VII puntata
Eravamo pronti per verificare i nostri progressi e desiderosi di poter invertire i modesti risultati ottenuti nelle due esperienze precedenti. Ci eravamo muniti del prodotto per lucidare i basamenti dei giocatori, il “Pronto”, sapendo quanto e come usarlo. Avevamo personalizzato le squadre, come descritto. Schieravamo le formazioni di subbuteo come appreso a Genova e, senza falsa modestia, stavamo giocando veramente bene.                                                Sia Vittorio che io avevamo cambiato casa, continuando ad abitare in Viale Garibaldi e  comunque sempre molto vicini. Il mio trasloco, dovuto alla scomparsa di mio papà, sarei bugiardo se dicessi che fosse stato indolore. Via ed amici erano gli stessi, ma passavo da una villa di tredici stanze ad un appartamento di cinque, restringendo notevolmente gli spazi a disposizione e a questo non ero preparato.                                                                                                         

La mia nuova camera da letto era notevolmente più piccola della precedente. Non c’era più la possibilità di tenere il campo installato a disposizione e quando volevo giocare dovevo posizionarlo sulla scrivania, ma la cosa che mi mancava maggiormente, oltre alla vista sul viale Garibaldi, era la luce che inondava la mia camera grazie alle finestre molto ampie.Finii per preferire di giocare a casa di amici piuttosto che lì.                                                      Si era intanto aggiunto a noi due, Carlo Novara, mio compagno di classe al liceo scientifico che, come noi, abitava in Viale.  Il nuovo torneo da affrontare, ci portava ancora in una città di mare, Trieste, città natale anche dell'allenatore del Milan, Nereo Rocco a cui in anni recenti è stato dedicato lo stadio, bello e moderno. Vittorio ed io partimmo pieni di entusiasmo e non rimanemmo delusi. A riceverci alla stazione, venne un ragazzino con cui Vittorio aveva parlato al telefono, Roberto Pintarelli, molto cordiale e simpatico che incontrammo spesso, in anni successivi, instaurando un bellissimo rapporto. La sua precoce scomparsa, in un incidente stradale con la Vespa, la motocicletta di gran moda a quei tempi, che avevamo anche noi due, fu molto dolorosa. Nel tragitto che dalla stazione ci portava alla sede del torneo, scoprivo una città a me sconosciuta e bellissima, talmente bella che avrei voluto abitarci.
Rimasi affascinato nell’attraversare la Piazza Unità d’Italia, affacciata sul mare, grandissima e con palazzi in stile asburgico. La città vecchia poi si arrampicava sulla collina dominando il porto e garantendo una vista unica ed inimmaginabile, per chi non ci fosse stato. Non ho ricordi particolari del luogo di svolgimento del torneo o degli avversari, posso solo dire che per la F.C. Victoria Necional e la F.C. Velox fu una “cavalcata delle valchirie”, con una serie di vittorie che si concluse, nello scontro fratricida fra le nostre due squadre, mestrine di nascita, ma sud americane per la bellezza nell’interpretazione del gioco. Un quattro a tre spettacolare, con tanto di applausi dai presenti. Aveva vinto la Velox, ma la Victoria Necional, non aveva perso, essendo evidente ad entrambi, nell’alzare le coppe che ci venivano consegnate, che a queste prime, molte altre ne avrebbero fatto seguito e non sbagliavamo. Fu un viaggio di ritorno particolarmente allegro, pensando a tutto ciò che avevamo imparato da quel primo torneo e quanti altri ne avremmo disputato.
Ci eravamo messi in gioco, non avevamo mai dubitato delle nostre possibilità e le splendide compagne di viaggio, le due coppe, ne erano la conferma. Mi piaceva pensare che fossimo Rivera e Mazzola, quindi dovevamo solo vincere. Perdere, non ci divertiva e specialmente era fastidioso.
Il Subbuteo continuava ad espandersi con conseguente aumento sia di praticanti che di tornei. Carlo, Vittorio ed io ci allenavamo assiduamente.  Solo uno di noi tre sarebbe andato a Genova a giocare per il titolo di Campione d’ Italia. Decidemmo di organizzare un triangolare con partite di andata e ritorno. Partivo con il favore del pronostico, logicamente il mio, ritenendo Carlo destinato a classificarsi terzo e la Victoria Necional, la rivale per la vittoria finale. Viceversa, come scrivono i giornalisti sportivi che vanno per la maggiore, il verdetto del campo smentì ogni pronostico. 
Dopo cinque dei sei match in programma, belli ed equilibrati, la classifica vedeva Vittorio primo con cinque punti, frutto di due vittorie, un pareggio ed una sconfitta. Nella sua ultima partita, a casa sua, mi aveva battuto con il gol decisivo del suo Eusebio, che continuava a ronzarmi nella testa. Dovevo battere Carlo nell’ultima gara, che giocava solo per onorare la propria classifica, potendo così rigiocare uno spareggio decisivo contro Mazzola. Il pareggio non sarebbe stato di nessuna utilità per entrambi.
Ero sufficientemente tranquillo. Carlo era solare, sempre allegro, era nato in Uruguay, dove lavorava suo papà, penso come ingegnere. Strutturalmente mi somigliava, non solo fisicamente, alto e robusto, ma specialmente nel non gradire le sconfitte. Ragazzo riservato, giocava molto bene, con grandissime  potenzialità che, purtroppo, metteva in mostra quasi ed esclusivamente quando giocava contro noi due, anche perché, a differenza nostra non partecipava ai molti tornei organizzati fuori Mestre. Eravamo compagni di scuola era il portiere della nostra squadra di calcio ed, a sua insaputa, della mia Velox.
Le partite giocate fra di noi erano prive dell’arbitro, essendo noi stessi a giudicare le situazioni fallose. Qualche volta si discuteva, ma generalmente avevamo un atteggiamento sportivo e disponibile, ma per questo ultimo incontro, così importante per tutti e tre i contendenti, chiamammo Vittorio ad arbitrare. Nella mia nuova cameretta, molto più piccola e più buia della precedente, andava in scena l’ultimo incontro, quello decisivo.  Il primo tempo si era chiuso in pareggio uno a uno. Carlo aveva saputo recuperare il momentaneo svantaggio e i due pali che avevo colpito, oltre alle ottime parate fatte dal suo portierino di plastica, non facevano presagire segnali positivi. Il nuovo vantaggio della Velox ad inizio ripresa, rafforzava le mie speranze in un nuovo viaggio verso Genova. Non dovevo fare altro che controllare i pochi minuti di gioco rimasti a disposizione del mio avversario prima del fischio finale, ma sarà stato per presunzione, o semplicemente per un calo d’attenzione, ciò non avvenne. Il mio amico, riuscì ad una manciata di secondi dal fischio finale, su calcio di punizione, a realizzare il definitivo, quanto inutile per entrambi, due a due, concretizzando la sua rimonta ed i miei rimpianti. Altro che amico, l’avrei ucciso!                                                                                                         

La classifica era inguardabile e Vittorio Nencioni, che in realtà aveva espresso il gioco migliore, andava a rappresentarci nel capoluogo Ligure, dando continuità alla sua crescita e notorietà, che lo porteranno ai vertici nazionali, per moltissimi anni. La mia delusione era grandissima e quella "bonsai" di camera non era certamente priva di colpe. Le molte vittorie che seppi ottenere negli anni successivi, non furono mai sufficenti per dimenticarla totalmente.
Iscrivevo di diritto me e la mia squadra, sulla pagina indelebile, degli sconfitti eccellenti. Ora ero in compagnia dell’Italia di Mister Fabbris e del Milan di Nereo Rocco. Il primo era riuscito nell’impresa di perdere, ai Mondiali di calcio disputati in Inghilterra nel 1966, contro la Nazionale della Corea del Nord, formata da atleti dilettanti, mentre il secondo, sconfitto inaspettatamente cinque a tre all’ultima giornata del campionato di calcio Italiano, nella “fatal” Verona, aveva rinviato la possibilità di cucire sulle maglie la tanto attesa stella dorata, premio assegnato ai vincitori di dieci campionati, consegnando lo scudetto alla "odiata Juventus", in una giornata che, come la mia, resterà "indelebile", fra racconti, veri o inventati di una spiegazione del perchè di quella sconfitta.       


continua



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