La mancata qualificazioni ai Mondiali ha riacceso i soliti dibattiti sullo stato di forma del calcio italiano ma ha anche scatenato una vera e propria caccia al colpevole (o ai colpevoli) dopo la disfatta di Palermo contro la Macedonia.
Di chi è quindi la colpa? Facile imputarla a Mancini in quanto guida tecnica della Nazionale più difficile è fermarsi e cercare di ragionare più a fondo sulla situazione che numeri alla mano è probabilmente figlia del dopo 2006. Andando a ritroso, infatti, si può notare come dopo il 2006 la Nazionale è stata sempre capace di fare ottimi Europei,mentre nei Mondiali ha sempre fallito. Insomma, gli Europei (con l’apoteosi dello scorso luglio) non hanno fatto altro che nascondere la polvere sotto il tappeto che però alla fine à sempre riapparsa con l’arrivo della più importante competizione al mondo.

Nel 2006 la Nazionale di Lippi trionfa a Berlino grazie ad una Nazionale di talento e ad un gruppo unito ancora di più dalle difficoltà extra campo. Mentre nel rettangolo verde gli Azzurri lottavano per il tanto desiderato trofeo,la Lega calcio era impegnata a districarsi in una delle pagine più nere del calcio italiano: calciopoli. Il trionfo in terra tedesca diventò cruciale per ridare slancio al movimento e fece quasi passare in sordina le decisioni che di lì a poco arrivarono dalla giustizia. Dal trionfo Germania alle difficoltà di Euro 2008 dove la Nazionale,guidata da un giovane Donadoni uscì ai quarti contro la Spagna. All’epoca si parlò di grande sconfitta e a pagarne le conseguenze fu lo stesso Donadoni che lasciò il campo al ritorno di Lippi. In realtà la spedizione non fu poi così fallimentare visto che la Nazionale riuscì a superare un girone difficile (c’erano Olanda e Francia) e cadde contro la Spagna (vincitrice poi del torneo e all’inizio del suo ciclo d’oro) solo ai rigori. Il ritorno di Lippi doveva rilanciare la Nazionale che invece naufragò ai Mondiali in Sudafrica uscendo alla fase a gironi nonostante fosse stata inserita in uno dei gruppi più facile della storia azzurra (Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia le nazioni d’affrontare). Grandi colpe aveva all’epoca proprio il C.T. azzurro che non solo non riuscì a dare un gioco alla squadra ma puntò troppo tardi su giocatori come Quagliarella, Pazzini e Di Natale all’epoca più in forma di Gilardino e Iaquinta oltre al fatto di non prendere mai in considerazione i profili di Balotelli e Cassano (che in Serie A facevano la differenza).

Dal disastro Mondiale l’Italia cercò di ripartire affidando a Prandelli il nuovo progetto tecnico ed il tecnico riuscì a ridare speranza alla Nazionale portandola fino alla finale dell’Europeo poi persa largamente per 4-0 contro la Spagna. In quella finale oltre all’aspetto tecnico a fare la differenza fu la condizione fisica con gli Azzurri che arrivarono quasi privi di forze all’appuntamento finale. Dietro al successo (sfiorato) di Prandelli c’era una Nazionale tatticamente preparata fondata sulla difesa della Juventus (spesso le grandi Nazionali nascono dai blocchi dei club) e sul duo offensivo formato da Balotelli e Cassano che da epurati di lusso diventarono gli alfieri del nuovo ciclo. Da un ottimo Europeo ad un pessimo Mondiale il passo è però breve con l’Italia che in Brasile esce nuovamente ai gironi. Eppure in Brasile le cose erano iniziate anche bene con l’idea del ritiro con le famiglie e l’atmosfera da vacanze che sembrò avere un effetto fortificante sul gruppo che riuscì a battere l’Inghilterra nel match d’esordio. Poi però arrivò la sconfitta con la Costa Rica, che finì per colpire gli Azzurri che persero anche il decisivo match contro l’Uruguay. Sul banco degli imputati finirono subito Balotelli e Cassano che da trascinatori nel 2012 diventarono i disertori del 2014. I due, infatti, furono accusati di aver preso sottogamba l’impegno e di non aver fatto la differenza perché poco allenati. La forma fisica fu un altro fattore di critica verso Prandelli che al termine dell’avventura rassegnò le dimissioni insieme al Presidente Abete.

La palla passò quindi a Tavecchio, che per rilanciare la Nazionale affidò l’ambita panchina ad Antonio Conte fresco di rottura con la Juventus dopo tre anni di vittorie. Il tecnico salentino puntò tutto sull’abnegazione e l’onore di rappresentare l’Italia nel mondo mettendo in campo una Nazionale fondata sul 3-5-2 e sulla voglia di fare e soffrire anziché sulle idee da proporre. La Nazionale di Conte (una delle più scarse tecnicamente parlando) riuscì ad arrivare fino ai quarti di finale, dove i rigori furono però fatali contro la Germania. Quello di Francia fu l’Europeo dell’orgoglio azzurro con la squadra capace di battere squadre come Belgio e Spagna nonostante l’inferiorità nei loro riguardi. Il progetto Conte era però a breve scadenza non solo perché il tecnico ambiva a ripartire con un club ma anche per lo stesso gruppo vista la fine dei vari Pellè,Zaza,Eder,Giaccherini,Ogbonna,Sturaro ed in parte Candreva,El Shaarawy,Darmian e De Sciglio.

Per continuare il progetto la panchina passò nelle mani di Ventura, tecnico affine al modulo e già successore (con successo) di Conte al Bari. Ma Bari non è la Nazionale e lo capirà in fretta il tecnico ligure artefice di una delle più grandi delusioni della storia azzurra come la mancata qualificazione ai Mondiali del 2018. Dalla partenza abbastanza positiva all’esaltazione generale (Italia con il 4-2-4 e voglia di stupire) fino alla débâcle in terra spagnola. Così si può riassumere il percorso di Ventura anche perché la doppia sfida con la Svezia non fu altro che il semplice risultato di un rapporto ormai logoro tra allenatore e giocatori (cosa in parte dimostrata dalla formazione a dir poco sperimentale messa in campo nella partita più importante).

Nel saliscendi di emozioni si arriva fino alla scorsa estate quando Mancini, approdato in Azzurro per il dopo Ventura, è riuscito nell’impresa titanica di riportare l’Italia sul tetto d’Europa a distanza di 53 anni dall’ultima volta. Il gruppo unito, il fattore amicizia (reso ancora più grande dall’abbraccio del C.T. con Vialli, le notti magiche tutti ricordi svaniti al termine della partita contro la Macedonia che riporta la Nazionale dalle stelle alle stalle nel giro di pochi mesi.

Ora si parlerà di rimboccarsi le maniche, di ripartire, di nuovi progetti e nuove idee (sempre le stesse come più italiani in campo, rifondazione del settore giovanile, più coraggio nel puntare sui giovani…) per riportare l’Italia da protagonista all’Europeo. Attenzione però che poi arrivano i Mondiali (con le sue qualificazioni) e figure come le ultime non si possono più affrontare soprattutto se hai quattro stelle sul petto.