Una settimana da incubo, iniziata dalla vicenda Bakayoko-Kessie-Acerbi e culminata nella prevedibile debacle di Torino.  Il Milan passa dalla possibilità di rendere straordinaria una stagione, all'altissimo rischio dell'ennesimo fallimento sportivo, passando per figuracce indegne della storia rossonera.

La visione globale dell'attuale momento della banda Gattuso, però, deve necessariamente estendersi nel tempo, fino alla settimana del Derby, e più precisamente alla conferenza stampa dell'allenatore alla vigilia della sconfitta contro i nerazzurri.

Il Milan arriva da cinque vittorie consecutive, lanciato al terzo posto anche per via della crisi dei cugini dirimpettai, e viene dato in condizioni di forma fisica e mentale straordinarie. In conferenza Gattuso lancia un monito, che analizzato con il senno di poi, sembra una spada di damocle che pende sulle fragili teste dei calciatori rossoneri:

"Sono tre punti come le altre, non sono preoccupato dal match in sé, ma cosa potrebbe lasciare la gara se le cose andassero male. Mi preoccupano di più le altre 10 partite dopo queste, se dovessimo vincerla a livello mentale daremo qualcosa in più nei prossimi mesi."

In realtà, nonostante il filotto ottenuto prima della stracittadina, se si vanno ad analizzare le singole gare, le prestazioni erano state un campanello d'allarme, che solo la straordinaria vena di Piatek aveva trasformato in punti fodamentali. Eccezione, forse l'unica, la partita di Bergamo contro l'Atalanta, in cui il Milan aveva dato la sensazione di aver trovato la quadra per affrontare il finale di stagione in crescendo. 

Quel derby sappiamo come è finito, e ciò che ha lasciato è sotto gli occhi di tutti. Da quel momento tutti i limiti tecnici e tattici sono venuti a galla, e Piatek, servito sempre meno dal centrocampo, ha smesso di trovare la porta da ogni dove. 6 gare giocate e 3 sconfitte, 2 pareggi ed una vittoria ottenuta contro la Lazio, vendicatasi a domicilio nella semifinale di ritorno di Coppa Italia. Un tracollo verticale che non ha escluso definitivamente il Milan dalla lotta europea unicamente per i demeriti delle altre compagini, incapaci di approfittare del momento di flessione, almeno fino a questo weekend. Attendendo la gara dell'Atalanta che potrebbe portarsi a +3 dal Milan, i due punti di distacco dalla Roma sembrano un macigno che pesa nell'economia di un finale di stagione complesso.  

  • Calo fisico evidente

Dopo il mercato di Gennaio, e la pausa invernale, il Milan sembrava essere tornato in campo in ottime condizioni fisiche. I rossoneri, infatti, terminavano la propria gara sempre in crescendo, e dando la sensazione di avere molte risorse da cui attingere. L'acciacco di qualche titolare e il lento recupero di qualche lungodegente, poi, ha iniziato a gravare su chi ha tirato costantemente la carretta. Biglia non ha mai offerto un'alternativa credibile a Bakayoko, che in questa fase parrebbe essere tornato il giocatore lento ed impacciato di inizio stagione, nonostante rimanga un costante punto di riferimento del centrocampo. Kessiè sembra l'ombra del giocatore ammirato la scorsa stagione e sopratutto nella stagione bergamasca. Conti non ha recuperato appieno dai gravi infortuni, e non è ancora riuscito ad esprimere il proprio potenziale. Caldara ha toccato il prato unicamente nella gara di Coppa Italia(peraltro con ottimi risultati), ma la sua tenuta fisica non consente di ipotizzare un suo impiego costante, almeno in questo finale di stagione.  Ecco che, negli ultimi mesi, il calo è diventato sempre più evidente, e quello che è stato un punto di forza del Milan, adesso è diventato un punto debole che gli avversari hanno imparato a sfruttare.

  • Equivoci tattici e moduli fantasiosi

Questo è un punto che accomuna tutti gli ultimi allenatori del Milan. Dai tempi di Allegri, infatti, i rossoneri hanno faticato a trovare un modulo affidabile, su cui fondare la rinascita. Difesa a 4, poi a 3, poi nuovamente a 4, quindi a 5. Centrocampo a rombo, a tre, poi a due, quindi nuovamente a rombo. 1 punta, 2, quindi 3, 2 più un trequartista. Continui cambi, che poi non hanno portato altro che confusione e macroscopici equivoci tattici. La rosa, costruita in parte dal duo Mirabelli-Fassoni ed in altra parte dal duo Leonardo-Maldini, sembra chiaramente indirizzare verso un 4-3-3. Per questo modulo, però, ci vogliono dei calciatori di ben altra levatura, e se andiamo ad analizzare nel dettaglio quello che dovrebbe essere l'undici titolare si capisce subito il perchè.

Tralasciando il ruolo del portiere, per cui è stata fatta una chiara scelta, andiamo al ruolo di terzino destro. Tre sono, fondamentalmente, i calciatori in grado di giocare sull'out di destra: Calabria, Conti ed Abate.

Calabria è un terzino difensivo, forte nell'uno contro uno, bravo quando aiutato nel raddoppio ma che ancora ha bisogno di crescere nelle diagonali e nella copertura del primo centrale. Spesso, da inserimenti degli avversari sfruttando il suo lato, il Milan è stato preso in infilata. 

Conti è, come dice chi si intende di calcio, un terzino fluidificante. Cioè un esterno che si trova benissimo con una difesa a tre, quando la copertura della fascia è divisa a metà tra uno dei centrali e il terzino, e quando, in fase offensiva, la fascia viene liberata dall'inserimento dei centrocampisti che creano superiorità numerica. Bravo ad attaccare, meno a difendere. Non è un caso che, quando chiamato in causa nella difesa a 4, soffra tremendamente gli uno contro uno e non riesca quasi mai ad arginare gli avversari. 

Abate è un esterno offensivo che negli anni ha imparato a difendere. E' diventato bravo nel fare le diagonali, ma soffre ancora tanto quando deve anticipare gli avversari e quando deve spingere. Basti pensare che le prestazioni migliori del 20 rossonero, siano state quelle giocate da centrale nei momenti di assenza contemporanea di Musacchio e Zapata.

Il reparto centrale del Milan è quello meglio assortito, con calciatori che in carriera hanno ricoperto tutti i ruoli della difesa a 4 e 3 senza problemi. Discorso diverso per i terzini sinistri.

Rodriguez è un terzino "regista". Raramente lo si vedrà arrivare sul fondo e mettere la palla in mezzo, ma spesso è possibile apprezzare le sue capacità di gestione della palla. Quando Romagnoli viene pressato, infatti, è lui che si sobbarca l'onere di lanciare l'azione del Milan, spesso con ottimi risultati. Pecca nella fase difensiva e nelle diagonali profonde.

Laxalt è paragonabile(con le dovute proporzioni) a Conti. Bravo ad attaccare, meno bravo a difendere. Negli ultimi periodi, inoltre, è sembrato vivere una involuzione incredibile, rappresentando un pallido ricordo dell'ottimo giocatore ammirato ai Mondiali con l'Uruguay.

In tre si giocano due posti per il ruolo di centrocampista centrale. Se Bakayoko è assolutamente uno dei più completi dal punto di vista tecnico e fisico, discorso diverso va fatto per Kessiè e Biglia.

L'Ivoriano è arrivato in Italia come difensore centrale, salvo poi arrivare a giocare mezz'ala nell'Atalanta di Gasperini. Ecco, quella stagione probabilmente ne ha ingigantito le potenzialità sottoporta, poichè il buon Frank è un ottimo mediano di rottura, ma un pessimo tessitore di gioco. Errori tecnici, a volte, imbarazzanti, e conclusioni ben lontane dal bersaglio evidenziano dei limiti che potrebbero essere colmati con l'affiancamento di un regista vecchio stampo. Se schierato insieme a Bakayoko, la palla, più che in banca, sembra trovarsi in barca. 

Biglia, e non è da adesso, soffre di problemi di natura fisica non indifferenti che ne inficiano il rendimento in maniera costante. Se in forma è uno tra i migliori registi del Campionato, ma troppo spesso difetta di condizione e quindi di incisività. 

Il terzo posto da centrocampista, a quanto pare, è di Chalanoglu. E' curioso notare gli incredibili passi indietro del turco. Da trequartista talentuoso nella Bundesliga, a mediocre centrocampista del nostro campionato. Lento, molle, spesso estraneo alla gara, il numero 10 del Milan riuscirebbe a fare perdere la pazienza anche all'uomo più buono del mondo. La sua indolenza, per la maggior parte della stagione, lo ha reso bersaglio della tifoseria e della critica, unita alla perdita delle capacità balistiche che lo avevano reso uno dei migliori tiratori del panorama europeo. 

Non si considerano, per le poche apparizioni offerte, Mauri, Bertolacci e Montolivo, anche perchè sicuramente non avrebbero dato più di quanto stanno dando coloro che puntualmente vengono chiamati in causa.

Gli esterni di attacco di questo Milan sono il punto focale dell'equivoco tattico generato da Gattuso e dai suoi predecessori. 

Partiamo da Suso. Sono sicuro che in pochi, almeno i milanisti con più di 15 anni, storceranno il naso davanti all'affermazione che Suso, nel Milan di una volta, sarebbe stato la riserva della riserva. Calciatore dalle buonissime capacità tecniche, dotato di un buon tiro ma di scarsa personalità, oltre che di scarso senso tattico. Gioca in un quadrato di campo, situato tra la trequarti destra avversaria e il vertice dell'area di rigore. Oltre questo quadrato, diventa un giocatore normale che si può facilmente bloccare. Mantiene un livello altissimo per uno/due mesi a stagione, salvo poi vivacchiare per il resto del torneo crogiolandosi sugli allori di assist e reti realizzate. Ammetto la durezza di quanto detto, ma la testardaggine con cui rallenta le poche azioni veloci del Milan, tentando di saltare lo stesso uomo per due, tre volte, lo rende un tappo, oltre cui il gioco dei rossoneri non sfocia. Un esterno offensivo punta l'uomo ripetutamente tentando di andare sul fondo e crossando in mezzo, velocemente, per favorire l'inserimento degli attaccanti. Lo Spagnolo, invece, ritarda spesso il cross, portando le punte ad andare oltre la linea avversaria, per tentare un rientro sul suo sinistro. Il destro, quando lo usa, non è poi cosi malvagio, ma un cross riuscito ogni 20 non può renderlo un giocatore imprescindibile.

Castillejo è un alter-ego di Suso, con meno qualità e più velocità. A volte sembra poter distruggere la partita con il suo ingresso. Altre volte distrugge il morale di chi lo guarda. Precipitoso, fumoso, mai concreto. Se migliorasse sotto questi aspetti potrebbe essere un'ottimo esterno su cui puntare, anche perchè caratterialmente sembra essere uno di quelli più grintosi. Su questo, quantomeno, mette tutti daccordo.

Borini è un calciatore che fa la sua prestazione da Sei in pagella praticamente sempre, ma in una squadra come il Milan, svolgere il compitino non può bastare, sopratutto se il suo allenatore continua a cambiargli ruolo per tre volte nella stessa gara. 

Paquetà è un talento cristallino, puro. Ha ancora ampi margini di miglioramento, sopratutto in concretezza, ma non è un esterno. Questo ragazzo va messo il più possibile vicino alla trequarti avversaria, perchè vede la porta e gli spazi per dei filtranti, che nessun'altro in questa squadra ha le capacità di scovare. Se relegato a fare il raddoppio su Ricardo Rodriguez, non si fa altro che snaturarlo e fargli perdere di lucidità quando si attacca. 

Piatek e Cutrone sono due attaccanti che possono stare al Milan. Ad uno basta una palla per diventare letale, purchè non gli si chieda di giocare con i compagni. All'altro servono ancora un paio di anni per diventare un potenziale titolare in una squadra che lotta per i vertici, ma la voglia e la visione della porta sono quelle del grande bomber.

Sembra difficile, quindi, capire come mai si studino esperimenti in fasi fondamentali della stagione. Impossibile, ad esempio, pensare a cosa sia passato in testa a Gattuso nel provare il 3-4-3 nella gara di Coppa Italia, e agli uomini schierati. Chi ha visto quella partita,  non può non aver notato l'atipica posizione degli spagnoli Suso e Castillejo spesso sopravanzati da Calabria prima e Conti poi e Laxalt sulle fasce di competenza, in un centrocampo totalmente consegnato all'ordine tattico impresso da Simone Inzaghi. 

  • Salvare il salvabile. Sperando nella Juventus

Paradossalmente(o per fortuna nella visione dei tifosi rossoneri), la situazione attuale di classifica del Milan non è disperata. Il calendario pone di fronte ai rossoneri quattro partite abbordabili, che potrebbero portare al piazzamento Champions in caso del concomitare di risultati favorevoli delle concorrenti. Bologna, Fiorentina, Frosinone e Spal rappresentano degli ostacoli che, in situazione di normalità, non sembrano insormontabili. La Roma, invece, dovrà affrontare Genoa, Juve, Sassuolo e Parma. L'Atalanta dovrà vedersela con Lazio, Genoa, Juve e Sassuolo, mentre il Torino affronterà il Derby della Mole, il Sassuolo, l'Empoli e la Lazio. I biancocelesti, oltre alle già citate Atalanta e Torino, dovrà affrontare Juventus e Cagliari. La Juventus, quindi, sarà necessariamente l'ago della bilancia di questa corsa alla Champions League. 

  • Costruire il futuro, imparando dal passato

Appare scontata, sopratutto dopo gli ultimi risultati, la decisione di terminare il rapporto con Gattuso da parte della dirigenza rossonera al termine della stagione, a prescindere dal posizionamento finale in classifica. Cosi come, almeno ai tifosi, appare scontata la necessità di costruire un futuro più solido, partendo da una figura di spicco e di livello internazionale in panchina, che possa dare quel quid in più, assente dal dopo Allegri. Da qui, quindi, ripartire e puntellare una rosa che non è tutta da buttare, ma che va studiata sulle caratteristiche del prossimo tecnico e sull'idea di calcio che si intende sviluppare, compatibilmente con le limitazioni che la UEFA deciderà di imporre nell'ambito del FFP. Si dovrà necessariamente iniziare a sfoltire il gruppo da calciatori inutilizzati ed inutilizzabili, affidando le chiavi del centrocampo ad un regista capace di fare giocare la squadra, di creare imprevedibilità e di dare velocità ad una manovra sterile e spesso troppo lenta per i ritmi del calcio moderno, oltrechè consegnare al nuovo allenatore delle alternative sugli esterni in grado di spostare gli equilibri di una partita bloccata, e di sfruttare le potenzialità del reparto offensivo, magari arricchito di figure di spicco. Il Milan del futuro parte dal presente, e deve necessariamente allontanarsi da un passato pieno zeppo di delusioni e figuracce. 

A Gazidis, infine, l'arduo compito di rivitalizzare il marchio Milan, quello che fino a qualche anno fa attirava al solo sussurro. Quello che ha dominato l'Europa e che spesso è stato l'orgoglio italiano all'estero. Un nuovo Milan, che probabilmente passerà da un nuovo stadio, da una indipendenza che ormai si rende necessaria per tutti i club che vogliono competere al Top, che non si basa unicamente sui risultati del campo, ma anche e sopratutto dai virtuosismi fuori dal rettangolo di gioco.

Perchè, con buona pace di Leonardo, non si può sempre additare l'arbitro per un errore, o tirare in ballo il razzismo per giustificare dei fallimenti. Dai fallimenti, e dalle sconfitte ci si rialza da uomini, come ha sempre fatto, nel bene e nel male, Gattuso, caprio espiatorio di una stagione altalenante, ma responsabile tanto quanto chi, in questa società, ha operato delle scelte discutibili.  Di questo, sempre e comunque, i tifosi del Milan dovranno tenere conto quando ricorderanno i due anni della gestione Gattuso.