Quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza”. Così si esprimeva Lorenzo il Magnifico nella Canzona di Bacco e Arianna. Questo verso, molto attuale sino a 3 mesi orsono, pare essere distante un tempo infinito. E’ davvero complicato avere 30 anni e dover affrontare l’emergenza legata al coronavirus. Ho detto una banalità? Sì, ma purtroppo mi sembra una verità assoluta che deve essere rimarcata. E’ semplice affermare una simile tesi, ma non comprendere a fondo ciò che si sta sostenendo. Per alcuni pare quasi un aforisma che viene citato perché popolare, ma senza capire ciò che si vive realmente.

Chi vuol essere lieto, sia: di doman non c’è certezza. Prima di essere colpiti dalla tremenda situazione attuale, una simile massima avrebbe potuto essere pure insegnamento di vita. Ci si goda l’oggi perché il domani può portare qualsiasi sorpresa. Eh infatti … Si sperava in un futuro migliore, invece, si è piombati all’interno del peggior incubo possibile. La vita di 3 mesi fa non era semplice. Qualcuno potrà pensare che abbia una certa mania per il lavoro. Non è così. Credetemi. Il discorso è che il mestiere consente di guadagnare il denaro e senza il soldo non si mangia quindi non si campa. Mi pare un ragionamento piuttosto elementare. E’ assurdo pensare che lo Stato possa farsi carico di persone che trascorrono la loro vita a casa in panciolle. E’ utopistico. E’ irrealistico. Si utilizzi l’aggettivo più gradito. La disoccupazione era importante e il noto reddito di cittadinanza, positivo o negativo che sia, non poteva essere di certo la cura di tutti i mali. Tutto sommato, però, la maggior parte dei giovani poteva vivere una vita piuttosto serena. Escluse alcune eccezioni, non si aveva il tenore tipico del nababbo, ma si poteva far fronte in maniera piuttosto adeguata ai bisogni che consentivano di essere felici e di poter guardare al futuro con speranza. Si desiderava una convivenza o un matrimonio? Con qualche importante sacrificio, per molti era possibile. Pure il sogno di maternità, o paternità, era sostenibile. Per quanto riguarda i divertimenti, di certo in pochi potevano concedersi una vacanza extralusso a Miami, ma qualche giorno al mare o in montagna oppure una visita a una città d’arte o a una pinacoteca pareva fattibile così come concedersi un bagordo con gli amici o un costoso abbonamento alla paytv. Si riusciva, insomma, a essere lieti perché “del doman non c’è certezza”.

Il “doman” è arrivato con il suo carico di desolazione. Molte persone ne rimarranno segnate a vita nell’animo e nel corpo. La psichiatra americana Judith Lewis Herman afferma che: “dopo un’esperienza traumatica, il sistema umano di auto-conservazione sembra essere in uno stato di allerta permanente, come se il pericolo potesse tornare da un momento all’altro”. Chi ha vissuto una situazione simile sa perfettamente che si tratta della verità. Se qualcuno ha dovuto subire un importante intervento chirurgico, comprenderà esattamente la situazione e ogni volta che si deve recare a una visita medica di qualsiasi genere potrebbe percepire quel malessere. Prima dell’operazione, invece, affrontava l’attività in maniera molto più distaccata. Un esempio più semplice può essere quello del calciatore che si infortuna giocando. Non si pensi alla serie A. Si badi all’amatore. Più l’acciacco è stato importante, più è difficile che questi ritorni sul campo di calcio e, se lo farà, sarà solito levare la gamba nel momento del contrasto. E’ così. Chi adotta un simile comportamento non è pusillanime. E’ naturale che ciò avvenga. Come ogni regola, chiaramente, vanta la sua eccezione che può essere notata tra persone differenti o anche relativamente al singolo individuo. Magari esiste l’uomo che ha subito sia l’intervento importante che il malanno praticando il suo sport preferito. Potrebbe temere ogni ospedale, ma avere talmente tanto amore per la disciplina che pratica da esercitarla come se nulla fosse accaduto. Dopo aver cercato di chiarire il punto, torno al discorso inziale. Il periodo che stiamo vivendo rimarrà marcato indelebilmente nelle nostre menti. Qualche giorno fa, Adnkronos riportava un preoccupante allarme lanciato dell’ordine degli psicologi secondo il quale, dopo un mese di lockdown, il 63percento delle persone soffriva di insonnia, ansia e depressione. E’ una situazione tragica e ribadirò sino allo strenuo che questi problemi devono avere il medesimo riguardo che si è concesso all’angoscioso dilemma sanitario. Una parte troppo importante della società è guidata dalla “miopia” per cui osserva l’emergenza solo ed esclusivamente da un punto di vista. Oserei quasi sostenere che l’aspetto psichico diventa ora preponderante rispetto a quello economico. Il motivo mi pare piuttosto semplice. Quando cede la mente, tutto è perduto. Non esiste peggior malessere che ciò che colpisce l’anima. Se questa decide di abbandonarsi, la situazione diventa insostenibile e diviene inutile sia la ricerca della salute corporale che quella di un futuro migliore. Purtroppo, si è già assistito a più di un suicidio legato alla terribile emergenza che stiamo vivendo e, siccome in questo pezzo vorrei trattare dei giovani, riporto il caso di un 29enne che si è impiccato alla tromba delle scale. Scusate la freddezza delle parole, ma gradirei rendere l’idea. Il fatto è accaduto a Carmagnola, nel torinese, e lo leggo su un’edizione online del Mattino datata 30 marzo. L’uomo aveva perso il lavoro. L’archiviazione di queste situazioni come casi isolati di persone con particolari difficoltà non mi pare accettabile. Non è così. La morte di questo ragazzo non ha nulla di differente da quella di un individuo che ci ha lasciato a causa del virus. Non può passare un simile messaggio. E’ necessario urgentemente farsi carico di tali situazioni perché il futuro è nelle nostre mani e deve essere curato adesso altrimenti sarà troppo tardi.

Tornando all’aspetto lavorativo, non ci sono grandi prospettive. Si diceva che, essendo forte e globale, questa crisi economica avrebbe potuto portare a un cambiamento radicale simile a quello del dopoguerra e a un probabile rilancio potente del settore in difficoltà. Concedetemi di dubitare di tale tesi. Non è che vanti particolari competenze in materia, ma i tempi sono diversi e paragonare una situazione odierna con quella di 80 anni fa mi pare quantomeno azzardato. Nell’immediato si dovrà soffrire e stringere i denti. La faccenda non era semplice 3 mesi or sono e, per il momento, è soltanto peggiorata. Poi, si vedrà. Trovare un’attività redditizia visto lo status quo mi sembra alquanto complicato. Occorre attendere. La domanda non può che essere aumentata a fronte di un’offerta già bassa e ulteriormente diminuita. Chi cerca di far ripartire l’Italia, non è un folle visionario che disprezza la vita e ama il pericolo. Si tratta soltanto di individui che guardano al futuro e comprendono che, se non si vuole creare una situazione simile a quella di alcune metropoli sudamericane con una netta divisione ricchi e poveri, è necessario concedere ossigeno alla piccola e media impresa. Questa sfama gli individui e consente ai giovani di lavorare. Non voglio ora entrare in tematiche politiche che non sono certo l’obiettivo di questo scritto. Intendo soltanto affermare che il substrato economico del Paese necessita di tale fondamentale fetta di lavoratori. E’ vero, alcuni settori come il delivery o ultimamente quello agricolo stanno garantendo chance, ma sono in minoranza rispetto alle richieste. Occorre combattere in tutti i modi la disoccupazione e, più che fornire reddito a chi non opera, sarei propenso a un implemento delle opportunità. Il motivo è piuttosto banale. Da un punto di vista freddo e distaccato, se si lavora, si aumentano i bisogni e di conseguenza l’economia ne avrebbe un beneficio generale. Avere un’attività, inoltre e soprattutto, aiuta a occupare il tempo e consente all’individuo di percepire verso se stesso un sentimento di utilità. Questo gli permette di conquistare fiducia nella propria persona. Se vivesse in casa, mantenuto, rischierebbe di avvertirsi come un peso nei confronti della società. Chiaramente non è così perché non ha alcuna colpa della situazione, ma la mente opera con meccanismi particolari che non sempre sono razionali. Si pensi anche alla noia. Questa maledetta sensazione accompagna presto le giornate di chi non può lavorare. Non esiste peggior incubo. Tale situazione porta sovente a tristi conseguenze. Sono tante le condotte criminose motivate dal voler fuggire alla monotonia. L’essere attivi, invece, allontana pure i “cattivi pensieri” e le paure, non accordando il tempo per il rimuginio.

Marx sosteneva che l’uomo è alienato da se stesso in quanto la ripetitività dell’attività svolta gli provoca tale sofferenza. Per lui, l’opera dovrebbe essere creativa. In effetti, è vero. Occorre non eccedere. E’ giusto trovare il corretto equilibrio. Il concetto è che bisogna lavorare per vivere. Non il contrario. E’ difficile coniugare professione e passione. Chi riesce in tale esercizio può ritenersi assolutamente fortunato, ma è inconcepibile una quotidianità composta da 3 elementi: compito, alimentazione e sonno. Se l’esistenza è così strutturata, con il trascorrere del tempo può divenire deleteria. Proprio all’uopo giunge, per esempio, lo smart working ancora accettato a fatica da molte imprese. In effetti, migliorerebbe parecchio lo stile di vita di tante persone e di conseguenza tutta la struttura sociale ne gioverebbe. Attenzione, perché questo periodo in cui si è stati forzatamente obbligati a una simile condizione potrebbe risultare come scossa decisiva. Se da un lato parecchie aziende preferiscono i precedenti modelli, altre invece si adeguano alla novità. Tanti abili professionisti con un importante curriculum e appeal avranno il potere di dirigersi verso società che concedono una simile opportunità mettendo così in gioco anche le altre. Il libero mercato e la concorrenza si manifestano pure in questi termini.

Sono 2 mesi che viviamo un pesante lockdown, uno dei più duri tra tutti i Paesi. Si affermava che saremmo stati tra i primi a entrarvi, quindi, anche a ripartire. In effetti, alcuni settori hanno ricominciato la loro attività, altri non l’hanno mai sospesa, qualcuno riprenderà e qualcun’altro non sa ancora cosa ne sarà del proprio futuro. Credo sia una situazione di una gravità allucinante. Il Ministro dello Sport e delle Politiche Giovanili emette un comunicato insieme a quello competente al dicastero della Salute sostenendo che le indicazioni di un Comitato Tecnico Scientifico sono “stringenti e vincolanti. Con il massimo rispetto per la scienza, continuo a sostenere che questa debba proporre e la politica disporre. Ciò vale anche in un’emergenza sanitaria perché le esigenze sono molteplici e lasciare spazio soltanto a una, come sostenuto, rischia di essere molto pericoloso. Talune affermazioni, però, fanno dubitare di tale concetto che è norma giuridica e non idea personale del sottoscritto. L’immobilismo che spesso veniva rimarcato non è totalmente scomparso, ma si nota un moto positivo verso il futuro. Alcune attività, però, sono ancora troppo bloccate e lasciate a un domani assolutamente nebuloso senza una visione concreta del futuro. Il CTS non può assumersi la responsabilità di scelte politiche. Sono i governanti che, con coraggio e attenzione alla salute, devono concepire una ripartenza generale. Non ci si può permettere di lasciare indietro nessuno. Il Paese è stato unito nel dolore e deve esserlo pure nelle possibilità di rilancio. Purtroppo, debbo constatare che non sempre è così e altri Stati mi paiono più attrezzati o consapevoli di noi. A 30 anni, è difficile vivere questa realtà dato il grande amore che si nutre verso l’Italia e nei confronti di chi ha agito per donarci il benessere nel quale viviamo.

A proposito di coetanei, concedetemi di concludere questo pezzo con un briciolo di serenità che si può trovare nel vedere una donna riportata a casa dopo mesi di prigionia nelle mani di folli criminali. Non possono passare come teneri carcerieri. Non mi interessa della sindrome di Stoccolma, non mi importa della conversione della ragazza. Sono situazioni personali nelle quali non voglio entrare. In questi giorni di angoscia assoluta sono soltanto felice di vedere una luce in fondo al tunnel del virus che magicamente combacia con questa fantastica sorpresa. Certo, sapere che l’Italia potrebbe essere scesa a trattative con dei terroristi non è certamente da sottovalutare e nemmeno è apprezzabile il clamore mediatico che la liberazione ha avuto perché ritengo che certe gioie debbano restare più intime onde evitare poi di ricadere in tristi diatribe dialettiche o in inutili autocelebrazioni.
Detto questo, la felicità per una vita ritrovata non ha prezzo.