Stasera ci sarà un grande evento di sport che seguirò con attenzione, sperando che sia anche l’occasione di assistere ad uno spettacolo degno di una partita attesa da milioni di appassionati, non solo dai tifosi. Infatti non sono Juventino, né tifo contro.
Tuttavia, da italiano, mi auguro che i bianconeri passino il turno, ma fino ad un certo punto. Perché se poi l’Ajax, come all’andata, domina la Juve con un calcio piacevole e dimostra di meritare il passaggio del turno, non avrò problemi a sperare che il risultato premi la prestazione. Ma la Juve è più forte nei singoli e per l’esperienza del gruppo, e non solo. Perché, come abbiamo visto nella partita di ritorno contro l’Atletico, sa anche giocare un gran calcio, all’occorrenza. E in Europa servono questo tipo di partite. Eppure, l’attitudine di Allegri a “gestirla” più che a giocarla, ha generato più rimpianti che gioie nelle coppe. In Italia, invece, la prepotenza fisica dei bianconeri, associata alle qualità tecniche di una rosa stratosferica, basta e avanza per umiliare la concorrenza.
E gli arbitri non c’entrano nulla, anche se la sudditanza psicologica esiste nel calcio come nella società, un automatismo malsano che condiziona un giudizio equo in determinate circostanze. Che poi, chi spesso in Italia si erge a vittima sacrificale per i torti subiti dallo strapotere Juventino – anche a ragione – sono gli stessi che ne beneficiano per buona parte del campionato come se tutto gli fosse dovuto. Naturalmente parlo di grandi club. Perché se parlassero i tifosi delle piccole, che devono faticare il doppio e subiscono “furtarelli” su quasi tutti i campi, avrebbe molto più senso. Ma ripeto, succede ovunque e quindi anche nel calcio. Un merito in più per chi parte leggermente sfavorito e raggiunge, comunque, gli obiettivi prefissati.

Detto ciò, una Juve che porta a casa - a mani basse – anche l’ottavo scudetto, è un modello vincente. Un riferimento nazionale per tutti, ma forse non proprio un esempio da seguire. In fondo, la Juve vince facile, ma con una rosa dove anche le riserve sono più forti di molti titolari tra gli avversari (ad eccezione della prima Juve di Conte, inferiore al Milan di Allegri). E con una società di livello internazionale. Tuttavia, chi vince fa scuola. Di conseguenza, il calcio ragionato, ovvero speculare, di cui Allegri ne è il massimo esponente, è il trend vincente da scimmiottare dalla A alla Lega Pro, passando per le giovanili. E poco importa se il calcio internazionale va in ben altra direzione e noi restiamo maestri a casa nostra. Non sono mica una casualità i risultati pietosi dei club in Europa e una nazionale che non fa più paura a nessuno. Il problema è che il calcio aziendale della Juve è sì produttivo, ma non è imitabile, nemmeno esportabile (con buona pace di Agnelli). Non si può immaginare un Frosinone o un Chievo vincere senza un’adeguata organizzazione di gioco, provando a dominare l’avversario “difendendosi” o puntando esclusivamente sulle giocate dei singoli per risolverla.
E nemmeno serve lo Stadio, Marotta, Conte o i parametri zero. Almeno non solo. La Juve, con il suo dominio, sta generando più confusione che certezze tra chi tenta di imitarla. Il problema è che il calcio non è solo sport, ma è anche una macchina ben oleata che produce denari in gran quantità. Ciò nonostante, la visione utilitaristica di questo sport non ne rappresenta la soluzione.
Se il calcio è lo sport più diffuso al mondo è per le logiche di spettacolo ad esso associate. Se pensiamo di limitarle o, peggio, di escluderle, diventa dannoso anche per chi campa da nababbo in un mondo dorato e ovattato per la passione di tutti noi. L’esasperazione del risultato a scapito del divertimento può andar bene in azienda, ma non è produttivo nello sport. Un calcio tutto tattica varrebbe la bellezza di una partita di scacchi, tutta tecnica un’esibizione da circo. Il connubio fra queste due componenti porta al risultato che va bene a tutti, dalla società agli appassionati. Che poi, chi gioca meglio e in maniera spettacolare ha più possibilità di vincere rispetto a chi applica, al calcio, cervellotiche alchimie prevalentemente tattiche.

Per quanto precede, sarebbe auspicabile spogliare questo bellissimo sport da logiche che ne zavorrano la crescita, avviando una ristrutturazione globale della visione del calcio nostrano, ormai tristemente desueta. Paradossalmente, c’è più gusto ad assistere ai programmi sportivi in TV tra una rissa verbale, un paio di tette e la classica polemica sugli arbitri, che andare allo stadio.
Addirittura si pensa alla partita come una pausa mistica, utile solo ad ispirare ore frenetiche sui social come un’arena virtuale per fagocitare insulti, verdetti e verità.
Riportiamo la chiesa al centro del villaggio, e lo spettacolo al centro del rettangolo di gioco. Ne vale la pena e conviene a tutti.