La giornata di ieri ha sancito l’esclusione della Roma dalla lotta per un posto in Champions.
Tuttavia, bastava aver visto all’opera la squadra nelle ultime tre partite, quelle giocate sotto la guida tecnica di Ranieri, per avere una chiara percezione dell’ineluttabilità di tale epilogo.

Pallotta, sembrerebbe dietro consiglio di Baldini, aveva deciso di silurare Difrancesco e con lui Monchi, che si era speso sino all’ultimo per difenderlo, all’indomani dell’eliminazione dalla Champions, seguita alla sconfitta nel derby.

Senonché l’eliminazione ad opera del Porto era apparsa ingiusta ed immeritata, figlia di una brutta gestione del VAR nella partita di Oporto, nonché di tanta sfortuna in quella di andata, dove la Roma, nel finale di un match dominato, aveva subito un rocambolesco e sfortunato, risultato poi decisivo.
Quanto al campionato, al netto della brutta sconfitta contro i cugini, in quel momento la Roma viaggiava ad una buona media punti ed a ridosso della zona Champions.
Con Di Francesco al comando la Roma mostrava lacune difensive, spesso frutto di errori individuali (di Olsen e Fazio in primis), ma anche una precisa identità di gioco ed un’efficacia offensiva attestata dalle tante occasioni create e dalla media di quasi tre gol segnati a partita.

Ranieri, arrivato col dichiarato intento di dare solidità alla retroguardia, come era prevedibile non ha potuto fare niente per eliminare gli errori del reparto difensivo, anche in queste tre partite spesso frutto di errori individuali del vari JJesus, Olsen, Fazio, Karsdorp etc.., ma in compenso ha vanificato ciò che di buono la squadra produceva in fase di possesso.
La Roma è passata da un gioco corale e produttivo, basato sul pressing alto, sulle sovrapposizioni e sul lavoro degli esterni offensivi, ad un unico piano d’attacco riassumibile nel motto “palla alta verso Dzeko e preghiera”.
Risultato: tre punti in tre partite e nemmeno troppo meritati, visto che l’Empoli all’Olimpico ha prevalso per lunghi tratti e perso solo a causa di una “finezza” del VAR.
Tutte partite giocate da provinciale, subendo il possesso delle avversarie e limitandosi a produrre qualche isolato pericolo frutto di iniziative individuali.

La verità è sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono guardare e Di Francesco appare l’ultimo dei colpevoli. Forse la sua unica colpa è stata quella di non puntare i piedi rispetto ad alcune scelte di mercato della società. L’organico, sopratutto in difesa, è di gran lunga peggiorato rispetto all’anno scorso. Olsen non vale un guanto di Alisson. L’anno scorso la difesa della Roma aveva retto, oltre che grazie al portiere brasiliano ed all’unico difensore veramente forte, vale a dire Manolas, beneficiando di un’annata di grazia di Fazio, il quale però già ai mondiali aveva reso palese come tale stato di grazia fosse terminato.
A fronte di ciò l’unico investimento al centro della difesa è stato Bianda. 4mln + 8 di bonus per un diciottenne che, ad oggi, è niente di più di un prospetto interessante come tanti altri. Contemporaneamente per circa 6 mln il Porto si assicurava Eder Militao, mentre l’Inter metteva sotto contratto lo svincolato De Vrji.

Per il resto il reparto è stato integrato da Marcano, mediocre centrale svincolato, (in)utile quanto lo è stato in precedenza  Moreno.
Quanto alla fasce, il rientro dì Karsdorp al posto di Bruno Peres non ha certo conferito solidità al reparto.
L’annata travagliata di Florenzi, i noti limiti di Santon ed i problemi avuti da Luca Pellegrini nel ruolo di vice Kolarov hanno fatto il resto.
I commenti entusiasti e liberatori dei tifosi interisti al momento della cessione di Juan Jesus prima e Santon danno la misura del livello dei giocatori con i quali si è pensato di puntellare il reparto.

Purtroppo, al netto di una condivisibile filosofia basata su giovani italiani di talento, gli errori di Monchi sono stati anche altri e hanno pesato in maniera decisiva.
In un'ottica di rinnovamento vendere Naingollan e Strootman ci poteva stare, ma impiegare il ricavato per due giocatori come Pastore e N’Zonzi, coetanei di quelli ceduti e palesemente inadatti al 433 del buon Eusebio è stato un disastro annunciato. Prima ancora hanno pesato e non poco i 40 mln circa impiegati per Schick, anziché per un esterno offensivo alla Mahrez come chiedeva il tecnico, gli oltre 20 stanziati per Defrel etc...

Insomma, Di Francesco, il quale senz’altro trovava condivisibile la linea verde e nostrana seguita con molti acquisto del ds, ha pagato scelte specifiche non sue. Voleva il dinamico Duncan e gli hanno dato il lento e macchinoso Nzonzi. Si sarebbe accontentato di Acerbi da affiancare a Manolas, ma ha dovuto accettare Moreno prima e Marcano poi.
Ciò nonostante la Roma è stata l’unica italiana oltre la Juventus ad accedere agli ottavi di Champions, arrivando ad un passo dallo storico traguardo dei secondi quarti di finale consecutivi. Inoltre, al momento dell’esonero del tecnico pescarese, era in piena lotta Champions.

Ora è finito tutto. Di Francesco è stato esonerato e la conseguenza è stata l’abbandono di Monchi, contrario a tale decisione ed ovviamente non disposto ad accettare un supervisione da oltremanica. Non che Monchi, per quanto sopra, avesse fatto cose mirabili in questi due anni, ma qualcosa di buono si (Zaniolo, Pellegrini, Under, Kluivert) e comunque due anni sono pochi per un giudizio definitivo.
Inoltre il cambio risulta fatto “al buio”, vale a dire senza una valida alternativa pronta, né nel ruolo di ds né in quello di allenatore.

Per concludere, gli errori gravi e decisivi sono stati in primis di Pallotta e secondariamente di Monchi, ma a pagarli sono stati tifosi e tecnico.
Personalmente richiamerei subito Di Francesco con tanto di scuse per l’esonero.
Probabilmente non basterà per arrivare nelle prime quattro, ma almeno la Roma tornerà ad esprimere un gioco che possa definirsi tale, con possibilità di centrale la zona Europa League, cosa che con questa Roma targata Ranieri appare fuori portata.