Leggendo l’intervista appena rilasciata da Gazidis monta ancora di più la rabbia, ma allo stesso tempo si riaccendono concreti elementi di speranza.

Il calcio italiano, il tifo rossonero, non hanno ancora metabolizzato un processo che, occorre farsene una ragione, ci coinvolgerà sempre di più negli anni a venire: un’impresa statunitense, perché un fondo è un’impresa, comunica con la base molto di rado. Non lo fa per rincorrere smentite quasi quotidiane, o per sedare pettegolezzi, non lo fa al montare della protesta o dello sconforto: lo fa semplicemente per enunciare il proprio progetto una volta che ogni step è stato compiuto e ci si accinge al passo successivo.

La rabbia deriva dal fatto che non c’è più chi si sovraespone mediaticamente per captatio benevolentiae: si chiami esso Fassone (che non sapeva esattamente di cosa parlava), o il Berlusconi degli anni di gloria che sottolineava (e giustamente) ogni settimana la grandezza del suo operato. Oggi la logica è diversa.

Gazidis parla di un signore americano, noto in tutto il pianeta, con mezzi stratosferici, che non ha alcuna intenzione di far decadere alcun ramo tra gli interessi che gestisce, che intende farlo prendendosi i tempi necessari, commettendo errori inevitabili, ma progredendo in maniera costante. Questa, indubbiamente, la parte della dichiarazione che più di ogni altra deve riaccendere la speranza del rossonero, passionale, disincantato, fiaccato. La strada rimane intatta, e la fine di questa strada è il Milan con lo stadio più moderno del mondo e rientrato a pieno titolo tra i top club mondiali! 

Tanta roba come si direbbe oggi. E a rafforzare le speranze c’e’ proprio l’abitudine di colossi d’impresa come Elliott a non perdere le scommesse, dove per scommessa s’intende la capacità di far fruttare ogni bene che si gestisce.

Si sono visti deboli segnali ad esempio nella cessione di Suso che rappresentava un’eterna involuzione dal punto di vista tecnico cui nessuno riusciva a rinunciare, oltre che un peso per i bilanci; non escludo che, per il secondo motivo, si rinunci a Donnarumma in estate. Maldini, Boban e Pioli, come tutte le facce di una multinazionale, sono aspetti strumentali, funzionali: appurato che questi aspetti non portano alla meta nei tempi prestabiliti, semplicemente si sostituiscono, come Rebic in vece di Andre Silva.

Lo scopo è un club senza eguali tecnici, finanziari, strutturali ed organizzativi, il mezzo è costituito dagli uomini che si alternano per arrivarci.

Questo può non piacere perché fa piazza pulita di ciò che del calcio abbiamo sempre creduto fosse l’essenza, ovvero le bandiere, le figure, le icone, ma abbiamo l’obbligo per una volta, di credere che i nostri giudizi dovranno necessariamente essere definitivi al termine di questa missione. Quando il Milan sarà diventato uno dei migliori club al mondo, con conti, organico, stadio presi ad esempio da tutti gli altri.

Quello cioè che siamo sempre stati.