Il mondo si è sempre diviso. Guelfi contro Ghibellini, Monarchici e Repubblicani, Destra vs Sinistra. La storia è ricca di posizioni contrastanti. L’articolo 21 comma 1 della Costituzione è sacro e lapidario: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. E’ la tutela della libertà alla massima potenza. Ancora una volta questo capolavoro giuridico si impone come un totem delle espressioni individuali. La Magna Carta Italica è la salvezza del Popolo medesimo. Fortunatamente e giustamente è la prima fonte del diritto perché, in ogni altro modo, un concentrato simile di saggezza sarebbe stato sperperato. Ognuno può manifestare liberamente il proprio parere e da questo ne derivano le più diverse situazioni. “A ogni essere umano è stata donata una grande virtù: la capacità di scegliere. Chi non la utilizza, la trasforma in una maledizione – e altri sceglieranno per lui”. Questo è il pensiero di Paulo Coelho, egregio autore sudamericano. E’ proprio così. Nella vita è importante rimanere assolutamente informati su ciò che la realtà propone per riuscire a crearsi una propria idea e quindi un punto di vista che sarà fondamentale. Se non si compie tale opera, il rischio è quello perfettamente sottolineato dallo scrittore brasiliano.

Così si originano le divisioni e i diversi schieramenti. Questi sono un bene ed evitano il proliferare di sistemi totalitaristici-dittatoriali. Le diverse “formazioni” non devono condurre alla guerra, ma a un utile brainstorming. Norberto Bobbio è considerato un emblema per i teorici del diritto e per la filosofia politica. Il giurista affermava: “Ho imparato a rispettare le idee altrui, a capire prima di discutere, a discutere prima di condannare”. Il confronto con l’altro porta alle decisioni migliori perché, partendo da situazioni distanti, sicuramente la volontà di mediazione guida a un bilanciamento delle esigenze che è la soluzione vincente. Non è un caso se le leggi si discutono all’interno del Parlamento. Quest’ultimo è composto da maggioranza e opposizione. Non è soltanto una parte che decide altrimenti il rischio sarebbe quello di soddisfare una fetta del Paese che non rappresenta l’integralità e comunque di indirizzarsi in maniera troppo evidente verso una direzione. Servono, invece, collaborazione e condivisione. Pure tale struttura legislativa deriva dalla Costituzione.

Anche l’attualità propone una divisione che rimarrà nella storia. Questo bipolarismo viene indicato con la terminologia di “aperturisti” e “non aperturisti”. Non ho mai amato suddividere la realtà in categorie così nette e rigide. Sono ben conscio che al loro interno vantano differenze importanti. E’ impossibile che un sistema di persone sia così deciso e indirizzato verso una sola idea, ma è doveroso trovare un’univoca sintesi banalizzante e semplicistica. Questo è utile per lo studio e l’analisi della situazione. D’altronde anche i libri di storia paiono percorrere una simile strada.

L’attuale pandemia non ha avuto alcun pregio perché ha seminato morte, desolazione, terrore e paura dell’altro. “L’uomo è un animale sociale” sosteneva Aristotele. Il timore di approcciarsi al prossimo non può che divenire qualcosa di assolutamente stridente se confrontato alla nostra natura, ma il covid-19 ci ha forzatamente costretto a vivere tale realtà. Vedevo in televisione l’immagine di un bambino che ritrovava il padre. Il genitore pareva pronto a stringerlo tra le sue gioiose braccia quando il fanciullo si è ritratto con timore. Lo psicologo che descriveva la scena ha parlato di “trauma”. E’ logico che il comportamento giuridicamente corretto fosse proprio quello dell’infante, ma non è normale che sia così e la vita dovrà lentamente riportarci sulla retta via. Scusate, non sono solito emettere giudizi di merito. Ritengo che tutto sia soggettivo, ma qui si tratta dell’essenza umana. Le persone sono create per stare insieme. Su questo penso che vi siano poche possibilità di dibattimento. Una delle rare situazioni positive che si possono trarre dall’emergenza coronavirus è l’unità di intenti. Seppur su posizioni diverse, la volontà unanime è quella di sconfiggere lo sgradito ospite. Come sostenuto recentemente da Sconcerti su Calciomercato.com, stiamo vivendo la storia. Questa ci spinge a debellare il male.

Il target verrà centrato, ma vi si giungerà su posizioni differenti. Così si sono formati i 2 schieramenti prima nominati. Entrambi vantano pure un secondo punto fermo e definito all’unanimità. La priorità deve essere garantita alla vita degli individui. L’esistenza umana è qualcosa di magnifico. Per chi è cristiano rappresenta l’apice della creazione. Ogni persona è frutto di un immenso atto di amore che consente alla specie di mantenersi salva. Chiunque è su questa terra ha degli affetti e verso di lui esiste il massimo rispetto. La sua scomparsa non può che determinare dolore in qualcun’altro. Si pensi sempre alla madre che deve assistere alla morte del figlio e si percepisce realmente la fonte estrema della sofferenza. Nessuno oserebbe mai permettersi di non considerare fondamentale ogni singolo istante di tutte le creature. Gli obiettivi, però, si possono raggiungere in maniere differenti.

Le fila degli “aperturisti” sono nutrite da chi ritiene che nel concetto di salute non vi sia soltanto la lotta al covid-19, ma pure altre molteplici esigenze. Questi affermano che l’economia sia fondamentale all’interno di un Paese perché consente ai suoi cittadini di sfamarsi. A sostegno della tesi, poi, viene anche un aspetto psicologico. Una persona non è abituata a restare chiusa all’interno della propria abitazione. Percepisce la necessità di uscirne proprio allo scopo di esprimere la sua socialità. Non è un caso se una delle misure previste dal nostro Codice di Procedura Penale siano proprio gli “arresti domiciliari”. E’ chiaro che non si tratta di un paragone applicabile, ma quanto dovuto affrontare è stata una forte limitazione della libertà personale tutelata dall’articolo 13 della Costituzione: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”. Non sto sostenendo che quanto accaduto abbia violato i dettami dalla principale fonte del diritto italiano. Non sono io a poterlo giudicare. Non voglio nemmeno ricadere in un dibattito giuridico. Soltanto riporto una teoria alla quale si oppongono i “non aperturisti”. Loro, invece, perseguono l’obiettivo primario della sconfitta del virus osservando soltanto questo. Solamente senza il terribile nemico si potrà ragionare sulle altre necessità e ritornare a una vita normale. La scienza, infatti, concepisce il distanziamento sociale come unica arma contro il covid-19. Non esiste alternativa. Occorre rispettare strettamente le indicazioni che da essa provengono per riuscire a centrare il risultato. A sostegno di tale ipotesi è richiamato l’articolo 16 della Costituzione: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge”. La norma è abbastanza emblematica. Non credo abbia necessità di ulteriore specifica.

Sono stato intenzionalmente piuttosto scarno e banale. Non voglio, infatti, pormi nei panni di terze persone e spiegare quale sia il loro pensiero. E’ un’attività che non mi compete. Mi sono limitato a sottolineare le posizioni generalizzando la situazione. Chi ha ragione? Il tempo potrebbe essere giudice supremo, ma solitamente la realtà non favorisce né un pensiero né l’altro. E’ assolutamente logico che sia così. I latini dicevano “in medium stat virtus” e, pure nelle diatribe legali, una parte non soccombe quasi mai totalmente all’avversaria. E’ chiaro e deve essere ribadito a gran voce che la vita delle persone è un bene primario e non è giustificabile il sacrificio di alcuno. Ogni Paese, poi, ha i suoi modelli comportamentali. I vari popoli hanno culture diverse e, senza ricadere nello stereotipo, questo pare un fatto piuttosto appurato. L’esempio è semplice. La Svezia sta affrontando il coronavirus con strumenti totalmente diversi dai nostri e ha persino ricevuto i complimenti da parte dell’OMS. Pure a queste latitudini, però, riusciamo ad arginare il temibile nemico. Non esistono soltanto tali 2 situazioni che potrebbero apparire come estreme perché, osservando il modello tedesco, si può notare come esista una “via media”. Pure questa sta portando a risultati sperati. Siccome ogni teoria sembra raggiungere il target, verrebbe da dire che “tutte le strade portano a Roma”. Qualcuno potrebbe persino ipotizzare che la malattia abbia fatto il suo percorso naturale e ora si stia lentamente adagiando. Non sono un virologo e non posso esprimermi in tal senso, quindi, non mi permetto di affermare una simile tesi. Mi sia consentito, invece, di sostenere che forse non esisteva un’unica direzione percorribile e che la scienza avrebbe potuto pure scendere a compromessi con le altre esigenze. Lungi da me dichiarare che il “modello italiano” sia sbagliato. Per carità. Semplicemente è stato molto rigido. Qualcuno potrà replicare che il nostro stile di vita necessitava di una simile intransigenza per risolvere il problema. Può essere. Non è però ammissibile “fare di tutta l’erba un fascio” ed è necessario rendersi conto che alcune persone hanno sofferto parecchio. Queste potrebbero pure avere perso il lavoro, fonte di sostentamento, o la salute psichica a causa delle restrizioni ritenute assolutamente obbligatorie. Tali conseguenze sarebbero giunte senza avere alcuna colpa e ai più non è mai balenato nell’anticamera del cervello di infrangere le regole vigenti. E’ assolutamente obbligatorio ricordare che la stragrande maggioranza del Popolo Italiano rispetta ciò che gli viene imposto per il bene altrui e io ne sono molto fiero.

Sia chiaro. Il riferimento non è generale. Mi è capitato, però, in più occasioni di udire persone tacciate di ignoranza o di mancanza di rispetto per il prossimo soltanto perché caldeggiavano la tesi aperturista. Vorrei, per l’ennesima volta, cercare di spiegare i motivi di una tale ipotesi. La Caritas ha recentemente sostenuto che in questo periodo di emergenza le richieste di aiuto siano aumentate del 40percento. E’ un dato incredibilmente triste e preoccupante. Non siamo ancora usciti dall’emergenza e urge ricordarlo in quanto occorre tenere comportamenti saggi e rispettosi delle norme. Se così sarà, però, potremo presto rivedere la luce dopo le fitte e lugubri tenebre nelle quali siamo piombati. Bisogna tenere un profilo basso e lavorare sodo anche perché poi vi saranno gravi problemi economici. Il tempo dell’emergenza è direttamente proporzionale alla quantità di difficoltà future che dovremo affrontare. Sostenendo una tesi meno rigida si cerca soltanto di invertire il trend del descritto andamento in modo tale da garantire agli individui di mantenersi il più lontano possibile da un eventuale stato d’indigenza. Non è finita qui perché lo scopo era pure quello di evitare gravi crisi psicologiche. Non tutti riescono a resistere in un ambiente ridotto e chiuso per interi mesi. Non mi stancherò mai di pensare ad alcune realtà cittadine che vedono intere famiglie in pochi metri quadrati. A loro voglio far pervenire tutta la mia vicinanza avendo io avuto la fortuna di vivere questo isolamento in una casa con un grande giardino. Gli aperturisti non sono untori e nemmeno persone che odiano la vita. Tutt’altro. Sono individui lungimiranti che provano a non soffermarsi sul problema attuale per poi doverne affrontare uno ferocemente grave in futuro.

Si tratta soltanto di differenti punti di vista. Solitamente ragiono a piccoli passi. Mi spiego. Sono tra chi ritiene che sia corretto occuparsi di un problema alla volta onde evitare di creare confusione. In questo caso, come potrebbe accadere anche in altre occasioni, la tematica è così sfaccettata e delicata che credo possa risultare piuttosto “miope” concentrarsi su un solo obiettivo. D’altronde vi sono tanti esperti che possono coadiuvare i governanti su più fronti differenti. La difficoltà sta proprio nel bilanciare le esigenze, ma trattasi di un esercizio necessario e salvifico. E’ stato gestito in maniera corretta? Anche in questo caso, come sottolineato pure dal Premier Conte, il tempo fornirà le opportune risposte. Tale specifica, però, sarà calcolabile numericamente e l’arbitro potrebbe essere più indicativo in un senso o nell’altro.

In attesa di ulteriori risposte ci si concentri su alcune riflessioni che potrebbero risultare davvero utili. In un precedente articolo ho provato a trattare di scienza, politica e medicina. Ora vorrei sostenere la tesi dello smart working. Ammetto di essere un po’ di parte. Ho sempre caldeggiato tale ipotesi anche in tempi lontani dal virus. Non mi spiegavo, infatti, quale fosse la necessità di costringere parecchi pendolari a viaggiare per tanti chilometri ogni giorno. Si tratta di un’ingente spesa in termini di tempo e denaro che mi appare davvero completamente inutile. Siamo nel 2020 e le tecnologie devono essere adeguate a quest’epoca in modo tale da consentire alle persone di risparmiare risorse rispettando l’ambiente. L’impatto positivo del covid-19 sulla tossicità dell’aria è così imponente da far immaginare che a volte la natura possa essere molto crudele nell’autoregolarsi tramite strumenti nefasti. D’altronde il sistema ha bisogno di mantenere i suoi equilibri. Lungi, però, dal volere sostenere una tesi così aspra e fredda. Qualcuno ritiene che il lavoro da remoto sia contrario alla socialità. Mi sia consentito di dubitare di una simile ipotesi. Sarei contraddittorio se sostenessi un’attività che collide con quanto ho sempre ritenuto essere caratteristica essenziale dell’uomo. Penso, invece, che lo smart working consenta di attivare rapporti sociali ancora più “sani”. Mi spiego. I colleghi sono sovente ottimi amici, ma può pure capitare che si faccia volentieri a meno di vederli. Con il lavoro a distanza, alcune situazioni di mobbing sono evitabili e la persona ha la possibilità di coltivare meglio le amicizie nelle quali crede veramente. Quelle che predilige. Nulla vieta, poi, di incontrare giornalmente per un caffè o un aperitivo un individuo con il quale si condivide la professione. E’ però una scelta. Si pensi, inoltre, alla famiglia. Personalmente la considero bene primario. Lo smart working permette di dedicarle maggior tempo e migliori energie. Lo stesso vale per la cura del corpo. Quando si arriva a casa esausti dopo 8 ore di lavoro e 2 o 3 di viaggio diventa impossibile conciliare l’attività fisica alla stanchezza. Se si opera da casa, invece, si può più semplicemente recuperare un ritaglio di tempo. Attenzione, poi, all’ambito psicologico della questione. Se si lavora in un quartiere totalmente diverso da quello in cui si è domiciliati, non si vivrà appieno né l’uno e nemmeno l’altro trovandosi così spaesati all’interno di entrambi. In sostanza, ove possibile lo smart working potrebbe essere una grande conquista giunta anche grazie a chi è meno aperturista.

Questo era soltanto un esempio per rimarcare che ogni posizione può sempre nascondere aspetti positivi e non deve essere tacciata come “il male” a prescindere. E’ un atteggiamento che constato, ahimè, esistente in quest’emergenza e che pare provenire soprattutto da una parte. E’ chiaro che non è una prassi generale, ma sussiste.