Lagos. Niente Nike, niente Reebok, ma solo scarpini che gli ha dato lei, oltre che una piena libertà nell’esprimersi come avrebbe preferito. Victor va, corre, incanta e, con lui, anche la sua storia.

Un curriculum sterile ma impattante

Al Mondiale U-17 è un fiume in piena: 10 gol in 7 partite. Se prima era lui ad ammirare gli altri con il pallone, adesso erano gli altri ad ammirare lui. Segna ad ogni partita, battendo il record come attaccante più prolifico della Nazionale, tra l’altro anche minorenne. L’aveva buttata dentro in qualsiasi modo. C’era chi pensava che il talento gli scorresse nelle vene, c’era anche chi si faceva trasportare dal mito, dalla grazia divina, di fatti il cognome poteva presagirlo come ho scritto: Osimhen, “Dio è buono” e se c’era una mano superiore, questa l’aveva disegnato con il pennello.

Anche se non era il più tecnico della Nazionale (comprensibile l’età) firma un pre-contratto con il Wolfsburg. Le destinazioni c’erano, come anche il sogno Premier, ma l’umiltà di Victor lo portano ad essere ragionevole. Era necessario scegliere una squadra che lo facesse giocare, che gli desse fiducia con i minuti in campo e non solo con un contratto milionario. Arsenal e Inter quelle più agguerrite, ma non era il momento. Sceglie la Bundesliga, ma la fortuna non sceglie lui. Un infortunio lo mette k.o, rallentandone il processo di crescita e di ambientamento e, in sedici partite, nemmeno una rete. L’avvio nel mondo dei grandi non è quello che si potesse immaginare, ammesso e concesso che lo abbia fatto, perché il passaggio da osservare gli altri ad essere osservato dagli altri è avvenuto in maniera estremamente repentina.

Il Wolfsburg rimedia con Origi in prestito, per mandare Victor a farsi le ossa al Charleroi, una città del Belgio, situata in provincia di Hainaut. Lo stato tricolore – nero, giallo e rosso – si sa che sforna talenti, ma il nigeriano sembrava esser uscito da una camera di potenziamento: 20 gol, una carrellata, ma ancora con qualche limite tecnico. Un po’ stoppaccioso con gli stop e con il controllo, ma ottempera a queste perturbazioni con una linea realizzativa spaventosa. Il suo idolo è Drogba e, a vedere la vena realizzativa a quella tenera età, l’ivoriano risponderebbe “salute!”

Il Lille si presenta alle porte della squadra tedesca: una valigetta da 13 milioni per Victor. Senza pensarci due volte e con un “arrivederci e grazie” l’affare si conclude. Sbarca in Francia in un contesto che sembra esser il suo: Galtier, tecnico della squadra francese, lo esalta, lo rende a tu per tu con l’ambiente, in una fusione tra esaltazione della fisicità e velocità. Un metro e 86 di Victor Osimhen che corre all’impazzata, proprio come la collaboratrice Jean Gerard Benoit Czajka gli aveva chiesto. Galtier, verrà definito dal calciatore il suo “architetto della carriera” e che gli sarà per sempre grato. Con il Lille si crea la prima versione del giocatore, l’unica che possiamo conoscere e visionare, anche perché, è ancora in tenera età. In un anno, realizza 13 gol in 27 presenze in Ligue 1, un gol nella coppa di Francia, altri due nella Coupe de la Ligue e due in Champions. Una stagione encomiabile che termina con un comunicato:

“Il Losc Lilla è orgoglioso di aver contato nei suoi ranghi un giocatore e un uomo come Victor Osimhen, che ha dimostrato con la maglia del Lille tanto talento e ambizione quanto umiltà e professionalità. Il club lo ringrazia per tutte le emozioni offerte sotto i suoi colori ed è soddisfatto di aver potuto sostenere i suoi progressi e partecipare al suo sviluppo ai massimi livelli. Buon viaggio, Victor. Ovviamente sarai sempre il benvenuto allo stadio Pierre Mauroy”

De Laurentiis ne rimane incantato, e regala alla sua amata Napoli un gioiello dal valore di 70 milioni (in cinque anni) e altri 5 di bonus: è sbarcato Victor Osimhen.

Studiamo Victor

Come ho scritto prima, un metro e 86. Medio-alto, ma quando corre diventa inarrivabile. Eppure non si direbbe: è molto difficile che un giocatore alto converga la sua miglior dote nella velocità. Sì, perché nelle partite con il Lille (ma è un tratto distintivo che si porta dietro da quando è piccolo) traeva beneficio nella corsa. Ovviamente i difensori potevano provarle tutte, ma dinnanzi alla prova di velocità, Victor è il numero uno. Con il Lille, il tecnico Galtier, lo farà giocare sull’esterno, per poi farlo virare nella zona centrale dell’area di rigore avversaria. Il compito è smarcare i difensori. Impresa facile: allungo del pallone e via, il gioco è fatto. Sembra Gervinho detta così, ma il nigeriano segna pure. Tanta quantità sul piano offensivo, ma la qualità scarseggia. Gli stop sono basici, senza quello sforzo in più che gli denotano un po’ più di classe, insomma, rustici e poco raffinati e, a volte, flebili, tanto da perdere il pallone. Se gioca spalle alla porta, insorgono le difficoltà. E qui mi chiedo: perché il Napoli ha investito una cifra tale per un nove che non sa giocare da nove? Ci arriveremo più tardi. Victor non è un 9 da collettivo, non a caso quello che ha definito l’architetto della sua carriera, lo ha fatto giocare esterno. Questo perché, non appena provasse a giocare da attaccante sponda (un metro e 86 sono più che sufficienti), Osimhen perdeva la sua naturalezza e, con lui, anche la precisione nei passaggi: questi, di poco superiori al 60%. Non solo, anche il dribbling non è contrassegnato da una spunta verde: 0,6 riusciti e 0,8 falliti, dati che dimostrano quanto azzecchi la velocità, ma non la qualità.   Ora, oltre i gol, che abbiamo visto che li sa fare, spostiamoci negli smarcamenti, altro elogio da fare al giocatore. Il mister della squadra francese ha sempre prediletto il 4-4-2 o il 4-2-3-1 come moduli preferiti, il che denotava una maggiore attenzione nella fase di transizione e una verticalizzazione verso le punte o la punta. In questo, il giocatore in questione, è estremamente disinvolto: taglia dietro le linee dei difensori, come un razzo invisibile ai sistemi percettivi e, nel caso lo vedessero, sarebbe già troppo tardi. Il tempo di smarcamento dell’ultimo difensore è perfetto, come la sua fase realizzativa quando viene chiamato in causa. Davanti al portiere governa la freddezza e la precisione, ma senza dimenticare i numerosi movimenti attuati precedentemente: il modulo gli era amico, ma i movimenti senza pallone sono un’abilità da non sottovalutare. Crespo a Borghi disse: “quello per cui vive un attaccante è il primo palo. Per sopravvivere devi mangiare il primo palo”. Beh, posso dirvi che Victor, è uno di quelli.

Perché il Napoli?

La squadra partenopea ha sempre avuto un numero 9 che lavorasse per la squadra. Cavani, Higuain, Milik, Llorente, insomma, di giocatori che accompagnano la manovra e che diano ampie ripartenze alle ali ce ne sono stati. Ma con l’acquisto di Osimhen tutto sembra cambiare, tutto sembra portare verso quel cambio di politica che accantoni quel tipo di gioco. L’ultimo, Milik, che ormai è sul piede di partenza, complice anche l’acquisto del nigeriano, non è mai riuscito ad imporsi. O meglio, la tecnica c’è, il sacrificio per la squadra anche, le sponde pure, il problema è l’incostanza, subissata dagli infortuni che non hanno mai lasciato libera dalle catene la sua mente. Questo conta, ma contano anche le statistiche. Quest’anno il polacco non è mai riuscito ad imporsi e il mal di stomaco sul rinnovo è sempre arrivato d’estate e questa, sembra quella giusta per salutare il San Paolo. In un mare magnum di confusione subentra Victor, ma con un cambio di passo, proprio come il suo. Per far giocare bene il talento della Nigeria, bisogna costruire un modulo intorno a lui e fare in modo che gli altri lo accompagnino nella fase di transizione, sfruttando le sue ampie falcate, beneficiando della sua corsa arrembante e senza ostacolargli il percorso. Come se bisognasse giocare al contrario rispetto a quando la zona veniva calcata dal classico numero 9. Bisogna aumentare le fasi di transizione e di verticalizzazione: non più giocando con l’attaccante alle spalle, attendendo le sponde e lanciando le ali, ma servendo il neo-attaccante in profondità, con lanci anche lunghi, ma che siano diretti a lui. La corsa la può sfruttare tranquillamente e, senza ombra di dubbio, vedremo tanti cartellini gialli tra le file difensive avversarie. Rimane il problema modulo. Gattuso, in questi test precampionato, ha giocato con il 4-2-3-1, guarda caso il modulo adottato da Galtier per esaltare Osimhen. Non solo, ma il tecnico di Corigliano Calabro, ne gioverebbe con il belga alle sue spalle: Mertens e Victor in un modulo unico, senza metterli in contrasto, ma con l’idea di far nascere un’accoppiata vincente. I movimenti hanno funzionato e, il giocatore, ci ha messo tutto in queste partite: gol qualche giorno fa (ha preso anche un palo) e tripletta in otto minuti contro l’Aquila. I presupposti ci sono, le fondamenta anche. Giocare senza Mertens porterebbe alla squadra meno qualità in fase offensiva, con il belga, allora l’appeal sale. L’importante è costruire un modulo per il nigeriano e un gioco fondato sulle verticalizzazioni che lo lancino verso la porta. Non ci si può aspettare un giocatore che faccia sponde, abbiamo letto che le percentuali di passaggio non sono a suo favore. Se la squadra gira intorno a lui, allora il giocatore potrà trovare la vena realizzativa, se invece è un anno di adattamento allora toccherà attendere. Fatto sta che una spesa del genere, non può presagire che il giocatore sia venuto a Napoli per uno stage, ma che sia stato acquisito a tempo indeterminato.

Le perplessità

70 milioni, razionati in 5 anni e altri 5 milioni di bonus. Un’operazione che, per la cifra spesa e che si spenderà, le perplessità sembrano non esistere. Eppure, qualche punto interrogativo rimane. Victor l’abbiamo studiato: qualità realizzativa, tanta velocità, inserimento nelle linee e capace di trovare il varco giusto, sfruttando l’unica disattenzione dei difensori. A questo vi aggiungo anche tanta caparbietà nel gioco aereo, in grado di anticipare i saltatori, anche se al Lille, non ha trovato nessun gol aereo. Spostandoci sul fronte Napoli, Osimhen è il nuovo 9, quello che già ha fatto trasalire dalla sedia i quasi 1300 tifosi presenti all’allenamento e all’amichevole contro l’Aquila: ad ogni suo gol o ad ogni suo tocco, era l’apoteosi. Giusto, comprensibile. Ma non dimentichiamoci che a Napoli rimane centrale pur sempre Mertens. Il belga, 33 anni a maggio, è il giocatore più tecnico della rosa. Il modulo si è sempre adattato alle sue capacità e la stagione in cui Milik stava fuori per il crociato, Sarri l’ha messo al posto del polacco, facendogli fare una valanga di gol. Adesso? Il modulo si continuerà a basare su Mertens o su il nuovo arrivato? 4-2-3-1 per farli giocare assieme, ma se c’è qualche problema tecnico, chi si adatterà a chi? Il 4-3-3 potrebbe essere un’altra alternativa, ma il nigeriano predilige essere l’unica punta per sfruttare le sue ampie falcate gli inserimenti alle spalle della difesa. Il modulo sarà fondamentale.

Altro aspetto cruciale. Osimhen è un imperatore dei 16 metri, dice Borghi, ma fuori non è il suo ambiente. Le percentuali di passaggio sono quelle che sono, in area di rigore è un mostro, ma per la manovra offensiva c’è tanto da migliorare. Lui non nasce come numero 9 spalle alla porta, in grado di spingere le ali; non nasce per far sponde e mettere in moto la squadra; non nasce per avere quella peculiarità di palleggio, cosa che formava gli altri 9 del Napoli negli anni passati. Al referto segna 21 anni e mezzo, è ’98, ma di dicembre e non è da sottovalutare. Le possibilità di miglioramento ci sono e come, ma tutto dipenderà da mister Gattuso. Sceglierà di lanciarlo con delle verticalizzazioni come il Lille, oppure di cominciare ha instaurare un rapporto dialettico con la vera skill dei centravanti con il 9 sulla maglia? È un aspetto molto importante e che dovrà far riflettere il mister. L’uno compensa l’altro, ma con delle note negative. Se Ringhio vorrà portarlo a diventare un 9 per la squadra, allora aspettiamoci di vedere un Victor impacciato, perché nonostante il metro e 86, nonostante lo strapotere fisico, la sua tecnica, da questo punto di vista, vacilla un pochino. In tal caso, toccherà attendere una fase di completezza maggiore, senza aspettarci un attaccante dai 20/25 gol stagionali, ma che maturerà con il tempo. Un’attesa a lungo termine che lo porterà ad essere un centravanti fortissimo. Se invece, l’obiettivo del mister è lasciarlo così com’è, sfruttando l’abilità della corsa e degli inserimenti, aspettiamoci un Victor che segna, che fioccheranno tantissimi gialli tra le fila difensive e che, la freddezza in area di rigore, lo porti anche sulla rotta dei 15/20 gol. Non dico di più, perché in Italia si è un po’ più tecnici e con le difese ben impostate, ma comunque troverà sempre il varco giusto, su questo sono sicuro.

Tanta partecipazione individuale ma poca corale, aggiunge il telecronista di DAZN. Non solo fuori l’area di rigore, ma anche dentro. La palla se la prende, aggredisce, pressa. Ringhia su ogni pallone, ma per se stesso non per i compagni. Anche qui, aspetto su cui lavorare.

Infine, tanti soldi spesi. Una valanga, considerando l’età. De Laurentiis se ne è letteralmente innamorato, altro che cotta, e i napoletani sono infatuati ogni volta che si muove tra le linee. Vanno in visibilio quando il pallone è sotto la sua suola. Ma rimane pur sempre un giocatore pagato quasi 80 milioni di euro. Il tutto viene alleggerito perché è dilazionato in cinque anni, ma, rate o non rate, la somma è quella. Il giocatore è forte, dove nessuno riesce a pareggiarlo sulla corsa. Tanti aspetti da migliorare, ma la cosa fondamentale ce l’ha: la butta dentro. Gli è stata data fiducia, lui non sente il peso del cartellino, anzi, pensa di far benissimo, con il sogno nel cassetto di diventare una stella del Real Madrid. Gran parte del suo si è già avverato, ora è tempo di scendere in campo, quello che sarà lo specchio della verità per la stagione avvenire.

Razzismo e dubbi sull’Italia

Osimhen è un ragazzo felice. Lo è perché ha avvertito sin da subito che qualcuno credeva in lui, sin dai tempi dell’Ultimate Strikers Academy. Anche Ringhio e De Laurentiis hanno creduto in lui, il tutto culminato con l’intuito di Cristiano Giuntoli che ha saputo trattare con la società francese. Lui è diventato Patrimonio del Napoli e ogni volta che tocca il pallone si alza la ola nel pubblico. Ammirano le falcate del giocatore, gli allunghi, gli inserimenti e gli strappi cocenti ai difensori. Tre gol in otto minuti e poi quella freddezza e quella lucidità sotto porta. L’acquisto più costoso della storia partenopea, eppure, tutta questa pressione non la sente.

<<Sono stati come padri, mi hanno dato consigli preziosi per farmi sentire a mio agio, come a casa, ed ho avuto un’accoglienza importante dai tifosi>>.

La chiamata del presidente e le rassicurazioni di Koulibaly. I dubbi di Victor erano tanti sulla questione razzismo:

<<Si, ero scettico sull’Italia per la questione razzismo, ma ho scoperto che Napoli non è così. Ho visitato la città con i miei occhi ed il mio punto di vista è cambiato. Purtroppo il razzismo è ovunque, non sarà un limite per me e sono certo che con l’affetto dei tifosi supererò tutto>>.

Il fatto che un tema del genere, porti dubbi ai giocatori che scelgono come meta per la propria carriera l’Italia, è una cosa tremenda, come tremendo è il fatto stesso che nel 2020 ancora persistono episodi del genere. Il senegalese l’ha rassicurato sul fatto che Napoli è tutto tranne che razzista. I tifosi, se gli dai la voglia, la grinta, la passione della città, loro ti danno l’anima, sapranno come ripagarti. Napoli è una città magnifica, con un impatto emotivo strepitoso: non sai da dove proviene, ma quando arrivi lo senti. Lo senti tra i quartieri, tra i monumenti, tra il calore della gente. Napoli è casa, e Victor, si è sentito a casa.

Poi le rassicurazioni tecniche del mister, con la prospettiva di farne il punto centrale del progetto. Prospettiva non significa presente. Il presente è Mertens, quello che più ha segnato a Napoli. Comprensibile direi. Ma comunque, come scritto prima, l’idea è di farli giocare assieme, facendone un Napoli ultracompetitivo. Un giocatore preso dall’entusiasmo e pronto a giocare ovunque, anche in ruoli non suoi:

“Essere qui è un sogno che si realizza, mi piace giocare come punta, ma posso giocare in qualsiasi ruolo e sono felice essere a Napoli con compagni fantastici>>.

Infine, la promessa:

<<Mi hanno detto della rivalità con la Juventus, ho ricevuto una raccomandazione da parte dei tifosi che mi hanno chiesto di battere i bianconeri. A loro posso dire soltanto che sarei felice di batterli, magari con un mio gol>>.

Siamo tutti in fibrillazione per questo ragazzo. Lui come noi per dimostrarci il suo potenziale. L’ombra del Covid aleggia sull’inizio del campionato, anche se Gianni Nanni, responsabile sanitario del Bologna e rappresentante dei medici sociali della Serie A nella commissione medica della Federcalcio, tiene a precisare che la situazione è sotto controllo.

“Dio è buono”, questo significa Osimhen nel dialetto nativo di Ishan, un gruppo etnico che vive in alcune zone a sud della Nigeria. Se ci sia o meno la mano divina che abbia segnato il percorso di vita di questo ragazzo, non lo possiamo sapere, ma ciò che è certo, è che il giovane ha talento, è pronto. Un animo buono, rimasto ancora con la mente e con il cuore in quella scuola, dove tutto è iniziato, dove il fratello Andrew gli faceva conoscere il pallone. Adesso è qui, al San Paolo, con migliaia di tifosi che, da casa o su gli spalti, urleranno Victor, il suo nome. Victor, accompagnato da Osimhen, che ne ha fatto un ritratto meraviglioso.