Voglio ribadire ancora una volta un concetto che non mi stancherò mai di ripetere e che griderò fino che avrò voce in corpo: per le persone che non superano il coronavirus e i loro cari posso affermare soltanto silenzio, cordoglio e massimo rispetto. In questo articolo vorrei provare a donare tutto il mio amore e il mio affetto verso il prossimo. Mi piacerebbe che emergesse il forte e struggente dolore che provo nello scrivere perché, anche se non mi potete vedere, vi prego di credermi: ho il cuore spezzato. Non è una guerra, ma è come se la fosse. I dati e i numeri sono devastanti per l’animo umano. La morte di una di quelle singole persone significa desolazione più totale. Si parla di madri, padri, fratelli, sorelle, figli, zii, cugini o amici. Non importa. Sono anime che non potranno più accompagnare da qui la vita di altre. E’ struggente. E’ devastante. Non ho aggettivi per descrivere ciò che percepisco. Tutti avranno nel cuore le immagini che “violentemente” la televisione o il web ci hanno stampato in viso e che ci hanno colpito come il più gelido degli schiaffi mostrandoci i reparti di terapia intensiva stipati di persone di qualsiasi età, etnia o sesso che combattono appesi a un filo esile per riuscire a rivedere chi li ama. E’ desolante e non vorrei proprio essere al posto di medici o infermieri che devono assistere quotidianamente a questo trailer dell’inferno direttamente catapultato sulla terra. Ne uscirei pazzo in mezzo a tutti quei corpi martoriati dalla tragedia e inermi come se ormai solo il fisico potesse salvarli perché la mente è già altrove.

Attenzione, però, perché affianco a questa bolgia dantesca ne stanno nascendo altre più nascoste, ma comunque esistenti. E’ vietato sottovalutarle perché rischiano di assumere proporzioni incontrollabili. Di fronte alla devastazione degli ospedali, davanti alla tremenda processione dei camion militari che allontanano le bare dalle città, vicino alle distese di feretri disposti con grande cura nelle Chiese senza la possibilità di avere nemmeno un giusto addio, sta nascendo un altro genere di sofferenza che in tanti si vergognano forse anche solo a immaginare. Probabilmente sarà giusto. Chi sono io per sostenere il contrario? Consentitemi, però, di farlo perché non vorrei che ci si trovasse a chiudere il recinto quando ormai i buoi lo hanno lasciato. Vi prego: rifletteteci. E’ soltanto di ieri la notizia di un ragazzo, nemmeno 30enne, che si è tolto la vita dopo che gli era stato comunicato il licenziamento dal posto di lavoro. Vorrei che ora vi poteste fermare un secondo a pensare in silenzio a quanto ho appena scritto perché non riesco ad affermare, subito dopo quel periodo, alcuna parola degna di un senso compiuto. Non si possono cercare “scusanti” negli ammortizzatori sociali. Vi supplico. Non si commetta quest’errore. Esistono e sono salvifici, ma non possono diventare la scappatoia al problema. Sarebbe pura utopia. Sarebbe come fingere di non percepire l’angoscia. Troppe volte ho sentito banalizzare questo dilemma. Diventa davvero quasi impossibile pensare che le misure adottate per contrastare tale situazione siano sufficienti. Nessuno vi riuscirebbe. Lo Stato sicuramente lo sa e proverà in tutti i modi a bilanciare le esigenze onde evitare il crearsi di una diversa carneficina. Signori, sempre di morte si parla. Per favore, lo si tenga in estrema considerazione.

A tutto questo si deve aggiungere il fattore psicologico che non deve mai essere sottovalutato perché quando si vivono determinati traumi le conseguenze possono essere le più disparate. Sono ancora una volta costretto a chiedervi uno sforzo: non lo si dimentichi e non si semplifichi neppure questo. Basta affermazioni del tipo: “ai miei nonni chiedevano di andare in guerra, a me domandano di stare sul divano che, per di più, è molto comodo”. Certo, è vero, morire sotto i colpi dei fucili nemici fu un’esperienza tremenda e non è paragonabile con quello che viene imposto oggi. Suvvia, sarebbe follia pensare il contrario. Proprio per questo, si smetta di chiamare in causa Jacques De la Palice e si guardi in faccia la nuda e cruda verità. Ognuno ha la sua percezione della realtà e se restare chiuso in casa gli provoca una sofferenza immane, non gli si può fare una colpa. Lo si ammetta: in una condizione normale, questa situazione assomiglierebbe molto a una sanzione. La Scienza e la Politica ne sono perfettamente a conoscenza e proprio per questo parlano continuamente di “sacrificio”. Non ho mai sentito sminuire, da parte loro, questa tremenda restrizione che sono stati costretti a ordinarci. A proposito, era proprio dai tempi della Guerra che non si vivevano simili situazioni. Non le si facciano passare come appartenenti quasi alla normalità perché rappresenterebbe l’ennesima miopia.

Signori, la situazione è tragica sotto tutti i punti di vista. E’ palese e ormai innegabile. Ho sempre sostenuto il minimo della pena. Chi mi conosce bene, sa perfettamente che cerco di vedere costantemente il lato più umano anche nel peggiore dei delitti. Non so se sia un pregio o un difetto, ma vi garantisco che è la realtà. Penso che quando l’uomo è spinto a determinati comportamenti sia guidato da una forma ingestibile di disperazione. Nessuno provoca dolore all’altro per il semplice diletto di ferirlo. E’ una certezza che vi posso praticamente garantire. Proprio per questo, guardo sempre alle attenuanti piuttosto che alle aggravanti e cerco la sanzione più “leggera”. Su queste basi posso sostenere con sicurezza che la tragedia attuale non derivi o sia stata alimentata da alcuna condotta dolosa. Non vale lo stesso se si tratta dell’istituto giuridico della colpa. In questo caso non ho le competenze per sostenere alcuna tesi. Sono in grado solo di affermare che la situazione sarà analizzata fino al minimo cavillo del più minuscolo dettaglio e, se errore venisse scoperto, vi saranno eque conseguenze. Questa volta, signori, sarei molto rigido. Non rappresenterebbe un “giustizialismo” fine a se stesso per il solo gusto di “farla pagare a qualcuno”. Vi giuro. Come detto, non sono il tipo di persona che si sognerebbe mai un simile ragionamento. La tragedia ha proporzioni immani e non può passare inosservata. Non ci si dovrà mai più permettere in futuro di ricadere, se mai saranno appurati, in errori simili. La sofferenza è stata troppa. Punto.

Ora, però, si vede la luce in fondo al tunnel. Non mi stancherò nemmeno di ribadire che gli sforzi che sono richiesti appaiono assurdi assomigliando pure alla più grande delle beffe. La società che vola sull’Oceano, che progetta treni in grado di viaggiare quasi alla velocità di un aereo, che costruisce intere isole nei Paesi d’Oriente, è costretta a chiedere il distanziamento sociale per sconfiggere un virus. Ecco, è uscito tutto il lato più umano del progresso colpendolo diritto nei denti con una forte mazzata. Ci viene chiesto il sacrificio più grande perché è contrario alla nostra natura e ribalta le certezze acquisite. Voglio solo fare un esempio. Sfido qualsiasi genitore, con il sole che scalda questo inizio rallentato di primavera e le margherite che crescono rigogliose nei prati, a dire al proprio figlio, con la palla in mano e già pronto a scendere al campetto per fare una partitella con gli amici, che deve stare in casa a giocare alla play station. Sino a un mese fa era assurdo anche solo immaginarlo. Invece, è proprio così. Questo è il nostro compito: cancellare ancora per un po’ di tempo l’essenza umana con lo scopo cercare di salvare vite. E’ doveroso, ma proprio perché “andrà tutto bene” non dimentichiamoci qual è la normalità.

Attenzione, Vi prego. E’ molto importante. John Maxuell Coetzee afferma: “si fa l’abitudine a tutto, anche al continuo peggioramento di ciò che già era ai limiti della sopportazione”. Struggente, ma reale. Lo si ammetta. Vi sono persone che impiegano maggiore tempo, altri meno, ma è così. Non ci si dimentichi del prima. Si resti sempre ancorati a questo. Lo si faccia con il massimo delle proprie forze. Ho deciso, se vi va di ascoltarlo, di raccontare pure un’esperienza personale. Sarò molto conciso. Ero poco più che adolescente e per motivi di salute ho dovuto già affrontare una specie di quarantena, molto diversa dall’isolamento attuale, ma lunga parecchi giorni. Mi ha segnato e ne ho portato le conseguenze negative per molto tempo durante il quale faticavo a uscire dalle mura domestiche. Il problema è proprio che mi ero talmente immerso in quel nuovo stato di restrizione tanto che poi non trovavo più il modo di uscirne. Fortunatamente sono già parecchi anni che sto meglio sotto ogni punto di vista. Voglio affermare che non bisogna lasciarsi trascinare dagli eventi emotivi. Lo so è difficile, ma è uno sforzo da effettuare. E’ necessario abbandonare la realtà per riuscire ad allacciarsi alla vera realtà. Scusate il gioco di parole. Sì, restiamo a casa. Guai a sgarrare, ma non si scordi cosa significa la solita e ormai ambita routine. Svegliarsi, alzarsi da letto, prepararsi e raggiungere il luogo di lavoro. Questa è la vita che ci aspetta. Non la si dimentichi mai. Si tenga ben presente cosa significa passeggiare nel parco, dedicarsi al jogging, andare ad allenamento con gli amici del calcetto, fare l’aperitivo, gustarsi una cena con le persone amate, poterle salutare con un caloroso abbraccio o una cordiale stretta di mano. Adesso questo pensiero ferisce come la lama dentro una piaga, ma sarà salvifico. E’ naturale e giusto che i messaggi che vengono propinati ora siano esattamente gli opposti. Adesso non si può. Non fare, però, non significa dimenticare perché questi tempi torneranno. E’ una certezza in quanto sono l’essenza dell’esistenza umana e sempre lo saranno. Nessuno toglierà mai all’uomo la sua sostanza, men che meno il coronavirus di Wuhan. Basta poco, però, per obliare totalmente il passato positivo e per rimanere traumatizzati da un presente che, giustamente, stigmatizza certi comportamenti. E’ necessario essere in grado di compiere uno sforzo mentale veramente molto complicato. Occorre distinguere tra l’oggi e il domani e comprendere che ciò che ora è necessariamente sbagliato, poi, sarà assolutamente giusto. Si può, anzi si deve, riuscire. Non ci si avvilisca pensando che ormai si sarebbe contenti anche della minima libertà. Non ci si trova di fronte a una dittatura e chi governa, che deve sempre valutare ogni esigenza non soltanto quelle del comitato scientifico, freme per poter urlare a gran voce: “siete liberi”. Proprio perché questa volontà è unanime, i tempi si restringono a dismisura. Non si diventi apatici alla vita.

Nella dimensione descritta inserisco anche il calcio che grazie alla sua natura sociale potrà essere davvero il motore della ripartenza. E’ vero, esistono situazioni più importanti, ma non si dimentichi mai che il “pallone” consente a molte persone di portare il pane sulla tavola delle proprie famiglie. Questi sono uomini come tutti gli altri e meritano la stessa attenzione. Chiarito ciò, tale sport ha proprio nella sua essenza l’aggregazione della quale non può fare a meno. Non è un caso se ha provato a resistere strenuamente alle difficoltà dell’emergenza per poi arrendersi quasi immediatamente all’evidenza. Se si riflette con estrema attenzione, si noterà come alcuni show o prodotti televisivi, aventi una valenza economico-sociale simile a quella del calcio, stanno proseguendo la loro attività quindi avrebbe potuto farlo pure il pallone. Quest’ultimo, però, non riesce a vivere senza il contatto umano che almeno in minima parte deve essere garantito. Il pallone, come tutti gli altri giochi simili, è proprio quanto di più aggregante possa esistere e penso sarà la miglior risposta al post emergenza.
E’ chiaro che la ripresa dovrà essere a porte chiuse, ma prima avverrà, meglio sarà. Significherebbe davvero un grande calcio al virus, sino a potersi finalmente riabbracciare per un gol visto dall’interno di uno stadio
. Invece tra coloro che sono chiamati a decidere c’è chi ostina ad aggiungere costantemente paletti e complicazioni.






Prendetevi 5-10 minuti e provate a compilare un semplice sondaggio per ricevere subito uno sconto immediato su carte regalo Amazon, Decathlon, Eataly o Trenitalia. Questo il link da cliccare: calciomercato.com/madai