A oramai più di una settimana in isolamento coatto, guardare il mondo da una semplice finestra è diventata una triste abitudine.
Eppure, per quanto la cosa mi angusti, più volte in questi giorni mi è capitato di pensare come, attraverso quel sottile vetro, per la prima volta stia vedendo la realtà. In quanto esseri fatti di carne e sangue, la nostra vita è un immenso collage di emozioni. Noi viviamo attraverso le nostre percezioni, le quali si tramutano in qualcosa di più alto e astratto, come appunto le emozioni e i sentimenti. Gioiamo e piangiamo. Ridiamo e imprechiamo. Esultiamo e ci disperiamo. A volte non ne sappiamo nemmeno il reale motivo. A volte basta un ricordo, per quanto lontano e sfocato, a scatenarci un turbinio interiore. E per quanto tale possa essere stupendo o doloroso, emozionante o pauroso, dentro di noi sappiamo che saremmo disposti a tutto, pur di non farcelo portare via. Perché è un po’ quella certezza che ci conferma che siamo vivi, che esistiamo, che viviamo. Realtà è infatti un termine, a mio modo di vedere, forse un po’ troppo sopravvalutato. Possiamo illuderci quanto vogliamo che ne esista solo una, concreta e oggettiva. Eppure in alcuni momenti, quando siamo soli, isolati, questa certezza va in frantumi e ci accorgiamo come, in verità, la realtà sia ciò che i nostri occhi, le nostre orecchie, forse le nostre stesse emozioni vogliono farci vedere come tale. 

Attraverso quella finestra c’è spesso silenzio.
Passano intere ore tra un passante e l’altro, tra un auto e quella successiva. Ma per quanto ciò mi possa apparire surreale, fasullo, più i giorni passano più mi sembra di vedere per la prima volta il mondo, quello vero. Attraverso quella finestra infatti non si percepisce più quel rumore di fondo, non fatto solo di suoni, ma anche di immagini e pensieri che per molto tempo, probabilmente troppo, ci hanno illuso. Illuso perché, soporiferi, hanno reso dormiente la nostra capacità di andare oltre le apparenze, di vedere al di là di molti concetti precostituiti che ci vengono insegnati da bambini, ma anche nell’età adulta. 
Umberto Galimberti, psicoterapeuta e filosofo che seguo sempre, spesso ripete una cosa molto importante. Siamo educati al rispetto delle norme, alle regole dell’etichetta e della moda, ma sempre più spesso ci dimentichiamo di educare, ed educarci, alle due cose più importanti: l’emozione e il sentimento. Perché se è vero che questi sono i veri codici attraverso cui leggiamo e interpretiamo la realtà, senza di essi perdiamo ogni cosa. Nella vita “normale” di qualche settimana fa che cosa era infatti “importante”? Era importante essere sempre al meglio, essere alla moda, mostrare ciò che per la società contava più di tutto, che lo spread fosse basso, che la borsa volasse, che il “mio” orticello fosse florido, di quello degli altri poco importava. Ma per quanto queste cose fossero importanti, necessarie addirittura, si sono dissolte come neve al sole non appena l’emergenza ci ha colpiti. È bastato relegarci dietro quattro mura, a mettere il nostro naso dietro quella finestra, che qualcosa è cambiato. Abbiamo cominciato a provare paura. Paura per noi stessi, per i nostri cari, per il futuro che forse non sarà mai come il passato. Ecco la paura è forse quell’emozione che tutti impariamo, nostro malgrado, da subito. È il sentimento che ci accompagna al momento della nascita, quando nell’ignoto veniamo immersi dopo nove mesi di una “certezza” ovattata. La cosa bella è che quella paura però finisce presto. Finisce quando incontriamo gli occhi della mamma. Anche se non siamo ancora in grado di vederli bene, qualcosa dentro di noi ci dice che sono fonte di sicurezza, di amore e di calore. 

Sì, attraverso quella finestra abbiamo provato paura. Chi più, chi meno. Ma quella paura finisce prima o poi. E quando ciò avviene, improvvisamente riscopriamo lati di noi stessi che credevamo non conoscere, in alcuni casi addirittura non esistere. Per quanto limite fisico, quella finestra ci ha aperto le porte di un mondo più vero, quello nostro interiore. Quello che ritorna a essere visto non più attraverso i cliché, le false abitudini e forme di pensiero oramai prive di senso, ma attraverso le emozioni e i sentimenti. Al di là dei meme, le catene di sant’Antonio e i flashmob social, la nostra mente vola verso coloro che il Coronavirus lo hanno subito non solo socialmente. Vola verso i medici e gli infermieri che oramai hanno perso la concezione del tempo, portando avanti la loro missione nonostante la stanchezza e il raccapriccio. Vola verso coloro che non abbiamo mai visto o conosciuto. Persone che purtroppo il Coronavirus non solo li ha colpiti, ma se li è portati via. E lo ha fatto nel silenzio e in solitudine, lontano dagli sguardi e dalle carezze dei loro cari. Se ne sono andati da soli e questo ha colpito tutti, o almeno la maggior parte di noi. E, sebbene non li abbiamo mai conosciuti, il nostro pensiero è andato, e va tutt’ora, a loro. Un pensiero sincero e non di semplice circostanza, perché attraverso quella finestra abbiamo riscoperto che non è vero che viviamo solo per noi stessi. Non è vero che è solo il nostro orticello a contare. Nessun uomo è un’isola, dice Bon Jovi nella stupenda Santa Fe, ed è vero. Ci è voluta una vera e propria catastrofe, ma alla fine ce lo siamo ricordati tutti, attraverso quella finestra.

Come dunque avrete capito, questi giorni di isolamento sono stati e saranno sostanzialmente giorni di riflessione.
Certo, ho la fortuna di lavorare in smartworking, di avere mia moglie in “ferie forzate” e di potermi godere il suo pancino in crescita (ebbene si, aspettiamo un bimbo), di un po’ di calma. E ovviamente della scrittura, su questa piattaforma, così come quella dedicata alla mia seconda raccolta di racconti.
Detto ciò, sino a fine emergenza continuerò a guardare attraverso quel vetro. Lo farò nella speranza che, finita l’emergenza, a passare sia solo la paura. Perché in fondo essa ci ha ricordato come siamo ancora in grado di pensare al prossimo, di aiutarci a vicenda, di fare piccoli sacrifici per la comunità, di come siamo circondati di persone meravigliose, di come siamo in grado di piangere per la scomparsa di persone che nemmeno conosciamo. Ci ha ricordato che siamo migliori di quello che siamo stati, che c’è qualcosa che conta di più di tante cose che, appena qualche settimana dopo, facciamo fatica a rammentare. Sperando che questa  nuova consapevolezza, una volta finita l’emergenza e passata la paura, non sparisca anch’essa. 


Dedicato a coloro che non ci sono più, ma che saranno sempre nei nostri pensieri e nei nostri cuori. Dedicato a coloro che lottano per noi negli ospedali. Dedicato a noi. 

Un abbraccio.

Novak



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