Avvertenza: chi non ha letto la prima parte non riuscirà a capire il filo del discorso, quindi invito chi non l'avesse già fatto a leggerla QUI
Buona lettura 

LA LEPRE AMICA
Mi accorgo di un fruscio tra l'erba alta molto insolito. Mi volto verso la provenienza del rumore e strizzo gli occhi per vedere meglio. Ad un tratto scorgo 2 grandi orecchie pelose e di un colore grigiastro con tendenza al marrone. Mi fermo e avviso gli altri che nel prato incolto alla nostra destra si trova una lepre. Quella esce dall'erba alta e annusa l'aria intorno. È a meno di 2 metri di distanza da noi. Rimaniamo immobili e la lepre avanza sempre di più, timidamente. Ci guarda con i suoi grandi occhi neri. Non sembra affatto spaventata dalla nostra presenza, anzi, sembra volersi avvicinare ancora di più.
Ora riesco a distinguere meglio i particolari: ha la pelliccia grigio marrone tipica delle lepri di montagna, è magra ed ha 2 possenti zampe posteriori. La coda assomiglia ad un batuffolo di cotone bianco e morbido. Mia nonna furtivamente cerca di tirare fuori il telefono per scattare una foto. Lei di lepri così ne avrà viste migliaia, è solo per farci un favore: da noi in città non ci sono animali. Quindi ogni avvistamento è un evento. Il coniglio però sembra non volersi mettere in posa per la foto è appena vede il marchingegno un po' vecchio e scassato, qual è il telefono di mia nonna, si volta e con due grandi balzi torna nell'erba e scompare alla vista. Io i miei fratelli siamo entusiasti dell'incontro ravvicinato con la lepre e con il sorriso stampato in faccia proseguiamo verso il tubo sospeso.

IL TUBO SOSPESO
Dopo qualche altro minuto di cammino arriviamo al punto che ha dato il nome alla passeggiata: "il tubo sospeso". È praticamente una grossa asta di metallo circolare di un diametro di almeno 30 cm tutto rivestito di plastica nera, che funge da Ponte da una sponda all'altra di un ruscello. Lì il piccolo Torrente ha scavato una gola in miniatura profonda circa un metro e mezzo. Le acque gorgoglianti scorrono allegre in tante cascatelle e piccoli vortici dove sembra che le bolle della schiuma giochino ad acchiapparella. Era molto tempo che non andavo più su quel tubo e me lo ricordavo molto meno alto ma soprattutto meno lungo. In quel punto le due sponde rocciose scoscese sono distanti quasi 4 m. La traversata una volta era un gioco per vedere chi era il più coraggioso tra i bambini del paese. Una sorta di piccola avventura che agli occhi di un bambino può sembrare grandiosa. I miei fratelli possono quasi correndo tenendo le braccia aperte come degli equilibristi. Io eri tu un poco ma poi mi decido e salgo sul tubo punto Non posso più tornare indietro. Significherebbe essere lo zimbello di tutti. Piano piano, passo dopo passo arrivo a metà del percorso. Mi sembra infinito. Un paio di volte sto per perdere l'equilibrio ma superato il punto critico mi metto letteralmente a correre come impazzito verso l'altra sponda. Finalmente metto piede sulla dura e rassicurante roccia: ce l'ho fatta! Anche mia nonna passa senza problemi. Nonostante i suoi 70 anni di età è ancora argilla e vigorosa come una donna di 40. La nostra passeggiata sta per giungere alla fine: da lì a casa sono poco meno di 5 minuti a piedi. Ci apriamo tutti contenti verso casa saltellando e ridendo. Fino alle 5 di pomeriggio stiamo in giardino a giocare a pallone poi saliamo a casa perché comincia a fare freddo. entriamo in casa che ci accoglie con il suo benefico tepore. Mia nonna mi fa cenno di seguirla: deve farmi vedere una cosa.

• L'ALBUM DEI RICORDI
Mi porta nel salotto dove non entra mai nessuno e da uno scaffale tira giù un grosso volume rilegato è tutto impolverato con su scritto Milan Mauro 2006. "Questo è il tuo album dei ricordi" mi dice mia nonna. Piccoletto, qui dentro ci sono quasi tutti i momenti più importanti o più belli della tua vita".
Io stupefatto prendo il librone e lo apro. Una calda luce gialla invade tutta la stanza, mi sento risucchiare dalle caviglie e mi trovo in un posto che non conosco per niente, non sono più nel bel salottino di mia nonna, ma sono in una specie di piazza in riva al lago.
Aspetta un attimo, questo posto mi pare familiare. Ma certo! È la fraglia della vela di Riva del Garda! Ma non come la conosco io, no, sono tornato a quella notte magica dove l'Italia di Marcello Lippi ha vinto il mondiale sotto il cielo di Berlino. 9 luglio 2006, esattamente 22 giorni prima della mia nascita.
Cerco con lo sguardo i miei genitori... Iveco Daily! Sono quasi irriconoscibili: mio papà ha un pizzetto Bruno che non gli avevo mai visto e mia mamma porta i capelli a caschetto. Ha una pancia che sembra veramente sul punto di esplodere. Tutto intorno a me si sentono risate, grida e vengono sventolati Tricolori italiani. E anche i miei sono andati lì come tutti per assistere alla finale dei Mondiali da un maxischermo appeso sul muro del faro. Ci sono centinaia di persone accalcate intorno allo schermo, inizia la partita e quando Gilardino colpisce quel maledetto palo si leva un grido di delusione. Alcuni piangono, altri si coprono la faccia con le mani. Poi l'arbitro fischia il rigore a favore della Francia. Tutti protestano, insultano l'arbitro, anche se sanno che non li posso sentire e che la sua decisione è giusta. Sul dischetto va Zinedine Zidane, prende la rincorsa, il tempo intorno a me sembra essersi fermato, nessuno apre bocca; il capitano dei Francesi carica il destro, il suo tiro spiazza Buffon, ma va a sbattere contro la traversa per poi rimbalzare sulla linea... qualcuno inizia a gridare che non è gol, ma pochi secondi dopo arriva il fischio dell'arbitro. 1 a 0.
A quel punto la partita sembra già finita, sono tutti delusi e amareggiati, ma l'Italia ci crede ancora, attacca e ottiene un calcio d'angolo.
Pirlo mette in mezzo, Materazzi stacca più in alto di tutti e insacca. La piazza sulla quale mi trovo sempre a saltare in aria, c'è chi agita bandiere, chi suona trombette da stadio, che urla e piange dalla gioia. La partita continua e i primi 90 minuti volano via. I supplementari sono molto equilibrati: tutte e due le formazioni sono molto stanca.
Si va ai rigori. È un'emozione fortissima. Grosso, il nostro numero 3, deve calciare il rigore decisivo. Tutto intorno cala un silenzio di tomba carico di aspettative... Grosso prende la rincorsa... tira... la palla entra in rete!
I telecronisti quasi svengono dalla gioia, siamo campioni del mondo per la quarta volta!
Perdo di vista i miei e poi mi sento risucchiare di nuovo come se qualcosa mi avesse afferrato per le caviglie. Non ho avuto neanche il tempo di festeggiare con gli altri e mi ritrovo già su un divano, in un piccolo salotto. Dopo un po' lo riconosco, sono nella mia vecchia casetta al mare! Stiamo guardando Italia-Spagna del 2012, la finale dell'europeo disputata a Kiev il primo luglio; sul divano e saluta tutta la mia famiglia. Sono lì anche io, un bimbo di 5 anni neanche compiuti che sta letteralmente sdraiato sul papà. Mio fratello più piccolo allora aveva solo un anno! Che eravamo così diversi... l'arbitro fischia è la partita comincia.
Dal quindicesimo minuto la Spagna va in vantaggio. Al quarantesimo minuto arriva il raddoppio. Siamo delusi. Nella ripresa Thiago Motta si infortuna cambio esaurite. L'Italia rimane in 10. Il medico lo si alza e accompagnato dalla mamma va nel letto. Il 40 finale rappresenta il maggior scarto di reti in una finale dell'europeo. Mi volto verso mio padre che scuote la testa e deluso cambia canale. Io vengo risucchiato di nuovo. Mi trovo alla mia comunione, nel 2015, poi ancora arrivo alla grande esclusione dell'Italia dai mondiali di Russia 2018, non ne voglio parlare poi non so perché da lì Torno nel 2014 ai Mondiali in Brasile. Italia perde contro Uruguay e Costa Rica fuori dalla competizione dai gironi. Arrivo poi a quella che penso sia l'ultima tappa: la mia cresima del 2019. Ero molto felice. Tutti erano vestiti molto eleganti e la mia madrina era proprio mia nonna, la stessa che mi ha fatto aprire quel vecchio album di fotografie nel quale ora mi trovo. Ho rivissuto parte della mia vita in pochi istanti. Mi sento risucchiare di nuovo, ormai ci ho fatto l'abitudine.
Tutt'a un tratto mi trovo di nuovo nel caldo salottino di mia nonna con l'album appoggiato sulle ginocchia. Non dico niente, mi guardo intorno frastornato. Mia nonna mi si avvicina e prendo il volume chiudendolo. "Questo sarà il nostro piccolo segreto" mi dice strizzando l'occhio. Io annuisco ancora confuso. È vero quello che io appena visto o è solo un sogno? Il mio cervello si rifiuta di capirci qualcosa e forse nemmeno io voglio capire cosa è successo. 
Lì in quella casa, in quel salotto, conservo tutti i ricordi della mia vita.