Vittorio ed io ci ritenevamo pronti per affrontare qualsiasi sfida e l’occasione arrivò presto. 
Il subbuteo si stava espandendo e la Ditta Parodi di Genova, che importava questo gioco inglese, organizzava tornei in molte città, preparandosi a gestire, in modo efficiente, un movimento che stava coinvolgendo migliaia di ragazzi.                                                                   

La città più vicina dove giocare una di questa manifestazioni era Venezia. Non potevamo perdere questa occasione.
Non ricordo quanti fossimo, penso una “sporca dozzina”, per richiamarmi al titolo del film, ma rammento che si giocava in una stanza retrostante il negozio, allestita con tre tavoli. L’organizzazione era funzionale, con coppa per il primo classificato e bellissime medaglie per tutti i partecipanti. Erano grandi, serigrafate nel fronte con il logo, quello che era in bella vista sulle scatole di cartone delle squadre, un calciatore che calciava un pallone e sullo stesso, in bianco su fondo verde, la scritta Subbuteo.
Gli arbitri erano degli adulti, forse genitori. Solo noi due venivamo dalla terraferma, gli altri erano tutti di Venezia o delle isole limitrofe. Benchè non fossimo emozionati, ciò non fu sufficiente  poiché entrambi fummo eliminati da un ragazzino, veneziano, minuto di statura che conquistò la vittoria, con relativa coppa e medaglia, oltre all’invito ad andare a Genova, ospite della Parodi, per il primo torneo Nazionale.  Vittorio ed io potevamo solo contenderci la medaglia per il piazzamento migliore.
Cinque calci di rigore, un tiro a testa, per un quinto o sesto posto non certamente onorevole. Ancora una volta Rivera contro Mazzola. Vincere non decretava che l’altro fosse “scarso”, ma aveva una importanza simbolica e Rivera non si fece sfuggire l'opportunità. Tornavamo a casa consapevoli di aver dato inizio ad un percorso affascinante e che quella sconfitta sarebbe stata, presto dimenticata e poi riscattata. 
Venezia la città sull’acqua, amata nel mondo per la sua unicità, era stata la prima tappa e già eravamo pronti per affrontare la seconda.  Affacciata sul Mar Ligure, con il porto più grande ed importante d’Italia, città natale di molti personaggi, fra i più noti Cristoforo Colombo e Giuseppe Mazzini, era Genova la nostra nuova meta. Il capoluogo Ligure, era l’ombelico italiano del Subbuteo. E’ li che ogni anno si disputavano i tornei più ambiti e prestigiosi, come il Campionato Italiano, tramite qualifiche o il "Guerin Sportivo", promozionato dalla omonima rivista sportiva, tramite iscrizione.                                                                                                     Ottobre del 1973, ancora un sabato, quando partimmo da Mestre, con tanto di valigie, con il treno, in direzione della città della lanterna, sede della squadra italiana di calcio più antica, il Genoa Criket and Football e della sua rivale, la Sampdoria. Era un evento diverso dai due citati ed i migliori classificati sarebbero stati convocati dalla Nazionale Italiana per giocare i Campionati Europei del 1974                                                .                                                                                                                                                 

Alcune considerazioni sul mio amico di viaggio. 
Vittorio faceva attenzione ad ogni particolare, tutto motivato sempre dal desiderio di divertirsi e divertire. Stavo bene con lui,  io facevo l'attore principale e lui la spalla, io Sherlock Holmes e lui il Dottor Watson, diventando giorno dopo giorno inseparabili, ma totalmente ignari delle sorprese che avrebbero caratterizzato quella domenica e quella che sembrava una gita perfetta.
Ci svegliammo presto e via di corsa all’impianto che  ospitava la manifestazione. Non avevo mai visto così tanti tavoli da gioco tutti insieme, allineati perfettamente ed equidistanti, pronti per i tantissimi giocatori, provenienti da tutta Italia, alcuni dei quali si stavano già allenando con le proprie squadre provando tiri e movimenti. Era risaputo che i più forti erano i genovesi: Beverini era già stato Campione d’Italia e altri due o tre già convocati in nazionale. Era quindi importante evitarli nel girone di qualificazione e per nostra fortuna accadde. Le cose però che non avevamo previsto non erano né poche, né ininfluenti. I partecipanti più forti giocavano in modo totalmente diverso dagli altri. Poco gli interessava simulare le partite reali di calcio. Si giocava in funzione del risultato finale, non per partecipare e per far ciò al fischio iniziale chi difendeva schierava otto giocatori sulla propria linea di tiro, due in mezzo al campo, primi interditori e logicamente il portiere.                                                                                                             

Chi attaccava usava lo stesso schieramento variando solo il numero dei difensori a favore degli attaccanti. Già questa prima variante complicava totalmente il nostro modo di gareggiare, poiché le difese erano molto più coperte e bisognava essere molto bravi, con giocatori spesso lontani, ad imprimere una spinta forte, senza il rischio di veder schizzare via la pallina. Una situazione inaspettata a cui non sapevamo dare una risposta, almeno fino a quando non vedemmo la seconda sorpresa della giornata. I giocatori, alcuni giocatori, stendevano uno straccetto fuori dal rettangolo di gioco, lo bagnavano con un prodotto e poi vi passavano sopra la propria squadretta, un giocatore alla volta, facendo bene attenzione che i basamenti prima si bagnassero e poi, lucidandoli, si asciugassero. Completata questa operazione i giocatorini, spinti dal proprio dito indice potevano percorrere tutto il campo, oltre un metro, molto di più dei venti, trenta centimetri, cui eravamo abituati. Soffermandomi a guardare con attenzione il procedimento vidi che il prodotto usato era uno spray per lucidare i mobili di casa, il famosissimo, “Pronto”.
Una situazione, vera e propria di doping collettivo. Cosa centrava il Pronto con il subbuteo? Questo era tutto un modo diverso di giocare, altro che Rivera e Mazzola, qui eravamo Don Chisciotte e Sanzo Pancia e giocavamo contro i mulini a vento. Furono altre le sorprese che scoprimmo quella domenica, fortunatamente tutte piacevoli. Molti giocatori usavano squadre che avevano personalizzato colorando le magliette, come si usava fare con i soldatini, con effetti cromatici bellissimi. Inoltre sapevano aprire i basamenti, cosa che noi non avevamo mai fatto, per verificare che il ciondolino metallico, utile per mantenere dritti i giocatori al momento della spinta del dito sul basamento, fosse fissato e posizionato correttamente.                                                                 

Riuscimmo a fare ugualmente una decorosa figura e vi assicuro che, visto le sorprese, fu paragonabile non ad una vittoria, ma ad un ottimo piazzamento.                                                 

 Durante il viaggio di ritorno avevamo molti argomenti su cui riflettere. In fin dei conti solo andando a Genova, solo confrontandoci con altri, potevamo verificare se e quanto eravamo competitivi. Da questa esperienza tornavamo a casa con una certezza, bisognava imparare presto quel modo diverso di giocare, altrimenti a Genova ci saremmo tornati solo da turisti.                                   


Continua


Prendetevi 5-10 minuti e provate a compilare un semplice sondaggio per ricevere subito uno sconto immediato su carte regalo Amazon, Decathlon, Eataly o Trenitalia. Questo il link da cliccare: calciomercato.com/madai