I quotidiani e i tifosi juventini salutano con gioia l'accordo pluriennale tra Adidas e Juventus, che prolunga al 2027 la sponsorizzazione tecnica del club bianconero, con largo anticipo, circa due anni e mezzo, rispetto alla precedente scadenza fissata al 2021. Titoloni e grida di giubilo per un accordo a molti zeri, superiore ai 400 milioni di euro. In realtà, la parte più interessante di questo accordo è, oltre che nella sua singolarità per tempistiche e contenuti, nelle sue motivazioni. Dal punto di vista di Adidas si tratta di un accordo anomalo, in quanto l'azienda si lega ad una squadra dell'immediata periferia del nuovo calcio per quasi dieci anni, nel momento di massima competitività recente del team, scommettendo quindi che il suo accresciuto valore commerciale non diminuisca nel tempo: come quell'investitore che decida di comprare un titolo azionario ai suoi massimi storici impegnandosi a tenerlo in portafoglio per dieci anni. In termini finanziari, una follia. Dal lato Juventus, un accordo che vincola una squadra che, all'apice della sua crescita sportiva e commerciale, decide di ignorare la crescita esponenziale del suo fatturato e dei prezzi del mercato di riferimento, fotografando il suo valore commerciale al dicembre 2018. In termini commerciali, una follia.  Cerchiamo dunque di spiegare cosa nasconde l'accordo. Dal punto di vista Adidas è semplice: in termini commerciali l'azienda investe sulla possibilità di sfruttare, seppur indirettamente, i 30 mesi di permanenza nel team di Cristiano Ronaldo, ovvero il più appetibile protagonista della scena calcistica mondiale. Considerato che il campione portoghese è vincolato individualmente al maggiore concorrente di Adidas, si tratta di un investimento che ha una sua logica. Diverse, invece, sono le ragioni che hanno spinto la Juventus a negoziare un accordo pluriennale ai prezzi attuali. Sicuramente, non è la convinzione che i prezzi del mercato possano scendere in futuro: in quel caso, infatti, bisognerebbe rivedere al ribasso tutti gli accordi sottoscritti con i calciatori, cosa che invece sta accadendo in senso inverso (da ultimo, l'incomprensibile rinnovo al rialzo di Alex Sandro, con annessa bocciatura pubblica di Spinazzola da parte del livornese). Per capire, dunque, le ragioni di questo accordo bisogna  tornare alla battaglia sotterranea che si combatte in seno alla proprietà. A inizio anno, Marchionne prepara la sua uscita da FCA, ma non da Ferrari, che poi sarà purtroppo accelerata dalla sua prematura scomparsa. Come confermato da tutte le parti in causa, non ultimo il procuratore Jorge Mendes, è ad inizio anno che inizia a maturare l'idea di portare Cristiano Ronaldo alla Juventus. Qualcuno, tra cui Marotta, non concorda sui termini finanziari dell'operazione, per quanto geniale dal punto di vista tecnico e commerciale. Marotta (probabilmente in accordo con qualcuno della proprietà) teme che il monte ingaggi, e quindi la spesa corrente, perda di proporzione rispetto al fatturato. Inoltre teme una perdita di potere sul mercato interno, dal momento che la minore liquidità disponibile non gli consentirà di continuare quel monopolio sul mercato dei prestiti e delle comproprietà, che ha permesso alla Juventus (e a lui) di controllare quasi tutti i maggiori talenti in circolazione (e forse anche qualche procuratore e qualche società, come in ogni abile strategia di networking). Ne uscirebbe indebolito, pensano Marotta e qualcuno della proprietà, anche il sistema di plusvalenze sui giovani italiani, che tanto ha contribuito all'equilibrio di bilancio. Il ragionamento di Marotta mette in allarme gli ambienti di Exor e FCA, che confermano ad Andrea Agnelli l'indisponibilità ad investire direttamente nella Juventus. A far pendere la bilancia verso l'acquisto di Ronaldo arriva però l'inatteso via libera di Marchionne, che segna anche la vittoria della linea Agnelli - Paratici e la conseguente rinuncia a Marotta (su cui, a dire il vero, pesa anche la gestione della vicenda biglietti). Marchionne, riprendendo un'idea di Guraudo - a questo punto quasi maledetta - immagina infatti di dedicarsi per il futuro all'integrazione tra Ferrari (il primo marchio mondiale) e Juventus. In questi termini, l'acquisto di Ronaldo, ovvero una delle maggiori icone del glamour mondiale, incarnazione del maschio global e vincente 2.0, è un'occasione quasi irripetibile. In quei termini, l'operazione avrà un suo supporto finanziario negli anni a venire. La sorte in bianconero di Marotta è segnata. La morte di Marchionne, però, cambia repentinamente le carte in tavola. La Ferrari di Vettel e Arrivabene naufraga miseramente. Gli Elkann vogliono continuare a tenersi stretta la Ferrari. Occorre dunque aggiustare i conti del bilancio Juventus, gravato dai folli numeri di CR7. Da qui nasce l'idea, in sè geniale quanto obbligata in termini finanziari, di fare cassa attraverso lo sconto del lungo contratto di sponsorizzazione con Adidas. Ovvero attraverso l'ncasso immediato di una somma liquida, in cambio della cessione ad un intermediario finanziario dei proventi futuri del ricco contratto pluriennale. Idea che incontra, ca va sans dire, il gusto, finanziario e commerciale, della multinazionale tedesca. Chi sa di finanza si rende conto di quanto questa strategia nasconda una rischiosa verità: il passo rischia di essere più lungo della gamba. In anni recenti Inter, Roma e Milan sono naufragate economicamente iniziando a scontare accordi pluriennali per far fronte alle necessità correnti. Ai tifosi juventini meno radicalizzati non sfuggirà, per anticipare una prevedibile obiezione, che il declino finanziario dell'Inter sia iniziato con il Triplete. Dunque il discorso prescinde, ahinoi, persino dai risultati sportivi. L'unica speranza del vero tifoso juventino si chiama Andrea Agnelli ed è a lui che guardiamo con grande fiducia: in Lui e in nessun altro.