Trnnn... trnn... trn... era il rombo inconfondibile del "Lambrettone" di zio Mario che entrava nel cortile della nostra abitazione, una palazzina nel quartiere di San Paolo a Roma. 
Era la Pasqua del 1960, l'anno delle Olimpiadi nella capitale, e come tutte le pasque zio Mario soleva recarsi dal nipote per donargli l'uovo di Pasqua dei Frati Trappisti, fin dai tempi della prima guerra l'omonimo convento dei frati presso le Frattocchie, una località posta ai piedi dei colli Albani, era diventato celebre per la produzione del suo cioccolato e dei suoi liquori. 

Dunque zio Mario lo definirei il protagonista tanto in questa lettura, quanto nella mia vita puerile ed adolescenziale. Era il fratello minore della mamma di papà Renato, mamma che papà perse a soli 5 anni di età e di cui forse, tranne che nei suoi sogni e nelle vecchie foto in bianco e nero, non ne ricordava neppure il volto. Mio padre visse fino all'età di 18 anni in Francia dato che mio nonno Francesco, costruttore edile, vi emigrò all'inizio del ventennio fascista e lì vi rimarrà sino alla fine degli anni '30 costruendo signorili abitazioni in Costa Azzurra per poi attraversare il Mediterraneo e fermarsi ad Ajaccio in Corsica. 
Nel frattempo nonno Francesco convolava a nuove nozze essendo rimasto vedovo da quattro anni della sua prima moglie morta di polmonite a soli 29 anni, a quei tempi non esisteva ancora la penicillina e purtroppo si moriva come avviene in queste settimane con la pandemia imperversante, e convolò a nozze con una insegnante di musica francese, da pochi anni vedova anche lei, dal carattere autoritario, intransigente.
Papà Renato mi raccontò di avere dei brutti ricordi, quella matrigna non aveva mai accettato di buon grado la sua presenza, forse perché non poteva avere figli, insomma papà era spesso in punizione, a quei tempi andavano di moda, e passò anche qualche ora chiuso al buio in cantina, avvertiva ancora lo squittire di un topo che gironzolava tra le sue tremanti gambe. Tutto questo ovviamente accadeva ad insaputa di mio nonno Francesco che spesso stava intere settimane a lavorare nei cantieri lontano da casa. L'unica cosa positiva ricordata da papà Renato consisteva nel vedere la sua matrigna impegnata ad insegnargli a suonare il pianoforte, in quelle ore di lezione, e purtroppo solo in quelle, riusciva ad esprimere tutta la sua arte maieutica che però terminava proprio lì, alla chiusura del coperchio della tastiera. Quella dolcezza di fronte al pianoforte si tramutava in un battibaleno in asprezza di fronte alle faccende di vita domestica. Renato riusciva a respirare solo quando la matrigna usciva di casa per andare ad impartire lezioni private di pianoforte.

Ajaccio, luglio 1935, al Boulevard Pascal Rossini si ferma una pattuglia della Polizia, esce un Gendarme e suona alla porta di mio nonno Francesco, va ad aprire il figlio Renato chiedendo del proprietario, ma il ragazzo risponde che il padre si trovava a Bastia per lavoro, il Gendarme chiese se ci fosse qualche altro adulto in casa e alla risposta negativa il Gendarme pregò Renato, allora tredicenne di seguirlo in ospedale dove la madre matrigna Charlotte era stata ricoverata in seguito ad un incidente automobilistico occorsole poco prima sulla litoranea. Papà Francesco rintracciato telefonicamente riuscì ad arrivare ad Ajaccio solo nelle prime ore del mattino seguente, quando il corpo della povera Charlotte era già stato trasportato all'obitorio. Charlotte nell'incidente stradale causato da un azzardato sorpasso veniva, nel successivo fuori strada, sbalzata fuori dall'auto e le sue ferite in varie parti del corpo ne determinarono un aggravamento nel giro di poche ore, per poi spegnersi intorno alla mezzanotte. 
Papà Renato conobbe nel giro di soli 8 anni la vita e la morte prima di una mamma e poi di una matrigna. Esperienze che solo il dono del buon Dio dotandolo di un carattere e di un cuore degno di un Missionario non ne hanno reso la rimanente esistenza una sorta d'inferno, anzi il contrario, per chi lo avesse conosciuto sembrava il ritratto vivente dell'allegria e della felicità.

Passò qualche anno da quel terribile giorno ed avendo papà Francesco sempre più richieste di costruzioni a Bastia decise di traslocare da Ajaccio per andare a vivere vicino al porto di Bastia, dove nel frattempo, frequentando in quella città alcune rappresentazioni teatrali era venuto a conoscere Emma, un attrice toscana in tournée con la sua troupe. Tra i due nacque una passione sempre più forte e nel corso del 1939 mio nonno Francesco convolò, per la terza volta a nozze, sposando la Signorina Emma che io chiamerò in seguito, e questo per molti anni, zia Emma, una zia di ferro, era nativa di Porto Ferraio, Isola d'Elba, visse la bellezza di 100 anni e due mesi, rimanendo vedova e passando gli ultimi 34 anni della sua vita completamente in solitudine, in una ridente villetta sui colli del lago Trasimeno.

Papà Renato accettò di buon grado l'arrivo in casa della "terza Mamma" ma avrebbe raggiunto tra pochi mesi la maggiore età e...


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