Quando si sogna da soli è un sogno, quando si sogna in due comincia la realtà”. Così parlava Che Guevara. Se si vuole raggiungere un obiettivo di straordinaria valenza e che coinvolge un gruppo di persone non lo si può centrare se non uniti. La realtà contiene sistemi complessi e in questi ambiti il singolo può influenzare l’integralità. Serve correre in un’unica direzione e con velocità affini per ottenere il risultato. Altrimenti il rischio è quello di essere trascinati da chi, per cause a lui non imputabili, procede a rilento. Nel capolavoro cinematografico Into the wild si afferma che “la felicità è reale solo quand’è condivisa”. Anche se si vantano i motivi o le possibilità, come si può essere sereni quando intorno si avverte tristezza?
L’essere umano è dotato di un cuore che percepisce i sentimenti altrui e li elabora rimanendone influenzato. E’ chiaro che, con il trascorrere del tempo, può pure crearsi una corazza in grado di tutelarlo dall’ambiente esterno. Se fosse troppo emotivo, infatti, rischierebbe l’autodistruzione perché, spinto da continui stimoli differenti, non riuscirebbe più a rispondervi in maniera consona, ma resta intatta la sua fondamentale capacità di comprendere lo status dei suoi simili. Quando ci viene mostrata una pubblicità con bambini deperiti o maltrattati, ci commuoviamo e siamo spinti a provare una forte compassione tanto che, in quell’istante, se potessimo, doneremmo tutti noi stessi per salvarli. Sensazioni simili vengono sperimentate di fronte a una pellicola triste. Chi non è mai stato provato dall’Albero degli Zoccoli nel momento in cui il fanciullo è costretto a tornare a casa scalzo per avere rotto il “sandalo”? Difficile resistere. E’ parte della nostra socialità. Abbiamo bisogno dell’altro e siamo empatici nei suoi confronti. Penso che sia un grande privilegio che ci è stato donato. Essere freddi robot capaci di vivere in assoluta solitudine leverebbe parte determinante della nostra essenza e sarebbe pure assai macabro.

Non sono un esperto, ma credo che questo concetto possa estendersi anche all’economia. E’ lampante che occorre effettuare un parallelo particolare ed elaborare meglio la metafora. Il sottoscritto, però, non è di certo in grado di affrontare un simile discorso quindi chiedo preventivamente venia se la mia dissertazione contiene qualche falla. Si tratta soltanto di un’opinione personale che vorrei condividere con Voi. Dal punto di vista sanitario, l’emergenza legata al covid-19 è stata drammatica. Utilizzo il passato prossimo perché ho la speranza che questo virus possa ormai allontanarsi dalla realtà e in effetti stiamo notando un miglioramento della situazione. I numeri restano alti sia in relazione ai contagi che a chi purtroppo non riesce a superare la malattia, ma sicuramente non sono paragonabili a quelli di qualche settimana fa. Occorre non abbassare la guardia perché rischieremmo di ripiombare nella disperazione più totale e il tempo verbale utilizzato vuole proprio rimarcare una situazione da poco trascorsa con la speranza che sia chiusa. Lentamente stanno emergendo tutte quelle prevedibili problematiche che la corretta paura del coronavirus aveva posto in secondo piano sino a 2 mesi orsono e che sinceramente avrei trattato con maggiore attenzione. Sia chiaro, non voglio addentrarmi in tematiche politiche. La mia dissertazione non intende essere una critica al Governo per il suo operato, ma un discorso generale. E’ dall’inizio dell’emergenza che chiedo lungimiranza. Guardare al domani non voleva essere menefreghismo nei confronti della vicenda drammatica che vivevamo. La volontà era tesa soltanto a comprendere che prima o poi sarebbe finita e avremmo dovuto guardare in faccia a una nuova realtà alla quale non siamo preparati. Continuo a ribadire che in troppi si sono concentrati solo un’esigenza. Gli esseri umani avrebbero potuto vantare i numeri e la forza per suddividersi meglio i compiti e preparare il futuro senza piombarsi a capofitto soltanto sull’oggi. Tale meccanismo, probabilmente dettato da una giusta paura e da una comprensibile angoscia, è stato protagonista in troppi settori.

Lentamente i problemi stanno emergendo e temo che con il trascorrere del tempo diventeranno sempre più importanti. Si notano stipendi dimezzati e buste paghe assolutamente non in grado di soddisfare le esigenze di un singolo o di una famiglia. Mi pareva di assistere a una favola quando sentivo dire che “nessuno ci avrebbe rimesso dal punto di vista economico” oppure che “nessuno avrebbe perduto il posto di lavoro”. Le mie sensazioni, purtroppo, sono state confermate. Solitamente cerco di essere ottimista, ma in questa situazione non vi vedevo proprio nulla di positivo. E’ vero, qualche effetto migliorativo potrebbe anche esservi stato a livello di impatto ambientale o modo di concepire l’esistenza. I danni, però, sono incalcolabili sia per quanto riguarda le vite già distrutte che quelle che periranno in futuro. Gli ammortizzatori sociali non sono un bene infinito ed è illusoriamente utopistico bloccare le persone in casa per un lungo periodo senza la possibilità di lavorare. Tra l’altro ho notato un aspetto che ho trovato piuttosto triste. Sono davvero parecchi gli individui che hanno vissuto quasi con sollievo il distacco dalla professione. Mi chiedo: esiste così tanta gente che soffre troppo la propria attività? Non voglio sostenere che il mestiere debba essere piacevole, ma neppure che evitare di svolgerlo possa rappresentare una situazione di felicità. E’ chiaro che ciò non vale per chi versava in condizioni economiche disagiate, tali individui non proporrebbero mai a un ragionamento simile. Immagino quindi che, prima dell’emergenza coronavirus, molte persone conducessero una vita piuttosto agiata e questo non può che rappresentare un fattore positivo.

Pare giunto il tempo di ripartire in modo sempre più concreto. Due settimane fa è iniziata la prima “Fase 2” e il Popolo si è lentamente messo in marcia. Oggi sembra giunto l’attimo di un ulteriore passo avanti.
Friedrich Nietzsche sosteneva: “La vita è fatta di rarissimi momenti di grande intensità e di innumerevoli intervalli. La maggior parte degli uomini però, non conoscendo i momenti magici, finisce col vivere solo gli intervalli”. Stiamo attraversando appieno “uno dei rarissimi momenti di grande intensità”. E’ necessario non farselo sfuggire. Non si tratta soltanto di imparare qualcosa di nuovo che possa anche migliorare la situazione futura. Urge salvare il domani. Un nuovo inizio è sempre determinante perché si tratta del periodo in cui la tela è vuota ed è pronta per essere dipinta. Le prime pennellate ne segneranno il prosieguo. Se vengono gestite nel modo giusto possono portare a un capolavoro, ma se la mano non è perfetta si rischia di dover gettare tutto nell’immondizia o comunque di creare aggiustamenti che sicuramente determinano atroci sofferenze. L’errore è parte della natura umana e sarebbe assurdo pensare di cancellarlo in toto, ma ora bisogna ridurlo al minimo. Dall’oggi dipende gran parte del domani.

Se non si riparte insieme, si corre il grave pericolo di creare la situazione narrata nell’introduzione al mio pezzo. Qualcuno correrà troppo e altri andranno al passo della tartaruga. Haruki Murakami diceva che “L’equilibrio in sé è il bene”. E’ vero. Si tratta di una dote fondamentale da cercare nell’esistenza. Dove regna, c’è armonia. Se si creano diversità, si potrebbe cadere in una situazione per la quale avremo persone estremamente ricche e altre in grave stato d’indigenza. Ciò determinerebbe enormi conseguenze sull’economia del Paese costringendo a rivolgere l’offerta verso l’estero perché la domanda interna non risulterebbe assolutamente soddisfacente. E’ quello che si vive in troppe parti del mondo. Cancellare la classe media, che rappresenta la stragrande maggioranza della popolazione, potrebbe essere un errore fatale. Occorre una saggia gestione. E’ chiaro che tutte le attività non potranno partire con i medesimi protocolli. Sarebbe assurdo pensare il contrario. L’esempio riportato dal Ministro Spadafora qualche giorno fa è assolutamente calzante. La cassiera del supermercato non può essere considerata alla stregua del calciatore. Per svolgere il proprio mestiere, infatti, quest’ultimo ha necessità di un contatto fisico che la prima non concepisce. Si potrebbero riportare molteplici casistiche. L’architetto o l’avvocato così come l’impiegato o chi lavora in ufficio non può avere la medesima normativa della parrucchiera o di chi opera all’interno di un cantiere edile. Mi pare assurdo immaginare il contrario. Detto questo, prima dell’emergenza legata al coronavirus, esistevano già dei codici di sicurezza ed erano diversificati in base alle varie professioni, ma non impedivano che ognuna di esse potesse proseguire. Non vedo perché ora si possa pensare al contrario.

Si riparta tutti insieme, altrimenti sarà inutile e lo si faccia con senno cioè con dettami sicuri e attuabili. Penso al settore balneare. Mi riferisco anche agli esercizi commerciali come bar e ristoranti che potrebbero subire pesanti restrizioni. Lo stesso dilemma è stato palesato da più albergatori che con certe linee guida manifestano l’intenzione di non riaprire nemmeno. In determinate situazioni, sono parecchie le persone che rinuncerebbero al piacere se questo dovesse divenire un sacrificio. Si torna all’equilibrio. Occorre elaborare protocolli perfettamente bilanciati tra le esigenze della sanità e quelle dell’economia o della psicologia. Queste ultime fanno parte, infatti, del concetto di salute. Dall’altra parte, invece, i fruitori del servizio, così come gli esercenti, rispettino le regole e soprattutto forniscano il loro contributo al sistema. Una cena in un locale o una vacanza al mare sarà diversa, ma nell’essenza rimarrà la stessa ed è ciò che conta.

Si considerino, poi, la scuola e l’università. Queste strutture sono fondamentali per la cultura degli individui, ma soprattutto per la loro crescita personale. Ho sempre pensato che l’uomo, o la donna, debbano formarsi all’interno della famiglia e tramite le loro esperienze. La scolarizzazione è determinante, ma non può essere ciò che “crea” l’essere umano altrimenti si rischia di formare automi uguali e indistinti. Detto questo, l’istruzione è primaria così come la socialità che ne deriva. Non si può immaginare di privare bambini e adolescenti di un tale diritto. Sarebbe assurdo. Lo smart working può essere utile per i lavoratori o al limite per gli universitari, ma non per il resto degli studenti. La soluzione tampone delle lezioni telematiche è stata fenomenale, ma non deve risultare definitiva così come è necessario fare in modo che i ragazzi possano presto approcciarsi alle attività ricreative frequentate in passato. Penso alla musica, al teatro o al mondo sportivo. In sostanza, mi riferisco alle sane consuetudini pomeridiane che scandivano la giornata dei nostri giovani. Il tempo delle rinunce e delle costrizioni deve essere soltanto un pessimo ricordo di un momento difficile della vita.

Mi ricollego, quindi, al calcio e affermo che il protocollo inizialmente previsto con le modifiche richieste dal CTS per gli allenamenti collettivi pare veramente assurdo. Come si può anche solo immaginare, per esempio, che un medico sociale si assuma la responsabilità civile e penale per un eventuale contagio! E’ inconcepibile. Gravina ha spiegato ai microfoni Rai che: “l’Inail con una sua circolare ha già chiarito che c’è responsabilità solo in caso di dolo e di colpa grave” (Sky Sport). Questa è la direzione che parrebbe essersi intrapresa e sembra quella corretta. Nel nuovo protocollo elaborato per gli esercizi in gruppo vi sono proprio richieste in tal senso. Il professionista, per esempio, subirebbe effetti soltanto se conoscesse la malattia di un giocatore e non la dichiarasse cioè in relazione a situazioni che rientrano nelle sue doti di essere umano competente in materia. Non è un indovino.
Non è corretto nemmeno che, a causa di una sola persona risultata positiva al coronavirus, venga posto in quarantena l’intero gruppo. Questo spaventa principalmente il mondo del pallone e la Politica si rende conto della difficoltà della richiesta. Sono perfettamente conscio che tale norma sia concepita sulla base di indicazioni scientifiche. Il Comitato non è certo un gruppo di folli visionari che vuole uccidere gli sport di squadra. Proprio a ragione di tale fatto, però, è necessario comprendere che una regola simile non consente di ripartire. Pare quasi impossibile che, circolando per l’Italia con numeri così ingenti di persone, nessuna di esse contragga la malattia. Se per una sola viene bloccata tutta la squadra, diventa impensabile proseguire il torneo. Il cambiamento di tale norma dovrebbe dipendere dall’andamento della curva dei contagi dopo la grande apertura odierna. Intanto è previsto dal nuovo protocollo al vaglio degli scienziati per gli allenamenti collettivi. Negli altri Paesi mi sembra che questo concetto non esista. Sarebbe utile isolare il solo individuo positivo al virus controllando tutti i suoi colleghi e proponendo la quarantena esclusivamente a chi patisce il medesimo problema. Anche in questo caso, il protocollo previsto dal CTS appare troppo stringente e vincolante. L’esempio perfetto giunge dalla Germania dove, a un giorno dall’inizio del campionato, un giocatore del Werder Brema è stato separato dai compagni. La Bundesliga è ripresa il giorno successivo.

Il terzo punto è quello relativo ai lunghi ritiri che somigliano a clausure. Credo che non sia nemmeno lontanamente concepibile l’ipotesi per cui un gruppo composto da molti esseri umani si debba allontanare dalle proprie famiglie per lunghi mesi. La soluzione dei 15 giorni di isolamento può invece essere percorribile, ma solo 2 settimane prima dell’effettiva ripartenza del torneo e con la certezza che un’eventuale positività non lo fermi di nuovo. Si spera di trovare un accordo pure su tale punto e il CTS dovrebbe valutare proprio in questi gironi il protocollo inviatogli dalla Figc tramite il ministro Spadafora. Calciomercato.com riferisce che per la prima settimana, le squadre potrebbero allenarsi prive di partitelle e senza alcun tipo di ritiro. Questo dovrebbe esservi soltanto dal 25 maggio. E’ un’ipotesi. In ogni caso, le indicazioni del Comitato devono essere riviste e bilanciate a seconda delle esigenze di una delle principali industrie del Paese che vanta migliaia di lavoratori. Il solo fatto che sabato scorso il Premier abbia annunciato la possibilità di compiere gli allenamenti di squadra già da oggi, e che questo non sia in realtà possibile a causa della mancata validazione da parte dei tecnici del vecchio protocollo, è davvero svilente perché sintomo di quanta poca considerazione vanti questo ambiente fondamentale per la salute all’interno delle menti politico-scientifiche che ci guidano. Peccato. E’ chiaro che qualche responsabilità è pure da attribuire al mondo del pallone che si è accorto troppo tardi di non riuscire a rispettare il primo protocollo proposto e approvato dal CTS.

L’intenzione è quella di ripartire e lo si faccia tutti insieme perché se si escluderà qualcuno si andrà incontro a un grave fallimento. Ciò vale anche per il calcio… E invece siamo di fronte ad aperture che paiono procedere a cerchi concentrici con esclusione di pochi settori partendo da quelli che, eticamente e generalmente, sono considerati più importanti. Non sono convinto delle scelte fondate “sulla morale” perché la ritengo un valore soggettivo e soprattutto l’idea che certe professioni possano subire un colpo quasi definitivo, con la possibilità di reinventarsi per chi vi opera, mi pare piuttosto utopistica. Come fa il sistema ad accogliere tutte queste nuove richieste? Potrebbero sorgere mestieri mai esistiti sulla base, per esempio, della tecnologia. Un cambiamento così radicale e storico sicuramente avverrà, ma non credo sia operabile in maniera troppo drastica. Sono assolutamente convinto che ogni settore debba semplicemente ripartire rinnovandosi. Il calcio sta patendo un duro colpo e resta nel dimenticatoio. Non vorrei che con i progressi raggiunti in questo periodo, il pallone terminasse davvero nei meandri dell’oblio.

Con questo pezzo, spero di aver pure risposto alla domanda che la Redazione poneva nell’ultimo Suo articolo dove venivano elargiti i premi settimanali. Spero proprio di poter rivedere la “mia” Juventus il 13 giugno prossimo o il weekend successivo. Non va dimenticato, infatti, che servirebbe un’eccezione alla norma per la quale certe manifestazioni sono attualmente bloccate sino al 14esimo giorno del prossimo mese. In alternativa, il calcio dovrebbe arrendersi e concentrarsi sulla prossima stagione. Non si possono sforare, però, le deadlines di agosto o settembre. Urge non perdere altro tempo prezioso e mettersi all’opera per creare un protocollo che fornisca date certe.