Momentum. 3 marzo 2003, Stadio dei Pini, va in scena la finalissima della prestigiosa kermesse giovanile del Torneo di Viareggio, vetrina patinata e "ascensore sociale" per tanti giovani talentuosi. A contendersi il trofeo ci sono la Juventus di Chiumiento, Palladino, Konko e Gastaldello contro i cechi dello Slavia Praga. A sedersi sulla panchina bianconera c'è un brizzolato e raggiante Giampiero Gasperini, 45 anni. Il tecnico di Biella, allevato a sua volta da calciatore nell'ovile bianconero, è padre putativo dell'intero settore giovanile dal 1993. L'uomo, la cui carriera calcistica lo ha visto temprarsi nelle strette maglie del centrocampo, trasmette grinta e al contempo sicurezza: ha visto crescere quei ragazzi spallata dopo spallata, li ha educati come un buon padre farebbe coi propri figli, li ha puniti per gli ovvi eccessi giovanili e li ha perdonati grazie all'impegno e alla volontà profusa. La partita è ampiamente dominata dalla Juventus, che però non riesce a trovare la via del gol, anche a causa della cortina ceca. Ma quella banda di giovani corsari e arrembanti, proprio come l'attuale Atalanta, era già intrisa dello spirito pragmatico e combattivo del suo comandante; e così, dopo reiterati tentativi di messa all'angolo dell'avversario, Gasp e la sua falange riescono finalmente a sferrare il ko decisivo sul gong con una perla dell'ormai dimenticato Davide Chiumiento. Triplice fischio, dieci anni dopo l'ultima vittoria firmata Del Piero, la Juventus è di nuovo campione: sugli spalti ci sono Lippi e tutto lo "Stato Maggiore" a rendere omaggio; Gasperini viene tirato su dai suoi ragazzi come vorrebbe la migliore delle tradizioni sportive americane: è una festa per tutti, ma nonostante i sorrisi, le sciabolate ai colli di bottiglia dello spumante (qualcuna era analcolica, c'erano degli under 18) e gli applausi, il nostro Giampiero è toccato da emozioni e sentimenti struggenti: sa bene che quello non è il suo "momentum", sa che il trionfo è tutto dei suoi ragazzi, anzi dei suoi figliocci. A lui resta la soddisfazione di averli visti crescere, maturare e diventare pronti al calcio degli adulti, come un qualsiasi genitore che sa di aver fatto un buon lavoro e di poter finalmente "consegnare" i propri figli al ciclo della vita. Giampiero, nel vedere alzare quel trofeo, capisce di aver esaurito tutte le pagine di questo magnifico racconto giovanile e realizza la necessità di iniziare un nuovo libro, in cui racconterà un percorso più adulto, maturo, fatto di promozioni e lotte salvezza, di miracoli sportivi e di grandi risultati. La Triade, non del tutto insensibile al suo potenziale, ne comprende le pulsioni di crescita e lo lascia andare per la sua strada, senza però tagliare del tutto i legami: viene indirizzato al Crotone, all'epoca società "satellite" della Juventus. Si parte dalla Serie C, con i fidi Paro e Gastaldello a fargli da scudieri. Il resto è storia, dalla Calabria alla Liguria, passando per la sfortunata parentesi milanese, fino ai giorni del regno di Zingonia, in un flusso temporale di costante crescita che gli ha permesso di comprendere, con grande consapevolezza, di non svolgere più i compiti del semplice maestro delle elementari, ma di essere finalmente diventato un rispettabilissimo ordinario all'Università del calcio.

Presente: la folle corsa alla Champions e la sfida al suo passato. 17 aprile 2021, vigilia del big-match Atalanta-Juventus, valevole per un posto Champions. Gasperini si presenta in conferenza stampa con lo sguardo di chi ha studiato e sa di poter sfornare un esame da 30 e lode. Lo nasconde dietro le consuete parole di circostanza, nella formalità delle etichette, nell'umiltà dell'uomo ormai navigato. Qualche mese prima aveva però stuzzicato gli ambienti bianconeri, lanciando qua e là diverse frecciatine, sia al management che al suo giovane avversario di panchina, Andrea Pirlo. Stava già facendo pre-tattica, sapendo che a volte l'ironia non è solo un buon meccanismo di auto-difesa, ma anche un ottimo strumento di attacco. In occasione della scioccante eliminazione della Juventus in Champions, Gasp rilascia le seguenti dichiarazioni:

"Non sono sorpreso dall’eliminazione della Juventus. In Europa ci sono solo squadre forti, che magari vincono da anni in queste competizioni. Sono società che sanno come muoversi, acquistando giocatori di livello. In questo paese c’è presunzione. Pensiamo ad approcciarci ai giocatori per il nome".

Una bordata dialettica, che semanticamente racchiude tutto il suo criticismo nei confronti di una società secondo lui colpevole di una politica non all'altezza dei competitors europei, basata solo sulla creazione di instant-team e incapace di mettere in piedi un progetto funzionale e futuribile. In quelle parole vi era anche un ammonimento per il colpo Ronaldo, ma non tanto per l'indiscutibile valore dell'alieno portoghese, quanto per l'insostenibilità di tale operazione. Qualche tempo dopo arriveranno anche critiche a pioggia nei confronti di Pirlo, per il quale sosterrà:

"Ho pensato che la società nei confronti dell'ex giocatore e della persona avesse una fiducia smisurata. Magari hanno l'idea che possa diventare un grande allenatore". Lo dice l'allenatore dell'Atalanta, Gian Piero Gasperini, in merito alla scelta della Juventus di affidare la panchina ad Andrea Pirlo. "Il fatto di conoscere l'ambiente aiuta, ma l'allenatore è tutto un altro mestiere, ti devi formare"

In queste dichiarazioni c'è tutta la fatica espressa in un percorso trentennale, fatto di sacrifici e di costante studio del ruolo, in netto contrasto con l'ascesa quasi nepotistica dell'ex prodigio azzurro. Spesso il karma punisce chi parla male o proferisce verbo fuori luogo, premiando invece chi si chiude nel proprio ed educato silenzio, in vista di far parlare i fatti. Tuttavia, in questo caso è andata diversamente: Pirlo e la Juventus si presentano a Bergamo con la presunzione di chi da veramente valore a concetti poco meritocratici come la predestinazione. E in modo del tutto preter-naturale, nonostante le polemiche, Gasperini vince e da un'immensa lezione di calcio e di vita al suo passato e a colui che, ancora oggi, è ritenuto quasi inspiegabilmente ancora il futuro della panchina bianconera. Pagano la fatica, l'impegno, la dedizione, il fervore: non c'è spazio per il talento innato, per coloro la cui fama inscritta nel cognome precede persino l'uomo, sono tutti concetti che non esistono nel mondo di Gasperson. I meriti si raccolgono sul campo, magari partendo da quelli fangosi e mal rizollati delle leghe dilettantistiche.
Qualcuno in casa bianconera avrà ben recepito il messaggio di Giampiero: al di là della sconfitta, al di là delle parole al vetriolo, al di là della classifica, qualcuno si sta ravvedendo e starà ora riflettendo. E chissà se Gasperini non abbia avuto qualche senso di colpa nell'affondare la sua "madre putativa". Ha sempre negato ogni possiblità di ritorno, dicendo che quello resta il suo passato e che il suo futuro, sempre se non lo mandano via, è e sarà all'Atalanta, dove ormai lo chiamano per davvero Gasperson. L'unico pensiero a tinte bianconere che gli occupa la mente è quello di rivalsa: si perché mai come stavolta è guidato dalla ferrea volontà di finire davanti al suo passato. Ma per quanto possa negarlo, per quanto possa combatterlo, Gasperini rimane fortemente attaccato al suo capitolo bianconero e forse, mentre guardava il fido Malinovsky infilare la Vecchia Signora, pensava inconsciamente a quali fossero gli aggiusti da fare, dove poter intervenire, come poter migliorare e recuperare quella forza provinciale e operaia che ha sempre contraddistinto la Juventus. Già, inconsciamente, perché l'io conscio è concentrato sul presente bergamasco e non tollera questo tipo di pensieri, che rappresentano materiale minatorio da reprimere e censurare. Ma tutti i percorsi più belli finiscono sempre dove sono cominciati, dal luogo di partenza, dalla tanto amata casa.

Qualora i rumours delle ultime ore dovessero trovare fondamento, l'idea di lasciare le metafisiche teorie di Pirlo per abbracciare il pragmatismo positivista di Gasperini potrebbe essere una soluzione dal grande potenziale. La Juventus necessita di un "repulisti", che possa eventualmente partire dalla mentalità: e chi meglio di Giampiero per restituire quella forma mentis combattiva e arrembante? Rivedere finalmente una Juventus meno snob, più sporca e più cattiva, famelica e corsara, proprio come lo era la sua Primavera in quel di Viareggio, metterebbe tutti d'accordo. Gasperini non è solo un ottimo conoscitore del ruolo e delle specifiche mansioni tecniche, è anche un grande gestore di gruppi: per estensione mentale, in un contesto che qualcun altro ha definito "inallenabile", lui saprebbe sicuramente trovare la giusta alchimia, anche in uno spogliatoio con pochi soldati e molte prime donne. Ma attenzione a non commettere lo stesso errore fatto con Sarri...
Chi scende in campo deve rispecchiare le idee di chi siede in panchina: la squadra deve essere una proiezione pratica del modello teorico del suo allenatore. Senza questo sottile "fil rouge" non può esistere una squadra funzionante, né tantomeno un progetto sportivo. L'errore commesso da Paratici con Sarri fu proprio quello di non averlo pienamente ascoltato in ottica mercato, soprattutto nella costruzione della squadra. L'ex tecnico di Napoli e Chelsea si è ritrovato con un materiale poco plasmabile rispetto alle sue dogmatiche idee, arrivando così ai famosi sfoghi resi poi noti qualche tempo dopo l'addio. Gasperini, per certi versi, somiglia molto a Sarri, soprattutto in termini di fedeltà calcistica alle proprie ideologie: se Sarri era un "talebano", integrale ed ortodosso, il tecnico atalantino è un vero e proprio sistemista, i cui capisaldi tecnico-tattici si conoscono ormai a menadito: difesa a tre, centrocampisti combattivi e aggressivi nel recupero, esterni che arano la fascia, marcatura asfissiante a uomo, come vuole la tradizione del calcio più semplice e minimale. Trasmettere a questa Juventus la stessa intensità della sua Atalanta sarebbe una sfida difficile, soprattutto se consideriamo le caratteristiche poco mordenti di alcuni cardini della squadra bianconera. 

Ma come giocherebbe la Juventus di Gasperini? Come detto, l'assetto tattico poggerebbe su una difesa a tre, con marcatura a uomo: De Ligt, Demiral, Danilo come Toloi, Palomimo e Djimsiti, andando a rimodellare qualche dettaglio in base alle caratteristiche dei difensori bianconeri. A ripristinare propulsione sulla fascia dell'ormai letargico Alex Sandro ci penserebbe Gosens, pronto a seguire il vate a Torino. Con Chiesa o Cuadrado ad equilibrare l'out di destra, il problema resterebbe il centrocampo: qui il mercato sarà cruciale nel ricostruire un roster valido e all'altezza, con elementi dinamici, aggressivi e soprattutto in grado di giocare e pensare in verticale (a differenza di Arthur, Rabiot e Bentancur). L'attacco Gasperiniano potrebbe rivitalizzare Dybala, che verrebbe impostato in stile Ilicić o Gomez. Mancherebbe un granatiere capace di occupare con fisicità l'area: Morata non è Zapata, è un animale a campo aperto e un adattamento forzato potrebbe ulteriormente limitarne le capacità. Infine Cristiano Ronaldo: può sembrare follia ma una Juve griffata Gasperini potrebbe anche fare a meno dell'alieno portoghese, che in un impianto rigido, sistemico e dalla mentalità siderurgica potrebbe essere proprio l'unica nota stonata. A quasi 63 anni, Giampiero sarebbe pronto a tornare in bianconero, varcando stavolta il cancello del campetto principale, quello della prima squadra, tanto ammirata in gioventù e spesso invidiata al mentore Marcello Lippi. Con lui tornerebbe in bianconero anche un altro guru, il preparatore atletico Jean Bangsbo, all'epoca in forza allo staff tecnico juventino. Ad oggi sono solo ipotesi, rumours, chiacchiere, ma gli appuntamenti con la storia sono gli unici concetti di predestinazione che Gasp non deve escludere: stavolta tornerebbe da big e non sarebbe semplicemente Giampiero, perché l'appellativo di Gasperson ormai è pienamente meritato. Da Chiumiento a Ronaldo, diciotto anni dopo, senza il Delle Alpi, senza la Triade e Lippi, senza il Viareggio e forse senza nemmeno Paratici, per iniziare la vera secessione, quella dallo "snobismo da presunzione estrema" che ultimamente ha fatto ammalare la Vecchia Signora.

Salvatore Zarrillo