Caldogno, piccolo paese in provincia di Vicenza da 10.000 abitanti, è entrato nella storia del calcio italiano (e non solo del calcio) perché il 18 febbraio del 1967 ha dato i natali ad un poeta straordinario, ad un personaggio tra i più amati della generazione tra gli anni 90 e 2000. Roberto "Roby" Baggio, sesto di otto fratelli, chiamato cosi dal papà Florindo e dalla mamma Matilde per gli idoli di famiglia Boninsegna e Bettega, è un bambino timido, testardo e con una passione assoluta: il calcio. Qualunque cosa di forma sferica si avvicina ai suoi piedi viene utilizzata come una palla, peraltro anche per colpire qualunque cosa si trovi intorno a lui. I pali della corrente elettrica, ad esempio, che gli costavano (come da lui stesso raccontato) l'inseguimento del maresciallo di zona. 

Gioca nella squadra del suo paese, si diverte e inizia già a divertire. Qui viene notato dagli osservatori del Vicenza, che decidono di portarlo in città e di crescerlo nelle proprie giovanili. Media impressionante per lui, anche da giovanissimo: 120 partite, 110 reti siglate, senza contare tutti gli assist forniti ai compagni. Esordisce a 16 anni in Serie C1, con i biancorossi, nel 1983, contro il Piacenza. Nelle due stagioni successive, Baggio arriverà in pianta stabile in prima squadra, giocando poco il primo anno. Il campionato successivo, però, inizierà a mostrare tutto il suo talento tanto da arrivare in Nazionale Under 16 e Juniores, e attirando anche le attenzioni degli operatori di mercato.

Ci sono Sampdoria, Juventus e Fiorentina in pole, e saranno i viola ad accaparrarsi la firma del prodigioso talento. A 18 anni, quindi, è pronto per il grande salto. Due giorni dopo la firma, però, gioca contro il Rimini di Arrigo Sacchi. Segna il gol del Vicenza, ma si fa male. L'infortunio sembra da subito molto grave, e le analisi confermeranno le impressioni. Rottura del menisco e del legamento crociato della gamba destra. Si parla, addirittura, di carriera a rischio. Baggio è disperato, distrutto moralmente e fisicamente. L'operazione viene effettuata in Francia dal dottor Bousquet, all'epoca considerato un luminare del settore. 

L'intervento al ginocchio riesce e la Fiorentina rimane vicina al suo nuovo calciatore, aspettando con calma i suoi tempi di recupero. Roberto, invece, è più impaziente, ma il suo massaggiatore (Pagni, ndr) gli insegna l'arte della calma. Arriva cosi, nel campionato 1986-87 l'esordio in Serie A, e con questo i primi gol, i primi assist, e cosa più importante, i primi sorrisi. Debutto contro la Samp di un grandissimo numero 10, l'attuale CT della Nazionale Roberto Mancini, e un momento che sembra di grande felicità. Dopo sette giorni, però, in allenamento il ginocchio si rompe di nuovo e Roberto rimane fermo altri tre mesi. Lotta, si riprende a fatica e rientra, ma il fato con lui è crudele. Altro infortunio, di nuovo il menisco, che gli costa una nuova operazione, ancora in Francia, e che diventa l'inizio dei grandi dubbi del giocatore viola. 

A vent'anni e con una doppia operazione a distanza ravvicinata, si fa strada nella mente di Baggio la malsana idea di smettere, di non continuare ad inseguire un sogno difficile, quasi irrealizzabile. I dolori sono forti e la persona che gli sta più vicino è la mamma. In seguito, parlando di questo periodo, saranno toccanti le parole che Roberto dedica al suo "angelo": «La mamma era il mio angelo. Quanto mi e stata vicina, quanto mi ha aiutato. In ospedale, dopo le operazioni, stavo malissimo. Non potevo prendere antidolorifici e il dolore mi trapassava il cranio. Una volta mi sono girato verso di lei, che mi stava accanto, e le ho detto: “Mamma, sto malissimo. Se mi vuoi bene uccidimi perché io non ce la faccio più”. Lei mi accarezzava: “Non fare lo scemo, eh? Dai dai, tornerai come prima. Più bello e più forte"»

Proprio grazie alle parole della mamma, Baggio riuscirà a rialzare la testa e tornare sul prato verde, iniziando a regalare emozioni a tutto il panorama calcistico Italiano. Riesce a segnare a Napoli, della città del Pibe, con una punizione che i giornali l'indomani definiranno "alla Maradona" e da quel momento la sua carriera spicca il volo. Empatico con le tifoserie, inizia ad essere amato, soprattutto dai supporters viola, e Roberto diventa l'uomo delle meraviglie, che saranno il lascito di una straordinaria carriera. 

Le buone prestazioni con la Fiorentina lo portano in Nazionale, dove trova la prima rete contro l'Uruguay. Nel frattempo tra matrimonio e decollo della vita professionale, Baggio approda alla Juvenuts in un trasferimento clamoroso vista la rivalità tra le due tifoserie. Lo accuseranno di essere scappato dalla Toscana, accuse che lui respingerà decisamente: «Non me ne sono andato, mi hanno mandato via. Pontello aveva preso accordi con Agnelli, mi avevano venduto un anno prima. Quando Berlusconi provò ad acquistarmi, Agnelli gli rispose che poteva accordarsi su tutto, ma che Baggio era già bianconero…». In realtà, nonostante tutto, Baggio amava Firenze ed i suoi tifosi, e quell'amore, probabilmente, resterà immutato per tutta la sua vita.

Il tutto succede nell'estate di Italia '90. I tifosi della Fiorentina, nel ritiro di Coverciano, seminano il terrore tanto che il CT chiude il centro, e Roberto cerca di rimanere lucido, pronto per quell'evento che potrebbe cambiargli la vita. Nelle prime due partite Baggio non gioca, rimane in panchina, e i tifosi iniziano ad invocarlo a gran voce. Nella terza partita, contro la Cecoslovacchia, lui segna un splendido gol, e in coppia con Schillaci incanta la platea, dando il via a quelle che sono note tutt'ora come le "Notti magiche". Quel sogno si infrangerà in semifinale contro l'Argentina, ai rigori, nei quali Baggio dimostra la grande calma segnando.

Nella Juve, complice probabilmente la presenza del grande Milan di Sacchi, il suo rapporto con la tifoseria non decolla, e nemmeno il feeling con la squadra bianconera. I punti di distacco dai rossoneri iniziano a diventare tanti e l'eclatante episodio di Firenze in cui Roberto non volle battere un calcio di rigore contro i viola, distruggerà quel pizzico di pazienza che rimaneva ai tifosi. La sua forza, nonostante tutto, gli consente di riprendersi e continuare ciò che sa fare meglio. Nei vari anni bianconeri, piano piano, un lento ma significante miglioramento, lo porterà a riconquistare tutti fino alla stagione '92-93. In quell'annata, infatti, Baggio è all'apice della forma e sigla 21 gol. Esaltante, trascinante, la sua figura diventa il centro del movimento calcio italiano e la conquista del "Pallone d'oro" lo inserisce nell'Olimpo del Calcio. 

Grandi conferme anche nella stagione successiva, quella dei Mondiali, che per Baggio saranno sogno e incubo. Al momento della convocazione Sacchi lo dipingerà come un elemento fondamentale della spedizione, e Roberto si prepara al meglio per non deludere le attese. Nella prima partita contro la Norvegia, però, rischia di rompersi qualcosa nel rapporto tra i due, nel momento che l'espulsione di Pagliuca costringe il CT a sostituire il "Codino" per fare entrare Marchegiani e Baggio reagisce in maniera eclatante. Riuscirà a confermare comunque le aspettative e con i gol a Nigeria, Spagna e Bulgaria porta l'Italia in finale del Campionato del Mondo, contro il Brasile. Quella finale, per lui, rimarrà una delusione clamorosa per tutta la carriera. Dopo lo zero a zero, infatti, Baggio tira alto il calcio di rigore che consegna la Coppa alla squadra verdeoro. «Nella mia carriera ho sbagliato dei rigori, ma non li ho mai calciati alti. Quella è stata l’unica volta che mi e successo. Ed è difficile riuscire a spiegare perché è andato là. Non lo so. Però è successo, fine. Sognavo quel giorno da bambino. E un sogno che s’infrange, che si rompe sul più bello e diventa un incubo»

La stagione successiva sarà la sua ultima alla Juve dato che con Marcello Lippi sulla panchina bianconera Baggio trova poco spazio, anche per colpa di qualche infortunio di troppo. In quella stagione, inoltre, inizia a farsi spazio un giovane Alessandro Del Piero, che darà vita all'eterno dualismo dei due, arrivato fino ai Mondiali di Francia. Il Milan, con un ritardo di cinque anni, riesce a portare Baggio in terra meneghina, e lui stesso confermerà di avere scelto i rossoneri per la voglia dimostrata nell'averlo. Nella prima stagione con Capello in panchina Roberto vincerà il secondo scudetto consecutivo, e l'amore con i tifosi del Milan scatta immediatamente tanto da eleggerlo miglior giocatore dell'anno. 

La seconda stagione rossonera, con Tabarez, Baggio trova poco spazio, e all'esonero dell'uruguagio, con l'arrivo di Sacchi, ne trova ancora meno. Soffrendo la panchina, il calciatore decide di rescindere consensualmente il contratto coi rossoneri. Ad un anno dal Mondiale, quindi, Baggio sembra un giocatore finito, con il rischio di non partecipare all'ultima grande competizione della sua carriera con la Nazionale. Mai farsi illudere dalle apparenze, perché il Roberto nazionale va a giocare a Bologna, dove trova 22 gol in campionato nonostante il suo rapporto con Ulivieri non decolli. Cesare Maldini, entusiasta di questo exploit, convoca Baggio per il Mondiale del '98 e lo mette al centro del progetto nazionale. Con l'Italia farà benissimo, segnando contro Cile ed Austria e trascinandola ai quarti. In quella partita contro i padroni di casa Baggio sfiorerà il golden gol, e gli azzurri perderanno ai rigori. 

La stagione calcistica successiva, dopo solo un anno, lascia Bologna e va all'Inter, con l'idea di trovare l'ultima grande occasione della carriera. In quella Inter, segnata dai troppi cambi di allenatore, nei due anni successivi si ricorderanno più i suoi scontri con Lippi che le sue giocate sul campo. Nell'estate del 2000 il presidente Corioni riesce a convincere Baggio, con la collaborazione di Mazzone, ad andare a Brescia. Questa per il "Divin Codino" è una seconda gioventù. Grandi gol, grandi giocate, in un Brescia che nel frattempo lancia campioni del calibro di Pirlo, e un sogno: Il Mondiale Coreano con Trapattoni. Nel 2001-02 Baggio parte fortissimo, andando in cima alla classifica marcatori, e guadagnando posizioni per la convocazione. Ancora una volta, però, il destino si mette in mezzo, e un infortunio lo mette ko. Lui lotta, torna dopo un recupero record, ma il CT decide di non rischiare. 

Nonostante la grande delusione, comunque, Roberto continua ad andare avanti, a regalare perle ai tifosi di ogni squadra. Arrivano grandi record e grandi riconoscimenti. Sigla oltre 200 gol in Serie A, e in un'amichevole con la Spagna a Genova la Nazionale gli riserva una grandissima passerella. Il 16 maggio del 2004 "La scala del Calcio", San Siro, è il teatro dell'ultima partita di uno dei più grandi personaggi del Calcio Italiano.

Il "Divin Codino" lascia in eredità una carriera luminosa, piena di magie, di grandi acuti e grandi delusioni. 

Il "Divin Codino" lascia in eredità un insegnamento di vita, perché reagire alle sventure che possono succedere, è l'unico modo per raggiungere i propri sogni.

Il "Divin Codino" lascia in eredità un fardello su tutti i calciatori del futuro, perché si sa:

"Da quando Baggio non gioca più... non è più Domenica..."