Diario azzurro: Italia-Grecia

In due anni la Nazionale è passata dalla non qualificazione ai Mondiali alla qualificazione matematica, con tre turni d’anticipo, ad Euro 2020, a punteggio pieno dopo otto giornate; da zero goal fatti e uno subito in due partite contro la Svezia, a venti fatti e 3 (solo) subiti nei gironi di qualificazione all’Europeo. A chi critica il livello degli avversari bisogna dire che di gironi, oltre a quello comprendente Germania e Olanda, che comunque hanno avuto la qualificazione in tasca già da prima di cominciare, non ve ne sono di più ardui. Nonostante ciò, noi e il Belgio (che occupa il primo posto nel ranking FIFA) siamo le uniche squadre a punteggio pieno: la Francia, campione del mondo, è seconda alla Turchia, la Spagna ha pareggiato contro le scandinave Norvegia e Svezia, l’Inghilterra ha ceduto con la Repubblica Ceca, il Portogallo, campione europeo in carica, è sotto negli scontri diretti con l’Ucraina di Shevchenko. Direi che forse non era così scontata questa situazione per l’Italia, che fino a un anno fa vinceva col sudore contro l’Arabia Saudita. Merito delle certezze ritrovate, come Belotti e Verratti, ma soprattutto di Roberto Mancini, che ha pensato prima a portare vittorie, che i tifosi richiedevano, nelle amichevoli pre-mondiale, poi il bel gioco in Nations League, dove i risultati sono venuti un po’ meno, e infine unendo il tutto per le qualificazioni, momento decisamente più importante.

Arriviamo a Italia-Grecia, la partita più importante da quella contro la Svezia. Io, che la Nazionale l’avevo vista solo in televisione, il biglietto l’ho comprato. Perché io sono di quelli a cui piace veder giocare l’Italia, nonostante abbia perso fascino con il tempo. La sosta per la Nazionale non dovrebbe essere un ostacolo per i tifosi, che vengono privati del più avvincente campionato, ma dovrebbe rappresentare un momento in cui vengono messe da parte le “ostilità” fra i club per fare spazio a un sentimento comune a tutti. Purtroppo mi rendo conto che con il Sansirazo (come mi piace denominare la notte del 13 novembre), i tifosi hanno cominciato a sentire maggiormente la nostalgia che fino a quel momento era rimasta celata negli animi.

Tornando al presente, dicevo prima: Curva Nord, la curva della Lazio. Anche essendo romanista al 110%, non ci faccio caso: quando gioca l’Italia, anche io divento azzurro. Ho scelto la terza fila, così da poter vedere da vicino i miei idoli. Non l’avessi mai fatto. A pochi minuti dal fischio d’inizio vedo scendere dalle gradinate un gruppo di circa dieci uomini. L’unico temibile fisicamente li guidava. Si fermano a cinque metri da me, e mi accorgo subito che non sono di quelle genti con cui discutere amorevolmente, soprattutto dallo sguardo di timore che gli rivolgono gli addetti alla sicurezza. Erano ultras (della Lazio, ma non è un dettaglio rilevante), i padroni dello stadio, che trattano come la loro residenza personale, e dove tutti gli altri tifosi sono ospiti.

Da lì quelli che sarebbero dovuti essere novanta minuti piacevoli si sono tramutati in un’alternanza si situazioni fastidiose e di vergogna, nel senso peggiore dei due termini. Una su tutte ha suscitato in me le più forti e peggiori emozioni: la scena di questi pseudo-tifosi che recitano l’inno di Mameli facendo il saluto fascista, o romano, come preferiscono chiamarlo. In quel momento avrei preferito essere in qualunque altro luogo. Se l’Italia fosse sacra, sarebbe stata una bestemmia bella e buona. La sorpresa più grande, poi, è stata la reazione degli altri tifosi, i quali anziché fischiarli si sono omologati. Mi sentivo solo, e talmente ero convinto di avere ragione che in alcuni momenti ho pensato di avere torto. In quel momenti mi è tornata alla memoria una storia:

Un potente stregone, con l'intento di distruggere un regno, versò una pozione magica nel pozzo dove bevevano tutti i sudditi. Chiunque avesse toccato quell'acqua, sarebbe diventato matto.

Il mattino seguente l'intera popolazione andò al pozzo per bere. Tutti impazzirono, tranne il re, che possedeva un pozzo privato per sé e per la famiglia, al quale lo stregone non era riuscito ad arrivare. Preoccupato, il sovrano tentò di esercitare la propria autorità sulla popolazione, promulgando una serie di leggi per la sicurezza e la salute pubblica. I poliziotti e gli ispettori, che avevano bevuto l'acqua avvelenata, trovarono assurde le decisioni reali e decisero di non rispettarle.

Quando gli abitanti del regno appresero il testo del decreto, si convinsero che il sovrano fosse impazzito, e che pertanto ordinasse cose prive di senso. Urlando si recarono al castello chiedendo l'abdicazione. Disperato, il re si dichiarò pronto a lasciare il trono, ma la regina glielo impedì, suggerendogli: - Andiamo alla fonte, e beviamo quell'acqua. In tal modo saremo uguali a loro -. E così fecero: il re e la regina bevvero l'acqua della follia e presero immediatamente a dire cose prive di senso. Nel frattempo, i sudditi si pentirono: adesso che il re dimostrava tanta saggezza, perché non consentirgli di continuare a governare?

La calma regnò nuovamente nel paese, anche se i suoi abitanti si comportavano in maniera del tutto diversa dai loro vicini. E così il re poté governare sino alla fine dei suoi giorni.

                                                           (tratto da “Veronika decide di morire”, Paolo Coelho, 1999)

 

Forse è vero che se tutti la pensassero allo stesso modo, anche se sbagliato, la vita andrebbe avanti in armonia per tutti. Ma in questo caso, collegando le mie esperienze con il saluto fascista agli insulti razziali di ogni genere (e che qualcuno provi a negare che le due cose non sono strettamente in relazione), vi sono dei diretti interessati che ne subiscono le conseguenze. A quanto pare, poi, questo argomento interessa a tutti, dalle federazioni ai politici che non hanno nulla a che vedere con lo sport, ma nessuno lo dimostra. Come si usa dire in questi casi: tutti parlano e nessuno dice niente.