Correva l'anno 1995 quando un calciatore belga Jean Marc Bosman, tesserato per il RFC Liegi, ma benchè in possesso di un contratto scaduto, che - per le norme dell'epoca- non gli consentiva di lasciare il club di appartenenza, presentò un'istanza alla Corte Europea per potersi tesserare con un altro club. La corte accolse le ragioni del calciatore e sostanzialmente ratificò su scala UE una norma nota come Legge Bosman. Sostanzialmente la Corte equiparò i calciatori a lavoratori dipendenti, avviando una vera e propria rivoluzione calcistica.

In Italia per la verità la nascita del Sindacato calciatori -AIC (di cui fu artefice l'avvocato Sergio Campana, ex calciatore  di serie A del Lanerossi Vicenza, che costituì l'associazione il 3 luglio 1968 e ne assunse la Presidenza fino al 2 maggio 2011...ndr)  aveva già portato ad una serie di importanti norme di tutela, tra cui la possibilità per il calciatore di rifiutare i trasferimenti (1974), introduzione della firma contestuale per l'esplicita accettazione del trasferimento (1978) e qualificazione giuridica dello status di lavoratore del calciatore e conseguente definitiva abrogazione del vincolo da tesseramento (1981) e tante altre norme, alcune delle quali come l'abrogazione del tetto ingaggi che hanno avuto nel tempo negative ripercussioni sui club.

Abbiamo cavalcato a ritroso nel tempo necessariamente per stabilire il percorso che ha portato ad avere oggi una normativa estremamente favorevole ai calciatori.

Avessi qui un contraddittorio con esponenti dell'AIC, verrebbero certamente sollevate alcune obiezioni, molte delle quali persino obiettivamente fondate. Per esempio la tutela ha riguardato l'intera categoria dei tesserati professionisti, che oggi comprende squadre di serie A-B- e C. Ne derivano circa 2.400 calciatori professionisti ed è intuitivo spiegare che non tutti si chiamano Cristiano Ronaldo. Anzi ci verrebbe subito fatto notare che è persino presente il grave paradosso che coinvolge circa il 20% della categoria, che -proprio per gli effetti della Legge Bosman- si ritrova senza un contratto, anche se teoricamente libero di accasarsi con un club che lo scegliesse.

Quindi, guardando la categoria nel suo insieme, ci sono riflessi negativi anche per chi risulterebbe maggiormente tutelato; risparmio altre possibili eccezioni che potrebbero essere sollevate, tipo la breve durata della carriera calcistica, la enorme importanza economica del pianeta calcio, il rischio infortunistico e quant'altro possa verificarsi di anomalo all'interno dei club, che ricordiamolo sono delle SpA.

Tutto vero, salvo che purtroppo le società di A con i loro 450 tesserati sono un traino che sarebbe bene comunque salvaguardare sul piano economico, perchè il rischio che l'indebitamento crescente dei club faccia saltare tutto è dietro l'angolo.

E non ci si affidi alle norme UEFA sul FPF per supporre che esso sia il freno al crescente indebitamento dei club, primo perchè le regole del FPF riguardano solo le squadre che partecipano alle coppe europee, secondo perchè abbiamo ancora bene in memoria i casi che hanno riguardato società calcistiche di piazze importanti come Firenze, Napoli, Bari, Palermo.

Si sa, anche se non lo si ammetterà mai, che l'Ente preposto all'esame dei bilanci delle Spa calcistiche, la COVISOC se svolge un minimo di vigilanza per alcuni club minori, risulta assai più permissiva nei confronti dei club della massima serie, ma questo discorso ci porterebbe fuori dal tema.

Torniamo quindi alle ripercussioni che l'attuale normativa di tutela contrattuale dei calciatori professionisti, finisce con l'essere particolarmente ostile ai club; stiamo assistendo a casi  come quello di Icardi, Donnarumma, Higuain, Kessie, Dybala e compagnia bella, ossia calciatori che rifiutano di trasferirsi, anche a costo di produrre effetti economici nefasti ai club di appartenenza.

Se è vero che nessun club è obbligato a corrispondere ingaggi faraonici per più anni, è altrettanto vero che spesso le condizioni iniziali variano; cambiano le proprietà di club, cambiano gli allenatori e l'idea di gioco, cambia la situazione economica per una mancata qualificazione alle coppe.

Prendiamo una qualunque squadra che si qualifica alla Champions; appare ovvio che per ben figurare debba rafforzarsi e quindi acquisire nuovi calciatori; ebbene per mettere sotto contratto calciatori di livello Champions il monte ingaggi dovrà parimenti salire di livello; ovviamente questi nuovi contratti avranno durata poliennale; ma se dall'anno successivo il club non centra la qualificazione alla Champions, provate a immaginare quel che può accadere.

Per ripristinare l'equilibrio economico sarà necessario rinunciare a qualcuno dei buoni giocatori acquistati l'anno precedente; ma se questi rifiutano il trasferimento? E guai a fare pressioni eccessive o assumere provvedimenti che sanno di punizione, si rischierebbe una denuncia per mobbing.
Ecco quindi, a nostro avvisto, la necessità impellente di intervenire in qualche modo a tutela dei club ed è per questo che sosteniamo che vadano rivisti alcuni punti di natura contrattuale.

Primo: l'introduzione di un tetto complessivo di spesa per gli stipendi, determinato sulla base di alcuni parametri dell'ultimo bilancio ufficiale, come per esempio fatturato, indici reddituali e di equilibrio finanziario...

Secondo: la (re) introduzione di un tetto salariale per calciatore, secondo parametri facilmente riconoscibili età, titoli vinti, curriculum, infortuni...

Terzo: abbassamento della durata massimo del contratto a tre anni; trattative di rinnovo ammesse solo nei tre mesi precedenti la scadenza. Esclusa qualunque variazione salariale intra durata validità contratto.

Quarto: variazione della norma sui trasferimenti: il club potrà offrire fino a tre alternative di cessione; il calciatore potrà rifiutarne massimo due, ma sarà obbligato ad accettarne una.

Quinto: rescissione unilaterale per motivi disciplinari, se avallati da un organismo preposto all'esame dei casi.

Tutelare il club oggi significherà garantire un futuro al calcio, calciatori compresi.