"Maladetta sie tu, antica lupa, che piú che tutte l’altre bestie hai preda per la tua fame sanza fine cupa!"
Non potevamo che esordire così, nella giornata nazionale dedicata al sommo poeta Dante Alighieri. E chiediam venia se lo stile aulico non s'addice al pallonaro disquisire. 

Sono passati esattamente quattro anni, o poco meno, da quel celeberrimo Europeo U21 in cui il buon portiere degli azzurrini si vide inondare la testa e le spalle dalla pioggia di finti dollari: Dollarumma, si disse all'epoca. E sono scene turpi che, in cuor nostro e con tutta onestà, non vorremmo rivedere mai più. 
In ogni modo, e giusto per la mera cronaca, la questione finì circa un mese dopo, con un rinnovo da sei milioni di euro a stagione (netti, ovviamente) per quattro stagioni, di cui quella attuale (2020/2021) è l'ultima.
Tra un paio di mesi, per andare al sodo della faccenda, Gianluigi Donnarumma sarà un calciatore svincolato, cioè libero da contratto e libero di firmare per qualsiasi altro club al mondo, senza costi di cartellino.
Tradotto: nessun indennizzo (o meglio, per restare ai vocaboli più contemporanei, nessun ristoro) per l'AC Milan di Milano, che attualmente detiene la proprietà delle sue prestazioni sportive. 
La questione è spinosa, gli interessi molteplici ed il tempo per soddisfarli tutti davvero poco: probabilmente, siamo costretti a dire, è ormai impossibile trovare una quadra che escluda notevoli passi indietro di una parte, o di entrambe. Da un lato c'è una richiesta irrevocabile (finora) da dieci milioni netti a stagione, dall'altra un'offerta di otto che è già considerata la migliore possibile (ed impossibile da migliorare, finora). 
Quindi, sgombrato il terreno dalla poesia, di cosa stiamo parlando?
Di soldi, di vil denaro. 
E sia ben chiaro a tutti: qui non c'è un banco degli imputati e non ci sono imputati, come non ci sono giudici. La questione è questione di moneta sonante per tutte le parti in causa.

LA GUERRA DI MINO. Il protagonista più chiacchierato di questa guerra contrattuale, sembra lui: Carmine Raiola, in arte Mino, da Nocera Inferiore. Professione: procuratore sportivo. Ed utilizzo il verbo "sembrare" e non il verbo "essere" per una ragione ben precisa e ponderata: Raiola, in questa faccenda, è una figura "di riflesso", tecnicamente sarebbe un comprimario e non certo un protagonista. Si discute del rinnovo contrattuale tra l'atleta Gianluigi Donnarumma e la società sportiva AC Milan, Raiola rappresenta il primo nei contronti della seconda. Eppure, agli occhi di tutti, la foto da stampare in prima pagina deve essere la sua (e l'abbiamo fatto anche noi, per non esser da meno!).
Il punto di vista di Raiola è semplice, scarno, quasi banale nella sua essenzialità: fare quanti più soldi possibile, diventare quanto più ricco possibile e far diventare quanto più ricco possibile il proprio assistito. L'ha sempre fatto, non ha mai badato a sentimentalismi e frasi fatte da Libro Cuore del calcio.
Ha detto di se stesso: "Io sono un supercapitalista. Il supercapitalista vuole tutti più ricchi. E io sono così. Io voglio che diventano tutti ricchi nel calcio, così posso offrire grandi contratti a grandi giocatori, il sistema diventa più ricco, diritti tv più ricchi, tutti più ricchi". 
Altro da aggiungere? Fine, amen.
L'obiettivo, dichiarato nei fatti se non nelle parole, è quello di portare via i propri assistiti dai rispettivi club quante più volte è possibile, magari a parametro zero (quindi a contratto scaduto o in scadenza prossima), in modo da ottenere dal prossimo club un ingaggio (per lui) e una commissione (per sé) molto più alti, secondo uno schema brutale: non ti faccio pagare un cartellino da 50/60/70 milioni di euro, almeno sii grato e "gonfia" la nostra parte. 
Giusto? Sbagliato? Non siamo qui a farne una questione morale e neanche etica. It's business, Sir! 
Chiedere a Ibrahimovic se lo schema funziona.

GIGIO IL SILENTE. Poi c'è lui, Gianluigi Donnarumma in arte Gigio, classe 1999, professione portiere di calcio, già milionario dalla tenera età di 18 anni. Anche qui, non è una colpa (semmai è un merito che gli invidiamo): stiamo solo esponendo banalissimi dati di fatto.
La firma sul contratto dovrebbe essere la sua, che sia su carta intestata dal Milan o da altra società sportiva, ma egli non parla: "Sta' zitto e non parlare. Nemico dell'amore è la sincerità", diceva Arcangeli a Giuseppe, nel grande capolavoro del neorealismo italiano Sciuscià, di Vittorio De Sica.
Gigio ha fatto filtrare, più volte, in tempi sospetti e non, il suo amore viscerale per il club rossonero, la sua squadra del cuore oltre che il club che gli ha dato la possibilità reale di crescere professionalmente e diventare un top player di caratura internazionale. Oltre che un giovanissimo milionario, per inciso e sempre senza polemica. 
Ma la prospettiva di guadagnare ancora più milioni, o magari giocare in una squadra che (in questo momento storico) ambisce a risultati sportivi maggiori rispetto al suo Milan, è proprio da escludere? Siamo sicuri che nella mente del giovane Gigio non si sia insinuato il tarlo del dubbio? Chiederselo è lecito, la risposta probabilmente non la sapremo mai.

IL CLUB NELLA TEMPESTA DI FUOCO. E poi, dulcis in fundo, c'è il Milan, la società, il club. L'unico soggetto di questa vicenda che, comunque vada, può solo perderci: ben inteso che gli altri due, alla fin fine, possono solo guadagnarci di più, si tratta di capire quanto e come.
Nell'ipotesi migliore, Donnarumma rinnova e bisogna corrispondergli un ingaggio over the top, che sfori qualsiasi salary cap finora imposto e ponga tutti gli altri tesserati nella condizione di poter chiedere un sostanzioso aumento. 
Nell'ipotesi peggiore, Donnarumma va via a parametro zero ed il Milan perde un proprio capitale, economico e sportivo, senza beccarci un quattrino e senza fare nessuna plusvalenza su un prodotto del proprio vivaio. E dopo avergli elargito, in quattro anni di professionismo, la bellezza di quarantotto milioni di euro lordi. Un capolavoro degno del manuale "Come rovinarsi con le proprie mani: le dieci cose che un manager non deve fare". 

Anche qui, nessuna intenzione di porre la società rossonera su un piedistallo morale rispetto alle controparti. Non fosse altro, al di là dell'innegabile amore per i colori, che la società stessa agisce tramite i proprio dirigenti. E di cosa parliamo? Ivan Gazidis, amministratore delegato, ha firmato per il Milan un contratto da 3,2 milioni di euro netti a stagione, cifra che fa di uno dei dirigenti più remunerati d'Italia e d'Europa. Non è una critica, è un semplice fatto: senza quello stipendio, probabilmente il buon Ivan non siederebbe sulla poltrona più importante di Via Aldo Rossi, ma sarebbe altrove o ancora a Londra (dove, sempre per la cronaca, percepiva qualche centinaia di migliaia di sterline in meno).
Ed anche Paolo Maldini, la leggenda rossonera a capo del settore tecnico, con risultati ottimi e quasi sorprendenti, ha acconsentito al suo ritorno nel club "di famiglia" solo in cambio di uno stipendio da un paio di milioni di euro, che di fatto lo rende il dirigente sordiente più pagato del mondo. Anche qui, per l'ennesima volta e con la certezza di essere ripetitivo e molesto: nessuna critica, solo un fatto. Senza soldi, Maldini sarebbe rimasto una leggenda senza poltrona: per sedere su quella poltrona, con relativi onori ed oneri, servono le milionate.

Non resta che attendere l'esito di questo enigmatico menage a troi, parteggiando per il nostro club del cuore ma ben consapevoli di una cosa: Del no, per li denar, vi si fa ita.