Nel 2002 la Supercoppa Italia che vide in scena Juventus e Parma, si disputò a Tripoli, nella Libia all'epoca sotto il controllo di Gheddafi. In tutto lo stadio vi erano solamente sette donne, tutte addette ai lavori. Manco a dirlo, erano tutte italiane. La cassa di risonanza fu bassa, proclami sulla pari opportunità non erano all'ordine del giorno, forse anche a causa dell'assenza dei social. Diciassette anni dopo è cambiata la geopolitca e con essa gli argomenti sulla tavola da prendere e discutere. Numerose azioni sono state intraprese per contrastare un fenomeno increscioso quale la violenza sulle donne, molto è stato fatto per promuovere la parità di genere in un Paese membro del G7 e del G20, ancora però lontano dal favorire l'uguaglianza sostanziale come prevede l'Art. 7 della Costituzione.

A metà novembre la Lega di Serie A promosse una bellissima iniziativa contro la violenza sulle donne: tutti parteciparono, anche noi che abbiamo il compito e il dovere di fornire la più ampia, completa e trasparente informazione. Dopo un mese e mezzo, l'ipocrisia. La finale di Supercoppa Italiana tra Juventus e Milan in programma a Jeddah sarà ospitato da un Paese in cui le donne possono entrare (forse) allo stadio solo esclusivamente se accompagnati da uomini. Di fatto, la Lega Serie A scrive nel comunicato di presentazione della finali, che ci saranno “settori riservati agli uomini”. Senza un minimo di vergogna. Ne uscirà più ricca certamente, ma non mostra segnali di cambiamenti e rinnovamento, come se pensasse di poter salvare la propria industria solamente dal dio denaro, accantonando elementi fondamentali quali valore ed etica. Insomma, la guancia la segnamo con il rossetto rosso - tutti noi, nessuno escluso - quando serve e per questioni di opportunità.

Divampano le polemiche, ma proprio qui risiede l'ipocrisia. Fermo restando che io sia d'accordo su tutto, ovvero nello sdegnarsi di fronte a obbrobi del genere, una domanda mi sorge spontanea: perché l'indignazione generale non c'è stata illo tempore, quando fu ufficializzata la collocazione della Supercoppa Italiana nella potentissima Arabia Saudita, tra i maggior partner commerciali dell'Italia, ma abbiamo dovuto aspettare un comunicato vergognoso per smobilitare l'opinione pubblica? Al tempo non eravamo a conoscenza delle condizioni in cui vivono le donne in quel paese, quindi la prevedibilità di un provvedimento atto a limitare ancora una volta la libertà delle donne stesse? Chiariamo, l'interesse economico non può essere messo da parte, così come le usanze, i costumi e le tradizioni di un paese diverso dall'Italia qualsiasi esso sia, a torto o a ragione, ma la scelta di disputare la finale a casa di chi non ha ancora chiarito cause reali circa la morte orrenda del nostro collega Khasshogi è davvero in linea con il sistema culturale italiano?

La palla passa al nostro movimento calcistico impegnato a fare il punto della situazione, proprio in un momento storico nel quale ha la possibilità di dare la svolta definitiva a una questione che sta diventando sempre più spinosa. Abbiamo l'opportunità di lanciare un monito e favorire per davvero, partendo dallo sport, la parità di genere: rendere il calcio femminile professionistico. Il mondo si evolve ed offre straordinarie potenzialità, quello del calcio donne ha visto accrescere l'interesse di molteplici club quali Fiorentina, Juventus, Milan, Roma e timidamente altre realtà di Serie A. Il futuro del nostro movimento non può passare trascurando un processo inevitabile e genuino, deve intraprendere la strada verso il buon senso perché, come tutti gli altri sport, anche il calcio ha bisogno del mix tra donne e uomini.

Il professionismo delle donne è un argomento che va preso sul serio. Qualificazione ai Mondiali 2019 a parte, conquistata comunque egregiamente dalle ragazze agli ordini del ct Milena Bertolini, molti fattori sono cambiati sia dal punto di vista pratico grazie al crescente aumento delle tesserate, sia da quello mediatico con i diritti tv dela Serie A femminile acquisti da Sky. Questo è il momento giusto per cambiare le regole e rendere giustizia a una realtà sempre più grande e autorevole, cominciando a garantire contratti e pianficazioni a lungo termine. E anche la mentalità del "calcio una cosa da uomini" va soppiantata: qui spetta anche a noi addetti ai lavori fare la nostra parte.

 

Andrea Cardinale