Tutti noi, nella vita, possediamo un rimorso. Si contano sulle dita di una mano coloro che non convivono con questo tormento. Tormento che può essere più farraginoso con il passare del tempo, ma più limpido se ancora non ci si è posata una pietra sopra. Chiunque, se avesse una macchina del tempo, cambierebbe un filo del proprio passato. Sposterebbe quel misero collegamento per connetterlo ad un altro e cambiare il corso del tempo.

Ma non è così, non ci è permesso. Abbiamo due alternative, più o meno utili, per sopperire all’intemperia: conviverci, ma facendo riposare quel gusto di rassegnazione che ne segnerebbe il superamento. Velato, sì, ma pur sempre un gesto di acquiescenza, perché tanto la DeLorean esiste solo nel film; oppure, il rancore verso sé stessi, quell’ossessione che ci segue come un’ombra quotidianamente, a cui forse non esiste soluzione.
E allora, se non esiste, dove ci porterà tutto questo? Forse al primo punto, quello della rassegnazione, quello della convivenza sotto lo steso tetto con il rimorso. E chi, più di Milik, sta vivendo questo momento? Non solo sotto lo stesso tetto, ma anche all’interno della stessa stanza.

Da 9 a 99: il post-Higuain

L’estate non aveva lasciato bei ricordi per i tifosi partenopei. Un tradimento, il peggior tradimento. Uno di quelli che rimarrà tatuato nella memoria per sempre. 36 gol, quelli di Gonzalo Higuain, tramutati in 36 coltellate, quando, il 26 luglio, se ne andò alla Juventus. Una veste dionisiaca quella incorporata dall’argentino. Un terrestre per il Real Madrid, un alieno per noi. Un alieno che aveva ereditato – e anche nel migliore dei modi aggiungerei – lo scettro di Cavani, un Mostro, citando Riccardo Trevisani, che danzava sul manto verde. Uno di quello che il gol ce lo aveva segnato nel DNA. Cavani e Higuain, discendenti da due nazioni che si prendono a spallate sulla cartina geografica, e che hanno fatto impazzire il pubblico.

Per poi giungere, dall’America Meridionale, sino in Europa. In Polonia precisamente. Polonia di nascita, ma non di vita, perché colui che sarebbe stato il post-Higuain, governava l’attacco dei lancieri, terre olandesi, l’Ajax tanto per intenderci. Un attaccante che aveva la mente appesa al gol, uno che in due stagioni, con 75 presenze, ne ha iscritti all’albo 47. E se il 26 luglio era una giornata nera per i napoletani, il 2 agosto, nasceva una nuova epoca: la post-modernità del Napoli.

E se il rancore verso il leone argentino permaneva – e permane tutt’oggi – il centravanti Milik si presentava per la prima volta titolare al San Paolo con una doppietta al Milan: il primo sporco, da centravanti, l’altro da 99, di testa, di precisione, in un modo raffinato; poi a Kiev, un’altra doppietta; si torna in Italia, e dopo aver passato in bianco la trasferta di Palermo, a Bologna segna ancora; di nuovo, un’altra doppietta. Chissenefrega di Higuain. Si va avanti e il futuro poneva il nome di Arkadiusz.

Un futuro che sapeva di passato

Sì, perché l’amore non è mai nato. Sono sempre sorti quegli ostacoli di mezzo, che hanno reso il rapporto sempre più friabile, mai solido e che ben presto è evaporato. Perché nel momento più bello, nell’acume delle sue prestazioni, Milik, si rompe il crociato. In Nazionale, contro la Danimarca. Già quando si parla di Nazionali si storce il naso, poi quando accadono eventi del genere, si degenera nella rabbia. Nemmeno il tempo di conoscere Napoli, ma solo di presentarsi, passano mesi per la riabilitazione. La paura era quella di non tornare più a grandi livelli, ma forse, la paura più grande, risiedeva nelle gerarchie.

Torna prima del previsto, a febbraio precisamente. Un ritorno lampo, ma i partenopei si erano già innamorati di un’altra persona. Non avevano aspettato il ritorno del soldato reduce di guerra, o meglio, l’intenzione era quella, poi, però, il genio Sarri, convertì Mertens in falso nueve e a quel punto l’attaccante non serviva più. Il polacco torna. Sono più le volte che subentra che quelle in cui parte titolare. Un solo gol nella seconda parte di stagione; il belga termina con 28.

Stagione nuova, vita nuova, eppure, sembra vivere sull’onda di un flashback: 23 settembre, contro la Spal, si rompe il crociato destro anteriore. E se la paura incombeva nella sua mente la prima volta, figuriamoci la seconda. A marzo ritorna e, ad aprile, torna al gol in campionato, accompagnato anche da un assist. Ma la nuova vita sembra arrivare nelle due stagioni successive, la terza precisamente. La prima volta in cui si mette in mostra con il suo Napoli, arrivando a 20 centri in tutte le competizioni. Non che le qualità non si conoscessero, ma la titolarità, il minutaggio, i gol, insomma, tutti fattori che si allineano miracolosamente.

In quella successiva, l’ultima virtualmente, è presente in diverse partite di campionato, tranne in quelle fermato dai suoi stessi infortuni. 14 gol in tutte le competizioni, con una media di 0.60 centri a partita. Anche gli Expected Goals lo classificano come uno dei migliori centravanti della competizione. Eppure, nonostante i numeri, i centri, i meccanismi con la squadra, Milik, arrivato come futuro centravanti napoletano, aveva già un sapore di passato. Nella sua quinta stagione, aleggerà come un fantasma a Castel Volturno. Un fantasma che proverà a combattere con i suoi stessi fantasmi.

La stima degli allenatori

Da 9 a 99, dall’America meridionale all’Europa centrale. I numerosi infortuni, di cui due gravi, il nuovo meccanismo che ha visto Mertens prendere le redini dell’argentino, e un sistema di gioco che sembrava aver risentito poche volte della sua assenza, Milik, non è mai penetrato nell’animo e nel cuore dei tifosi. È stato un giocatore giusto al momento sbagliato, girandosi un attimo indietro. Ad oggi non è nemmeno un giocatore giusto, vedendo il meccanismo del 4-2-3-1, con Osimhen che spacca le difese avversarie e che gioca anche di sponda per i compagni. Eppure, nonostante questo trambusto, il polacco ha avuto la benedizione da tutti i suoi allenatori.

Dennis Bergkamp e la bacchetta magica L’ex giocatore di Inter e Arsenal lo ha visto dal vivo. Proprio mentre svolgeva il ruolo di vice alla corte dei lancieri. Vedeva come i 186 cm di Polonia si destreggiavano in campo e come la buttasse dentro. Un tiro delicato, preciso, come se frutto dell’ausilio di una bacchetta magica. Una bacchetta magica che però non ha avuto lo stesso effetto a Napoli, dove la magia sembra esser stata portata da Mertens e, adesso, da Victor.

Maurizio Sarri aveva già dimenticato Higuain Sì, perché proprio con lui aveva raggiunto i 36 gol. Proprio con Maurizio, il Napoli, è stato un grande Napoli. Elegante in campo, in trasferta e idilliaco nella classifica. Milik era quello giusto. Era quello per far dimenticare l’argentino al più presto. Lui lo dimenticò per primo, anche se lo riabbracciò con il Chelsea prima e con la Juventus poi. Il polacco, si è preso subito l’eredità di Higuain, affermerà. Un piccolo rimprovero per aver accelerato i tempi di recupero sull’infortunio, un mea culpa che compirà su sé stesso, ma che rimarrà soltanto tale.

Carlo Ancelotti e il ricordo di Sheva Eh sì, perché come ha coccolato Shevchenko lui, non l’ha fatto nessuno. E quando il buon Carletto è sbarcato a Napoli, sembrava che la magia potesse crearla senza l’ausilio della bacchetta. Lo definì un grande attaccante, ricordando anche l’ucraino:

“Non voglio dire che i due si somiglino, ma come Sheva, Arek, è molto presente in area ed è sveglio. Credo che segnerà molti gol”.

Bellissime parole, evaporate però dall’ammutinamento dei giocatori, incluso quello del polacco.

Gennaro Gattuso tradito dal suo stesso attaccante In un certo senso sì. Parole al miele le sue, definito un giocatore completissimo, il migliore a legare il gioco. Adatto per i suoi schemi, per le sue teorie e perfetto per l’empirismo applicato sul campo. Tradito poi, dal mancato rinnovo con il Napoli:

Se un calciatore non ha la testa giusta, fa fatica. Bisogna rispettare ogni scelta anche se trovare un giocatore più forte di lui è difficile”.

Scrivevo che la quarta stagione sarebbe stata l’ultima virtualmente. Sì, perché quella attuale, verrà giocata nella sua testa, tra pentimenti e dubbi sul futuro.

In testa c’era solo la Juventus

Un capriccio può trasformarsi in un esito fatale. Sarri usciva da una stagione deludente con la Juventus. Ci si aspettava il bel gioco partenopeo, ma in bacheca ha portato “soltanto” il nono scudetto di fila. Allora bisognava costruire. Via Higuain e dentro Milik, questa era l’idea. Il polacco avrebbe potuto giocare con un allenatore che aveva avuto sempre la sua stima. Un venirsi incontro che stava per concludersi con un lieto fine.

Stava, perché Sarri venne esonerato. E senza più lui alla guida della Vecchia Signora, anche le idee rimangono tali, ovvero, parole al vento. Milik, nell’armadietto a Napoli – già chiuso - custodiva ancora il sogno Juventus. Ma con l’arrivo di Pirlo in panchina iniziò il suo calvario estivo.

Arkadiusz, come here

La dolce vita, un capolavoro di Federico Fellini. Il film, come la splendida Sylvia (Anita Ekberg), che invitava Marcello Rubini (Marcello Mastroianni) a fare un bagno nel cuore di Roma, alla Fontana di Trevi. E traslata nel mondo calcistico, la Roma, lo aveva chiamato, lo voleva, era già pronta ad abbracciare l’erede del bosniaco, già promesso sposo alla Juventus. Tutti d’accordo. D’accordo per innescare un effetto domino che avrebbe reso felici chiunque.

Chiunque, tranne Milik. Perché se Marcello Rubini, sotto l’acqua della Fontana, dirà a Sylvia tu sei la prima donna del primo giorno della Creazione. Sei la madre, la sorella, l’amante, l’amica, l’angelo, il diavolo, la terra, la casa, beh, lo stesso non era per Arkadiusz. E mentre la Roma lo invitava, dicendogli Arkadiusz, come here, la sua vera donna rimaneva la Juventus e voleva solo lei.

L’ultima chiamata arriva da Firenze

L’ultima chiamata, nell’ultima giornata di mercato e all’ultima ora. Arriva il corteggiamento della Fiorentina, che cerca di essere la più affabile possibile nei suoi riguardi: titolarità, 4 milioni a stagione e centralità nel progetto di Iachini. Un palcoscenico importante, anche in chiave Europeo della prossima estate. No secco dell’attaccante.

Tutti hanno provato a convincerlo, ma nessuna risposta affermativa. Non ha saputo accontentarsi rispetto al suo sogno proibito. Il capriccio si è rivelato fatale. Per lui e per il suo domani.

Cosa farà Milik in questi mesi?

Combatterà contro i suoi stessi fantasmi. Si è dimostrato pignolo in certe scelte, in tante situazioni, ma il destino alla fine non l’ha premiato. E forse, il destino, c’entra veramente poco. Perché quando si decide per se stessi, quando si è determinanti per l’epilogo finale di alcuni avvenimenti, il fato alza le mani.

Milik voleva cambiare aria, e questo era oggettivo a chiunque. Oggettivo per lui, per il Napoli, per l’allenatore e anche per i tifosi. Fare qualcosa contro la propria volontà non ha senso, affermerà in un’intervista - chi può dargli torto? – e poi accusa la società:

“Il Napoli, poi, non comunicava coi club dove sarei voluto andare. Non penso che un giocatore possa essere messo da parte in questo modo per tanti mesi, non è giusto”.

Il polacco non utilizza mezzi termini. Scarica la colpa al club. Ma si sa, come ogni relazione, matrimonio e amicizia, quando si arriva alla rottura, la colpa è sempre da ambedue le parti. Magari l’ago della bilancia può virare più su uno rispetto ad un altro, ma nessuno è totalmente esente dal dolo.

I mesi passano e passeranno e il polacco è stato messo fuori rosa. Si allenerà da solo per cercare di mantenere la sua forma e, a gennaio, cercherà di trovare una soluzione. La situazione non è per niente agevole. L’Europeo è alle porte e, il rischio di rimanere senza squadra per tutto questo tempo, può tramutarsi anche pericolo di restare senza nazionale.

Arkadiusz passerà tutto questo tempo con il rimorso. Il rimorso di aver rimandato, traballato, fino a trasalire al momento del gong che sanciva il termine del mercato. Dovrà dribblare i fantasmi che lo attanagliano, giocare di sponda con la società per giungere ad un compresso, fino a buttarla dentro per trovare la soluzione. Un match non facile, ma avrà a disposizione mesi e non novanta minuti.